Mercato tedesco attendista sulle evoluzioni del mercato del biologico. La leva prezzo, in tempi di recessione che non ha risparmiato il colosso federale europeo, è uno dei principali driver di acquisto ed i player del settore, su questo presupposto, attendono anche l’evolversi delle negoziazioni della Commissione europea nei confronti dei Paesi terzi che definiranno nuovi accordi internazionali per l’import export del bio da e per l’Europa aggiornando le convenzioni vigenti sia in regime di cosiddetta equivalenza e, soprattutto, quelle in regime di conformità (compliance).
Questa situazione è stata causata dal fatto che, nel primo semestre 2022, il mercato del biologico tedesco, registra una vera e propria stagnazione. Nessuna crescita della quota di mercato, per lo meno nel primo semestre dell’anno, rispetto al 2021.
Anche la Germania è travolta dall’inflazione, dall’impennata dei costi energetici e dall’insicurezza politica causata dal conflitto russo-ucraino, che porta le famiglie ad assumere atteggiamenti cauti nei confronti del proprio budget di spesa.
Questa combo di concause potrebbe portare il principale mercato europeo del bio a rivoluzionare la sua agenda delle forniture, anche in considerazione del fatto che già prima dell’emergenza pandemica, e quindi a fine 2020, nuovi grandi operatori mondiali si sono affacciati nel mondo della produzione agroalimentare biologica.
Secondo lo studio ‘Il mondo dell’agricoltura Bio’ realizzato da FIBL, uno dei principali istituti di ricerca in agricoltura biologica al mondo, in collaborazione con IFOAM Organics International, e presentato all’ultima edizione di Biofach, sta irrompendo sul mercato l’Australia che ha raggiunto i 35,7 milioni di ettari anche se ha lo svantaggio di trovarsi, letteralmente, dall’altra parte del mondo, rispetto al mercato europeo e quindi l’obbligo di appesantire, eventualmente, le proprie forniture bio con un carico notevole di food miles in più.
Più vicini, crescono tanto anche molti altri Paesi emergenti centro e sudamericani o asiatici che producono a prezzi ultra competitivi come, ad esempio, l’Argentina con 4,5 milioni di ettari coltivati bio ed una crescita del settore ‘organic’ del 21% tra il 2019 e il 2020. Seguono l’Uruguay (2,7 milioni di ettari ed una crescita a fine 2020 del 28% sull’anno precedente) e l’India, che in post pandemia irrompe sul mercato con 1,6 milioni di nuovi produttori certificati; l’Etiopia con circa 220mila produttori e la Tanzania che è arrivata a toccare la soglia di 150mila produttori.
Sempre nel continente africano, c’è un potenziale di crescita di questo settore importante, guidato dalle coltivazioni cosiddette selvagge e da aree attualmente non dedicate all’agricoltura che, ad esempio, in Namibia dove ci sono circa 2,6 milioni di ettari e in Zambia con 2,5 milioni di ettari.
Tutto questo calderone di produttori low cost (non nascondiamoci dietro un dito) potrebbe contribuire ad incrementare l’offerta di prodotto certificato esportato verso l’Europa e quindi inasprire ulteriormente la competizione con i produttori all’interno del mercato dell’Unione.
Soprattutto in Germania, che è il primo Paese acquirente di bio in Europa. Un Paese esigente che fino a due anni fa era considerato tra i più selettivi e remunerativi e che, oggi, si trova a dovere fare i conti con la crisi congiunturale in atto e quindi, a dovere ottimizzare la spesa nazionale in prodotti biologici che, nel 2020, è stata quantificata nello studio di FIBL, in 15 miliardi di euro.
La Germania è un buyer di bio secondo solo al mercato statunitense che ha un giro di affari annuale dei prodotti certificati ‘organic’ di circa 50 miliardi di euro. Al terzo posto tra i principali compratori di bio c’è un altro Paese europeo, la Francia che nel 2020 registrava acquisti per 12,7 miliardi di euro e che, nei due anni pandemici, e poi, in questa crisi recessiva del in atto, ha visto una progressiva riduzione delle proprie superfici bio, al punto che le importazioni, preferibilmente dall’Europa, sono in aumento.
