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Bio e Ogm. Se l’accademia fa disinformazione

tratto da: https://ytali.com/2019/09/28/bio-e-ogm-se-laccademia-fa-disinformazione/

Il 17 settembre, un gruppo di accademici italiani (e non)del settore agronomico e biotecnologico, associati nel Gruppo Seta (Scienze E Tecnologie per l’Agricoltura), un gruppo informale nato lo scorso maggio con l’obiettivo di “sviluppare una riflessione originale e a tutto campo sul tema dell’innovazione in agricoltura”, ha inviatouna lettera aperta ai parlamentarielencando una serie di punti critici del disegno di legge (ddl) 988 sul biologico. Sembra che dopo le dichiarazioni dei giorni scorsi, di apertura agli organismi geneticamente modificati (Ogm) da parte del ministro delle Politiche agricole Teresa Bellanova, stiamo assistendo a un’intensa, quanto prevedibile, campagna mediatica a sostegno delle biotecnologie in agricoltura, con il consueto, e poco sensato, attacco al biologico.
Oltre alla lettera del Gruppo Seta, a favore degli Ogm è arrivata subito anche la presa di posizione pro Ogm dell’industria agrochimica e di quella agroalimentare. Il 26 settembre, il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (CREA), ente di ricerca direttamente dipendente dal ministero delle Politiche agricole, ha organizzato una giornata per educare i giornalisti sui benefici delle biotecnologie. L’evento è organizzato con la collaborazione dell’associazione delle industrie del biotech (EuropaBio – Associazione della bio-industria europea, che a settembre promuove la European Biotech Week, la settimana europea delle biotecnologie). Purtroppo il CREA non ha invitato all’evento la controparte, per informare i giornalisti anche dei possibili problemi derivanti dalla diffusione delle biotecnologie. Ancora al CREA, il 28 settembre, presso la sede del CREA-Alimenti e Nutrizione di Roma, con la Società Italiana Genetica Agraria si presenta un manifesto pro Ogm dal titolo “Prima i geni”. Un documento inteso a dimostrare l’importanza delle biotecnologie per l’agricoltura italiana.
Su ytali ho scritto alcuni articoli sull’agricoltura biologica, commentando alcuni attacchi al biologico da parte di esponenti del mondo accademico ed istituzionale. Ciò che mi ha spinto a scrivere non è stato tanto il voler prendere le parti del biologico (le associazioni del settore sanno difendersi da sole), quanto denunciare ciò che ritengo un serio problema di metodo: l’uso da parte di personalità accademiche di pratiche comunicative discutibili, che rasentano la disinformazione e la propaganda. Questo non è ammissibile, e dovrebbe destare la preoccupazione del mondo accademico, perché svilisce lo scopo e il ruolo della scienza, e ne mette a rischio la credibilità.
La frequenza con cui vediamo usare queste pratiche deve allertare sul pericolo di una deriva ideologica di stampo tecnocratico e scientista, che sta investendo la ricerca nel settore agroalimentare (e non solo). Discutere sulle criticità dell’agricoltura biologica va benissimo, l’ho fatto io stesso. Tuttavia, se vogliamo rimanere in un ambito scientifico, anche le critiche devono sottostare al metodo scientifico, altrimenti passiamo rapidamente dalla scienza alla disinformazione.
Lo scopo di questo articolo è ancora una volta quello di analizzare come un supposto documento scientifico risulti inaccettabile dal punto di vista scientifico, rendendolo piuttosto pseudoscienza di bassa lega (quando si cerca di ostentare una scientificità che non c’è), o finanche propaganda (quando si presentino informazioni distorte). Di seguito commenterò le affermazioni fatte dal Gruppo Seta nel documento indirizzato ai parlamentari, seguendo l’ordine così come presentate nel documento.
Affermazione 1: le coltivazioni biologiche sono meno sostenibili sul piano ambientalerispetto a quelle con metodo convenzionale/integrato. Ciò perché producono, a parità di superficie, dal venti al settanta per cento in meno, per cui la loro estensione generalizzata richiederebbe dal venti al settanta per cento in più di terre coltivate con immani distruzioni di foreste e praterie naturali.
