L’agricoltura civica funziona. E batte coronavirus e modello intensivo

L'approccio "alternativo" risolve molti limiti delle coltivazioni industriali ed è più resiliente nelle crisi. L'università di Firenze rivela: dove si pratica, i contagi calano del 60%

Cosa ci vuole per uscire dalla crisi economica e sociale che l’emergenza sanitaria da coronavirus (Covid-19 o SARS-CoV-2, se preferite) ci sta imponendo? Una buona agricoltura multifunzionale, che si basa su legami di prossimità, solidarietà e sostenibilità, per esempio. Un’agricoltura lontana dal modello intensivo, industrializzato e standardizzato prediletto dalla grande distribuzione organizzata (la rete dei supermercati, per intenderci).
La notizia positiva è che questa agricoltura esiste già. Potremmo chiamarla complessivamente agricoltura civica, anche se la formula – come ogni definizione – non riesce a essere esaustiva di un fenomeno articolato. Anche perché stiamo parlando di ciò che sembra un sistema di agricolture, a cui concorrono strumenti di supporto reciproco tra agricoltori e consumatori, e stili di consumo consapevole, abbracciando tante anime della cosiddetta economia civile. A vario titolo vi rientrano, infatti, le cooperative agricole e i soggetti dell’agricoltura sociale o le esperienze di CSA (community-supported agricolture); ne sono un pilastro i gruppi di acquisto solidale (i GAS) e le reti che li alimentano. Ma possono contribuirvi anche le poco note associazioni fondiarie.
SCHEMA agricoltura multifunzionale nel sistema dell’Economia civile – FONTE “L’agricoltura multifunzionale”, Catia Eliana Angelucci, 2017
La notizia migliore ad ogni modo è un’altra. Guardando alla resistenza dell’agricoltura civica dimostrata durante le restrizioni imposte dalla pandemia, pensando alla fantomatica fase 2 e a un ipotetico rilancio economico territoriale, auspicando infine l’affermarsi di un modello di sviluppo sostenibile, questa agricoltura offre ottime garanzie – anche sanitarie e ambientali – e soluzioni replicabili.
Coronavirus: più contagi dove prevale l’agricoltura intensiva
Ad oggi, ovviamente, l’aspetto che preoccupa di più è quello della diffusione dell”epidemia. Ecco perché risulta ancora più interessante un studio recente della Scuola di agraria dell’Università di Firenze che, in proposito, ha preso in esame quattro tipologie di aree coltivate. Il risultato? Una minor incidenza media di contagi all’area dove si pratica un modello di agricoltura tradizionale, quindi assai distante da quella industriale, ad esempio.
«Considerato il dato medio nazionale della diffusione del coronavirus, pari a 47 casi ogni 100 kmq, nelle aree ad agricoltura intensiva l’intensità del contagio sale a 94 casi ogni 100 kmq, mentre nelle aree ad agricoltura non intensiva il dato scende a 32 casi ogni 100 kmq» spiega Mauro Agnoletti, coordinatore del gruppo di ricerca dell’ateneo toscano.
La rilevazione punta particolarmente l’obiettivo sulla Pianura Padana, dove si concentra il 61% delle aree ad agricoltura intensiva del Paese, con il 70% dei casi di Covid-19: «nelle aree della Pianura Padana ad agricoltura intensiva si registrano 138 casi ogni 100 kmq, mentre in quelle ad agricoltura non intensiva la media scende a 90 casi ogni 100 kmq». Insomma “balla” un 53% in più di contagi a sfavore delle prime.
Lo studio non indaga le cause specifiche di questa dinamica. Registra tuttavia che «le aree a media e bassa intensità energetica, dove sono concentrate il 68% delle superfici protette italiane, risultano invece meno colpite dal coronavirus SARS-CoV-2. Queste aree sono distribuite soprattutto nelle zone medio collinari, montane alpine ed appenniniche, caratterizzate da risorse paesaggistiche, naturalistiche ma anche culturali, storiche e produzioni tipiche legate a criteri qualitativi più che quantitativi». Tutte informazioni che potrebbero rivelarsi utili per la ricostruzione che ci aspetta.