Tornando alla Germania, se da un lato aspetta di vedere come evolve il mercato per cercare di mantenere il livello di qualità della propria offerta di biologico, dall’altro cerca anche di andare incontro all’esigenza dei propri consumatori che hanno un minore potere di acquisto, e non nasconde, da quanto è emerso dai confronti tra gli operatori a Biofach, l’apertura anche a nuovi importatori da Paesi terzi. Un’apertura che va analizzata, però, alla luce del contesto globale in cui se 190 Paesi del pianeta registrano attività bio, solo 76 hanno regolamentazioni sul bio pianamente attuate.
Secondo lo studio ‘Il mercato biologico in Germania, punti salienti del 2021 e 2022’, presentato sempre a Biofach da Hans-Christopher Behr, responsabile AMI (Istituto di ricerca tedesco) per l’agricoltura biologica e lo studio sui consumatori oltre che esperto di mercato per l’ortofrutta, il canale distributivo tedesco del bio, che nel suo complesso ha registrato una crescita straordinaria nel 2020 (+15% sul 2019), nel 2021 ha iniziato a rallentare pur mantenendo il segno positivo (+5,8% di media nazionale sull’anno precedente).
In questo quadro il forte rallentamento è dato dalla perdita di terreno anche in Germania, dei negozi specializzati(-3,3%, anno su anno, con un fatturato in discesa a 3,6 miliardi di euro) che vengono surclassati dalla volata dei discount che fanno da driver principale alla crescita del settore retail in generale (supermarket + discount) che sfiora la doppia cifra (+9,1% e quasi 10 miliardi di euro di fatturato) e di punti vendita alternativi ma ultra specializzati come, ad esempio, i panifici, le macellerie, le vendite dirette dai produttori, i mercatini rionali e soprattutto le vendite online che, nel loro complesso, hanno raggiunto un giro d’affari di quasi 3 miliardi di euro.
In sostanza, in Germania, l’offerta bio si sta ultra-specializzando per lo zoccolo duro dei consumatori, mentre si sposta sul generalista (discount) per i consumatori che integrano la propria spesa con prodotti bio. Ultra-specializzazione va intesa nel senso che i consumatori fidelizzati di bio preferiscono rivolgersi ai tradizionali negozi al dettaglio come le botteghe, i fornai, che hanno ormai uno specifico assortimento (naturalmente, in questo caso, molto più approfondito) di prodotti bio piuttosto che rivolgersi alla catena specializzata in bio. Sul fronte dei negozi generalisti, infatti, stanno volando i discount proprio per il vantaggio del fattore prezzo.
Il mercato bio in Germania è cresciuto continuamente, fino al 2021 quando il relativo fatturato si è registrato un aumento del fatturato nazionale di 900 milioni rispetto al 2020, passando da 15 miliardi a 15,9 miliardi di euro con una quota sul totale del mercato food and beverage, anch’essa in crescita, del 7% contro il 6,8% del 2020 e il 5,8% del 2019.
“Nel 2022, con la guerra, la recessione e le conseguenze economiche di due anni di pandemia, è arrivato il contraccolpo ed il mercato tedesco del bio registra una stagnazione – dice Behr -. Nessuna crescita nei primi sei mesi del 2022, rispetto all’anno precedente. Il fatturato bio di tutti i distributori è in calo eccettuato quello dei discount, a dimostrazione che la leva prezzo incide pesantemente nelle scelte di acquisto dei consumatori”.
Il canale retail del bio, nei primi sei mesi del 2022, perde il 5,4% del fatturato con gli specializzati in picchiata (-22,1%) e gli ipermercati al -1,5%. Solo i discount volano sulle vendite di bio con una crescita del giro d’affari relativo del +11,5%, molto al di sopra del fatturato totale di food and beverage che, sempre per i discount ha una crescita più contenuta (+3,5%).
Tra i prodotti bio che sono sempre più richiesti dai consumatori tedeschi e che crescono di più nel rapporto tra la quota di bio sul totale delle rispettive categorie merceologiche, ci sono prodotti base come uova, farina e i drinking milk.
In leggera crescita, nelle preferenze dei consumatori, anche il canale bio per frutta fresca (che nel 2021 ha raggiunto una quota di mercato del 7,8% sul totale del giro d’affari food and beverage, rispetto al 7,4% dell’anno scorso); carne (4,4% contro il 3,5%); formaggio (da 3,8% della quota a 4%); pollo (da 2,7 a 3,1%) e derivati della carne (da 2% a 2,3%).