Commento 1
1 Le implicazioni circa la ridotta produttività del biologico vanno certamente discusse e gli scenari analizzati. Tuttavia non si possono fare discorsi troppo generali. Tra un venti e un settanta percento c’è una bella differenza, bisogna spiegare di che si sta parlando. Un’alternativa agroecologica va vista nell’ambito di un ripensamento del sistema agroalimentare nel suo complesso. Per esempio, l’implementazione di nuovi sistemi colturali, la ricerca, la riduzione degli sprechi, la revisione degli accordi commerciali per evitare competizione sleale, il cambiamento delle abitudini alimentari, etc.
2 Considerando la terra agricola disponibile, l’Italia è un paese estremamente popolato.
Con una quantità di terra arabile per capita di 0,12 ettari, come l’India, deve importare derrate alimentari dall’estero (circa la metà dei consumi). Per comparazione, in Canada la terra arabile per capita è di 1,21 ettari (quindi dieci volte più dell’italiana), 0,7 ettari in Ucraina, 0,5 ettari negli USA, 0,3 ettari in Francia. Mentre la terra agricola dei citati paesi è quasi tutta pianeggiante e il clima più fresco ne riduce il rischio desertificazione, in Italia, una parte della terra arabile si trova in zone collinose, e quindi a maggior difficoltà e costo di lavorazione, ed è soggetta a fenomeni di erosione e desertificazione, che ne riducono la qualità (che una gestione con pratiche agroecologiche potrebbe migliorare).
3 Stranamente il Gruppo Seta non critica l’assurdo e immorale impiego di terra agricola per la produzione di biocarburanti. Una produzione che, grazie alle sovvenzioni governative, per il periodo 2018 al 2022, si porta a casa 4,7 miliardi di euro di denaro pubblico come sussidi. Un miliardo di euro all’anno delle nostre tasse (o debito di pubblico) mandati in fumo per bruciare derrate alimentari sotto forma di etanolo o biodiesel. Biocarburanti che sono un vettore energetico inefficiente e ad altissimo impatto ambientale. Sussidi pubblici che potrebbero essere usati per finanziare attività ben più necessarie come la scuola, la ricerca, la sanità, o più sostenibili come l’agricoltura biologica o a basso input. Rimango sempre perplesso sulle vere intenzioni di chi attacca il biologico, ma tace su questa pratica immorale e su questo immane spreco di denaro pubblico.

Effetto sulla qualità del suolo delle pratiche di agricoltura biologica. A destra, campione di suolo a gestione convenzionale, destrutturato, che in acqua si disintegra; a sinistra, campione di suolo a gestione biologica, che in acqua rimane ben strutturato e integro (fonte Rodale Institute)

Affermazione 2:rispetto all’agricoltura convenzionale il biologico presenta emissioni di gas serra per unità di prodotto superiori del cinquanta per cento in pisello e del settanta per cento in frumento (Searchinger e collaboratori, 2018), del trecento per cento in riso (Bacenetti e collaboratori, 2016) e superiori del 61 per cento per kg di pane prodotto (Chiriacò e collaboratori, 2017)”
Commento 2
1 Il citato lavoro di Searchinger et al. (2018), non è un lavoro specifico sul biologico, ma compara diversi tipi di gestioni di colture convenzionali. Gli autori citano il biologico solo per fare un esempio, usando dei dati per le coltivazioni di piselli e frumento in Svezia (i dati per il frumento non sono nemmeno stati inseriti nel testo principale ma posti nel materiale allegato). Ovviamente, dati per la Svezia (con sole due colture) non possono fornire indicazioni rappresentative delle prestazioni delle colture biologiche, in termini generali, per il mondo.