Gas e reti dell’economia solidale: resilienti e vicini

Di fronte al rischio contagio, insomma, i territori segnati dalla piccola agricoltura tradizionale, e talvolta marginale, si comportano bene. E forse questo ha qualcosa a che fare con le intenzioni di consumo che, dai tempi del Covid-19, potrebbero confermarsi per il futuro.
Mentre l’economia solidale ragiona sulla pandemia pensando al futuro, rafforza le proprie peculiarità (rapidità di adattamento, relazione con l’utenza) sviluppando servizi, qualcosa accade anche a livello individuale. Si consolida, infatti, la consapevolezza che rifornirsi localmente e direttamente dai produttori garantisce un minore passaggio di mani della merce, confortando sul piano della salute. Questo pensiero, superando i limiti consueti della comunità che frequenta storicamente gli incontri della RIES e alimenta i GAS, spinge «anche quelli meno interessati all’etica» a puntare su produzione e distribuzione di prossimità dei beni alimentari.
Stando ai produttori, insomma, un numero maggiore di persone riconosce il vantaggio di un sistema che promuove da sempre biologico, coltivazione rispettosa di clima e paesaggio, legalità nei rapporti di lavoro. Un sistema che unisce contadini e consumatori in una forma di sostegno sempre più reciproco, producendo impatti economici di rilievo sul territorio.
Il consorzio Le Galline felici, per esempio, dà lavoro a 45 dipendenti e raduna 40 aziende agricole per un giro d’affari di circa 3 milioni e mezzo di euro l’anno. E di ciò traggono beneficio circa 500 persone direttamente, oltre alle piccole botteghe che vi si riforniscono, e le migliaia di famiglie che, in Italia e all’estero (soprattutto in Francia, Belgio e Lussemburgo), utilizzano i GAS affiliati per acquistare cibo.

L’economia civile passa per cooperative e agricoltura sociale

E se i soggetti dell’economia solidale, sostenitori di uno sviluppo sostenibile e perciò meno compromesso con la pandemia, sono parte di quell’agricoltura civica multifunzionale di cui stiamo trattando, di certo lo sono anche le cooperative del settore agroalimentare. Lo stesso vale per chi fa agricoltura sociale, che spesso rientra anche formalmente nella cooperazione, e affianca la produzione agricola (30% minimo del fatturato) con attività di welfare (inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, assistenza e cura delle persone, servizi educativi).
Mondi ricchi di professionalità e di peso economico e occupazionale, che in questa fase non sono immuni dai contraccolpi delle restrizioni anti-coronavirus, ma si dimostrano, come già dopo il crollo del 2008, resilienti. «Il vantaggio competitivo di una parte del Terzo settore, cioè della cooperazione, è fatto che vive di stipendio» osserva Giuliano Ciano, portavoce del Forum nazionale dell’agricoltura sociale. «Questo si evidenzia specialmente nei momenti di crisi. Il secondo vantaggio è che il Terzo settoree chi fa assistenza alle persone, inclusa l’agricoltura sociale, in un momento di crisi è capace di mutare, e riesce a trovare sbocchi di natura differente dal punto di vista economico ma anche a modificare le proprie attività».
GRAFICO operatori agricoltura sociale per forma giuridica – fonte Mipaaf-Crea-Rrn, rapporto 2017
Associando agricoltura e servizi socio-educativi, pur tra centinaia di persone oggi in cassa integrazione, le oltre 700 realtà economiche riconosciute per legge nell’agricoltura sociale, per ora, si reinventano e reggono. Ed è fondamentale anche pensando alla cooperazione agricola in generale, dal momento che, stando al Rapporto 2017 dell’Osservatorio della cooperazione agricola italiana, le circa 4700 cooperative agricole italiane registravano 35 miliardi di euro di fatturato (8,9 miliardi per il solo comparto ortofrutta).