2 È curioso che gli esperti del Gruppo Seta si rifacciano a questa fuorviante comparazione, anche perché vi sono lavori specifici sul tema, che il Gruppo SETA pare non conoscere. È anche scientificamente scorretto citare un singolo lavoro come unico riferimento in un campo di studio, in particolare in un campo complesso come la valutazione comparativa delle prestazioni di diversi sistemami agroalimentari. Tali comparazioni sono sempre problematiche, sia perché i sistemi produttivi sono spesso diversi (per esempio, lunghe rotazioni contro una monocoltura), sia perché non è semplice come delimitare il sistema in analisi (per esempio, come valutiamo l’impatto ambientale dell’agrochimica?).
3 I dati forniti da alcune revisioni della letteratura, in merito alla produttività, e alle emissioni di gas serra per unità di prodotto, presentano risultati eterogenei, in relazione al tipo di colture e alla tecnica di coltivazione. Per esempio, in merito alla produttività, in una revisione delle letteratura condotta da un gruppo di studiosi americani, pubblicata nel 2012 sulla rivista Nature, gli autori concludono che in termini di produttività per ettaro, il biologico produce tra il dieci e il trenta per cento in meno del convenzionale. Il lavoro conclude anche che in alcuni casi non vi è una differenza significativa tra i due sistemi.
4 In merito alle emissioni di gas serra per unità di prodotto, se usiamo il metodo del Gruppo Seta, cioè citiamo un lavoro ad hoc e taciamo sugli altri, possiamo usare una revisione della letteratura prodotta da Mondelaers et al. (2009) per affermare che “la scienza” ci dice che non vi sono differenze di emissioni di gas serra tra biologico e convenzionale per unità di prodotto. Ma adottano il metodo scientifico, diremo che questo lavoro è solo uno dei molti lavori disponibili in letteratura, e che altri lavori generalmente riportano emissioni di gas serra maggiori per unità di prodotto nel biologico rispetto al convenzionale (mentre tutti i lavori confermano che la pratica biologica riduce le emissioni per unità di superficie di terra coltivata rispetto al convenzionale, però dal momento che i biologico è meno produttivo le cose si ribaltano quando si fanno i conti per unità di prodotto).
Per il caso del pane, anche qua non possiamo far riferimento a un singolo lavoro, scelto per sostenere la nostra tesi, dobbiamo discutere la letteratura. Per esempio, un lavoro svolto da Meisterlinget al. (2009), ha stimato che produrre 1 kg di pane convenzionale (escluso il trasporto), causa l’emissione 190 grammi di CO2 equivalente, mentre con il metodo di produzione biologico 160 g CO2 equivalente, quindi quindici percento in meno del convenzionale.
Come si vede, scegliendo i lavori in modo discrezionale (quelli che fanno comodo tacendo sugli altri), possiamo facilmente arrivare a dare informazioni completamente diverse. Qual è il risultato corretto? Nelle poche righe sopra scritte, non lo possiamo sapere. Dobbiamo prima comparare i due lavori (e magari anche altri), e vedere come sono stati disegnati i modelli, su che assunzioni si basano, e vedere come sono stati raccolti i dati e fatti i calcoli. I risultati potrebbero essere entrambi corretti, in relazione a come si è designato il modello di studio. Nel qual caso la domanda si sposta in un altro ambito, e diventa: qual è il modello di studio più corretto? Quello che è certamente sbagliato in termini scientifici, e che non si può fare, è scegliere dalla letteratura il lavoro che ci piace di più (e tacere sull’esistenza degli altri), perché supporta le nostre tesi o interessi, e farlo passare come la vera, unica “voce della scienza”.
Affermazione 3:i prodotti biologici sono commercializzati a prezzi fino al centocinquanta per cento più elevati rispetto agli analoghi prodotti convenzionali (fonte: UE ), il che dovrebbe indurre a riflettere sulle ripercussioni economiche per il consumatore (o per lo Stato, quando si parla di mense scolastiche obbligate ad approvvigionarsi solo di prodotti bio).
Commento 3
1 Il documento citato non dice quanto riportato dal Gruppo Seta. Nel testo originale il centocinquanta si riferisce al frumento tedesco. La citazione originale, a pagina 7 del documento: “In Germany, organic wheat producers received up to 150% price premium over conventional prices” (in Germania, i produttori di frumento biologico ricevono fino al centocinquanta per cento in più rispetto al prezzo del convenzionale). Il prezzo è il risultato di una relazione, quella tra domanda e offerta (al netto di una base di partenza dovuta ai costi di produzione). Il prezzo dei prodotti biologici, in particolare nel nord Europa, risente anche di una domanda che eccede l’offerta.    
2 L’uso del “fino a” come criterio per presentare dei dati non può essere accettato in termini scientifici. Immaginiamo che per informare il lettore sul prezzo del vino italiano ci dicessero che il vino italiano costa fino a diecimila euro al litro, o per l’aspettativa di vita in Italia ci dicessero che in Italia la gente vive fino a 113 anni (età della persona più longeva registrata). A che cosa ci potrebbe servire questa informazione? A ben poco. Il costo del vino citato potrebbe riferirsi a una bottiglia speciale, che ha magari un valore storico (per esempio una bottiglia appartenuta a Garibaldi, vino imbevibile ma prezzo della bottiglia altissimo). Mentre di persone che hanno raggiunto i 113 anni ve n’è stata una soltanto, sulle centinaia di milioni di persone vissute in Italia negli ultimi secoli. Nella pratica scientifica, per presentare i valori di una campione non si usano i valori estremi (ovviamente), ma alcuni tipi di medie (la classica media aritmetica e altre varianti) e la distribuzione dei valori intorno a questa.
Notiamo che la tendenza (scientificamente scorretta) a presentare questo tipo di informazioni è una pratica usata spesso degli accademici nei loro attacchi al biologico.  Luca Colombo (segretario della Fondazione Italiana per la Ricerca in Agricoltura Biologica e Biodinamica), in un divertente articolo sul manifestoapparso lo scorso marzo, l’ha filosoficamente definita “l’eterogenesi dei «fino»”. Usando la tecnica dei “fino a”, posso anche dimostrare che i prodotti biologici costano fino al 20 percento in meno dei convenzionali. Infatti, in un supermercato della mia città, lo yogurt biologico di una nota cooperativa si vende a 3,7 euro al chilo, mentre una delle marche di yogurt più pubblicizzate in TV è venduta a 4,7 euro al chilo.
Affermazione 4:il prodotto biologico non presenta differenze significative rispetto agli altri sul piano della salubrità o delle caratteristiche nutrizionali come emerge dal lavoro scientifico di Dangour e collaboratori (2009) e dai report EFSAsui residui di fitofarmaci negli alimenti.
Commento 4 
1Sul citato lavoro di Dangour et al. (2009 – disponibile alsito della rivista). Come fatto notare nel caso 2, innanzitutto non è scientificamente corretto citare un solo lavoro, magari scelto per convenienza, per supportare la propria tesi, bisogna leggere e discutere la letteratura. Questo si insegna anche agli studenti. 
Dangour et al. (2009) è solo uno di almeno una decina di estese revisioni della letteratura sul tema (una di queste revisioni è stata fatta anche da chi scrive). Il lavoro è stato criticato per la scelta del campione di studi considerato (solo 55 studi, e di tipo diverso, su migliaia di pubblicazioni in riviste scientifiche disponibili), ed è limitato ad alcuni minerali e alla vitamina C.
Nel 2009 fu pubblicata anche un’altra revisione della letteratura, molto più estesa e approfondita di quella Dangour et al. (2009). Il lavoro è stato svolto da uno dei maggiori nutrizionisti europei, il francese Denis Lairon, all’epoca all’Institut National de la Recherche Agronomique (INRAN), e oggi direttore emerito dell’istituto nazionale francese per la salute e la ricerca medica, Institut National de la Santé et de la Recherche Médicale (INSERM). I risultati del lavoro di Lairon (che analizza un centinaio di studi selezionati come rappresentativi dalla letteratura) contraddicono quelli di Dangour e colleghi. Lairon, nel suo lavoro, conclude che i prodotti biologici contengono significativamente più ferro e magnesio, più antiossidanti, 50 percento meno nitrati (ottimo quindi), non contengono residui di pesticidi e non mostrano differenze per le micotossine. Lairon ci informa anche che i suoi risultati sono in linea con quando riportato dagli studi precedenti.
Nel 2014 sono stati pubblicati i risultati del progetto europeo QUALITYLOWINPUTFOOD, la più vasta revisione della letteratura svolta ad ora, che ha coinvolto, per alcuni anni, decine di ricercatori di diversi paesi europei.  risultati del progetto (si veda per esempio il lavoro di Barański et al., confermano i migliori valori nutrizionali dei prodotti biologici rispetto ai convenzionali.
La letteratura scientifica sembra quindi piuttosto concorde nel ritenere gli alimenti biologici migliori dei convenzionali. Innanzi tutto non presentano maggior rischi per la presenza di micotossine e metalli pesanti. Sono mediamente più ricchi di elementi nutritivi, non presentano residui di pesticidi chimici, e non facendo uso di pesticidi di sintesi non ne disperdono nell’ambiente, per cui non contamino l’acqua (un problema sempre più serio in tutti i paesi).
Irrorazione con pesticidi che quindi si diffondono nell’ambiente (fonte foto)

Le comparazioni bio-convenzionale, concentrandosi prevalentemente sugli elementi nutritivi, spesso omettono di considerare alcune questioni di estrema rilevanza, come per esempio, l’uso di antibiotici. La maggior parte degli antibiotici prodotti a livello mondiale viene impiegato nell’allevamento (negli Usa, si arriva all’ottanta per cento del consumo). In molti paesi (come gli Usa), l’uso di antibiotici nell’allevamento è permesso anche per aumentare la produttività (pratica proibita in Europa). Questo smodato uso di antibiotici è considerato uno dei maggiori rischi per l’umanità, perché induce lo sviluppo della resistenza agli antibiotici da parte dei batteri, i quali diventano così pericolosi per l’uomo.  I medici hanno da tempo lanciato l’allarmate chiedendo che si riduca drasticamente l’uso di antibiotici in agricoltura. Gli esperti stimano che oggi, al mondo, almeno 700.000 persone muoiano ogni anno per complicazioni dovute alla resistenza dei batteri agli antibiotici. Si stima che per il 2050 la resistenza agli antibiotici potrebbe causare, a livello mondiale, dieci milioni di morti l’anno, con un danno economico complessivo (dal 2015 al 2050) di centomila miliardi di dollari.  Nell’allevamento biologico l’uso degli antibiotici come stimolanti della crescita o in via preventiva è proibito. L’uso in forma terapeutica  è strettamente normato e monitorato, e l’animale trattato è ritirato dalle produzione per un periodo di detossificazione.
2 Il lavoro dell’Efsa, dice il contrario di quanto riportato dal documento del Gruppo Seta. In merito ai residui di pesticidi il documento dell’Efsa riporta una notevole differenza tra convenzione e biologico. In quanto al tipo di residui rinvenuti, i residui nei prodotti biologici sono di natura diversa, e molto meno tossici rispetto ai composti potenzialmente cancerogeni, mutageni, neurotossici e distruttori endocrini, rinvenuti nei prodotti convenzionali, spesso in modalità multi residuo (diversi tipi di composti trovati nel medesimo campione).   
Modello di allevamento intensivo dove le vacche sono praticamente delle macchine da latte (negli Usa le vacche da superproduzione producono 45-50 litri di latte al giorno, arrivando per alcune razze anche a 75 litri al giorno). L’altissimo stress a cui sono sottoposti gli animali ne riduce la durata della vita produttiva a tre anni o meno, mentre in condizioni tradizionali una vacca potrebbe vivere 15-20. A tali livelli di produzione gli animali tendono a sviluppare mastiti e infezioni. In alcuni paesi gli antibiotici sono somministrati anche in via preventiva (fonte foto)

Affermazione 5:già oggi il 45 per cento del reddito netto delle imprese biologiche è garantito da finanziamenti comunitari contro il 31 per cento di quelle convenzionali (fonte: Bioreport Crea, ediz. 2017-18; Serv. Studi Senato, nota 108, giugno ‘19)
Commento 5
1 Questo lo spiega il documento dell’Unione Europacitato dal Gruppo Seta all’Affermazione 3. Se gli esperti del Gruppo Seta lo avessero letto bene, a pagina 11 avrebbero letto che l’Unione Europa sostiene l’agricoltura biologica perché ne riconosce i servizi per l’ambiente e per i consumatori, e che una maggiorazione dei sussidi viene erogata alle aziende in transizione al biologico. 
2 Il reddito delle aziende biologiche è sostenuto anche perché gli agricoltori biologici, con le loro pratiche, si fanno carico di ridurre e internalizzare una serie di impatti che invece il convenzionale esternalizza (scarica) sulla collettività (come per esempio con l’inquinamento), e sul futuro (come per esempio riducendo la qualità del suolo e dell’ambiente).
Affermazione 6:con il ddl 988 si sdogana, equiparandola al biologico, una pratica esoterica come l’agricoltura biodinamica, certificata da un marchio registrato di proprietà di una multinazionale e che presenta un fatturato medio per ettaro di 13.309 euro contro i 3.207 euro delle aziende convenzionali e i 2.441 delle aziende biologiche (fonte Bioreport Crea, ediz. 2017-18). Ci auguriamo che questo Parlamento non voglia essere ricordato come un Robin Hood al contrario, che toglie ai poveri per dare ai ricchi.
Commento 6 
1 Premetto di non credere alle teorie esoteriche di Steiner. Premesso questo, l’affermazione del Gruppo Seta non ha alcun senso.  Non vi è nessun “sdoganamento”. L’agricoltura biodinamica è inclusa del ddl perché rispetta le medesime normative dell’agricoltura biologica (una risposta in merito da parte di Carlo Triarico, presidente Associazione per l’agricoltura biodinamica). Non è possibile che non si riesca a comprendere questa semplice, quanto ovvia, ragione.
I medici o scienziati che professano una fede religiosa, credenze altrettanto esoteriche, sono ammessi ad operare nel sistema sanitario pubblico e nelle università pubbliche, fintanto che si attengono alla legge (e sfortunatamente, a volte, anche quando non vi si attengono e rifiutano di prestare il servizio pubblico per il quale sono pagati). Un medico che pretenda di guarire un paziente con l’uso della preghiera, o con l’applicazione di unguenti magici, non può ovviamente operare nel sistema pubblico (ma nemmeno in quello privato). Un medico credente può certamente recitare una preghiera, ma deve anche seguire il protocollo stabilito. Così è per il biodinamico, si possono invocare le forze cosmiche, ma si devono anche seguire i protocolli stabiliti dalla normativa. Per questo il biodinamico è inserito nel ddl. Così è anche negli altri paesi. Non c’è nulla di strano nel ddl988, se non, a quanto pare, il non voler capire.
2 Il buon fatturato delle aziende biodinamiche forse dipende dal tipo di prodotti. Anche nel convenzionale, le orticole sono molto più redditizie del mais da mangimistica. E comunque dovrebbe far riflettere sull’esistenza di un mercato che forse l’agricoltura italiana farebbe bene a considerare, invece che denigrare,
3 Il ddl988 intende premiare pratiche che riducono l’impatto ambientale e conservano alcuni servizi ecosistemici, come per esempio la sostanza organica del suolo, la qualità delle acque, e forse anche un mercato in forte espansione che potrebbe rappresentare una risorsa per l’agricoltura italiana. 
Affermazione 7:il DDL 988 si riferisce a un settore di nicchia (66773 aziende biologiche e 286 biodinamiche, in tutto il 4,5% delle 1.471.000 aziende agricole italiane – fonte Bioreport Crea, ed. 2017-2018).
Commento 7 
1 Sono molti i settori di nicchia per i quali il governo ha stanziato dei finanziamenti. La viticoltura non è certamente un’attività essenziale per l’alimentazione umana, ne serve a debellare la fame nel mondo (un tema caro ai critici del biologico). Anzi, è una delle attività agricole a più alto impiego di pesticidi e impatto ambientale. Eppure il governo ha stanziato 337 milioni di euro per il 2019-2020, con 286,3 milioni di euro assegnati a Regioni e Province autonome, anche se già grandemente agevolate dall’autonomia (per esempio, 55,5 milioni, il sedici per cento del totale, sono allocati alla Sicilia). La viticoltura veneta, che conta circa 80.000 ha di vigneti, per esempio, sarà complessivamente finanziata per circa 500 euro a ettaro (i valori per le diverse regioni si aggirano tra i 400 e i 550 euro ad ettaro).
Si finanzia anche la produzione di tabacco! È stato fatto notare che vi sono più contributi alla coltura del tabacco che a quella dell’olivo!.  Sappiamo bene che sia l’alcol sia il fumo sono deleteri per la salute, e che i danni da alcol e fumo costano alla società miliardi di euro l’anno in spesa sanitaria (senza parlare del dolore fisico e psicologico vissuto dai malati e dai loro cari, o, come nel caso dell’alcol, dalle persone che hanno la sfortuna di capitare sulla strada di gente che guida in stato di ebrezza). Tuttavia lo stato finanzia con fior di sussidi pubblici la coltivazione del tabacco e la produzione vitivinicola. Dell’assurdità biocarburanti ne ho accennato al punto 1.      
2 Il documento prodotto dal Gruppo Seta induce il lettore a pensare che il ddl 988 miri specificamente a finanziare gli operatori del settore biologico. Non è così. Il ddl 988 include anche: finanziamenti alla ricerca; sostengo alle istituzioni pubbliche, come i comuni, affinché adottino pratiche a basso impatto ambientale (senza l’uso di pesticidi di sintesi) per la gestione del verde pubblico, e per l’inclusione di alimenti biologici nelle mense scolastiche; sviluppo di metodi di conservazione, confezionamento e distribuzione degli alimenti a basso impatto; sostegno a progetti di informazione alla cittadinanza su temi ambientali e sullo sviluppo sostenibile.     
Conclusione 
Che i nostri parlamentari non brillino per cultura scientifica non è un motivo per propinargli un documento senza alcun valore scientifico. I nostri parlamentari sono comunque i rappresentanti del popolo italiano, e l’accademia (anch’essa una istituzione pubblica) ne deve avere il massimo rispetto, e deve sforzarsi di fornire loro le migliori informazioni disponibili nel migliore dei modi possibili. È preoccupante vedere il livello dell’informazione “scientifica” prodotta da supposte associazioni accademiche. Specialmente quando questi gruppi di interesse si ergono a voce della scienza, e si propongono al nostro parlamento come guida nel processo decisionale.
Che sul biologico, come su ogni altro tema, si possa discutere e avere opinioni diverse va benissimo e ben venga un salutare confronto. È dal confronto, dalla critica, dalla messa in discussione delle teorie che la scienza, come anche la società, ha sempre tratto giovamento.

Il Gruppo Seta conclude il suo documento citando Galileo Galilei. Oltre che citarlo, Galileo Galilei lo si dovrebbe anche praticare. Il documento che ci propone il Gruppo Seta ha poco a che fare col metodo scientifico, e molto più a che fare con la propaganda. Etimologicamente il termine propaganda nasce con l’istituzione della Congregatio de Propaganda Fide, nel 1622, da parte di Papa Gregorio XV, meglio nota come Santa Inquisizione. Istituzione nelle cui mani finirono Galilei e tanti altri uomini di cultura e di scienza, oltreché tanta gente comune. Da alcuni anni, sembra che parti dell’accademia perseguano un approccio di tipo propagandistico nella loro comunicazione “scientifica”, in particolare in merito a questioni come le biotecnologie e l’agricoltura. Si è anche sentito parlare dell’istituzione di commissioni accademiche che dovrebbero vigilare sulla verità, un approccio che rievoca un po’ la Santa Inquisizione. Credo sarebbe deleterio per l’Accademia diventare un conclave di ministri della verità. L’Accademia deve rimanere un luogo di dibattito aperto, plurale e disinteressato, dove l’unica verità della quale ci si deve veramente preoccupare è il metodo, che dobbiamo assicurarci rimanga scientifico.