CSA e associazioni fondiarie: l’agricoltura si fa più civile

Ma le modalità dell’agricoltura “alternativa” non sono finite qui. Ce ne sono almeno un altro paio. Innanzitutto le associazioni fondiarie, riconosciute nel 2016 dal Piemonte, prima tra le regioni italiane. Ancora poco diffuse, a causa della giovane età, le associazioni fondiarie consentono a gruppi di cittadini di acquisire “in prestito” dai proprietari micro-appezzamenti e terreni agricoli incolti o abbandonati, lavorarli e ripristinarli nel rispetto di obblighi paesaggistici, col vantaggio non secondario di prevenire i rischi idrogeologici e gli incendi.

Approfondimento

Un patto tra cittadini e contadini per un’agricoltura sana e giusta

Si chiama Community-supported agriculture: è un modello che unisce chi produce a chi consuma. Risultato: un'agricoltura bio che promuove l'equo compenso
Ci sono poi le CSA, ovvero le comunità di agricoltori supportate dai cittadini, altra forma di sostegno biunivoco tra chi coltiva e chi consuma. Si tratta di un fenomeno di rilievo internazionale ma non sono ancora molte le community-supported agriculture italiane. Tra le principali ci sono senz’altro Arvaia, a Bologna, la romana Semi di comunità e Cumpanatico Sud in Campania.
Community-supported agriculture alla Cooperativa Arvaia di Bologna, alcune cifre 2017-2018
In generale si tratta di cooperative agricole nelle quali soci lavoratori e fruitori partecipano alle attività in campo e fuori, prefinanziando le produzioni orticole. Tuttavia, tra le CSA possiamo incontrare iniziative guidate dai contadini e altre in cui l’impresa è gestita direttamente dalla comunità attraverso la cooperazione. ....... Articolo completo su: https://valori.it/agricoltura-civica-coronavirus/

Corso gratuito sulla salvaguardia, ripristino e miglioramento della biodiversità

In collaborazione con Baldofestival, abbiamo organizzato un corso gratuito di 20 ore sulla salvaguardia, ripristino e miglioramento della biodiversitàSi affronterà anche la progettazione di siepi e boschetti campestri, boschi collinari e montani, temi molto attuali per la mitigazione dei fenomeni causati dal cambiamento climatico. Una lezione sarà svolta presso un sito del progetto LIFE + InBioWood in provincia di Verona. Possono partecipare: imprenditori agricoli, loro familiari (partecipi e coadiuvanti), loro dipendenti, dipendenti di cooperative agricole, sia di zone montane che di collina e pianura.  La sede sarà presso l’Unione Montana Baldo Garda a Villa Nichesola Loc. Platano di Caprino V.se. Per la buona gestione del corso chiediamo la responsabilità individuale a partecipare alle lezioni almeno per l’80% delle ore.
Per info e iscrizioni scrivere a info@aveprobi.org 
Nell’eventualità che le restrizioni vigenti per la sicurezza sanitaria permangano nel tempo, il corso potrebbe subire delle variazioni.


Sbloccare il lavoro e riaprire i mercatini per salvare l’agricoltura




Intervista a Andrea Bertoldi, vicepresidente FederBio: per affrontare l’emergenza del settore agricolo servono subito soluzioni; bisogna fare in fretta

Secondo alcune stime in Italia nel settore agricolo mancano all’appello 370.000 lavoratori stagionali (sono 1 milione in Europa). A causa del coronavirus e delle misure adottate per rallentarne la diffusione, questo flusso di lavoratori si è interrotto determinando una situazione critica che sta mettendo a rischio la raccolta – quindi l’approvvigionamento – di molti prodotti principalmente ortofrutticoli – e la stessa sopravvivenza di molte aziende agricole.
Per fronteggiare questa emergenza le soluzioni allo studio sono tante: dopo la proroga al 15 giugno dei permessi dei lavoratori extra comunitari stagionali presenti in Italia decisa dal ministro dell’Agricoltura  e la  possibilità di far lavorare nelle aziende agricole i parenti fino al sesto grado, si sta discutendo del modello dei voucher e della definizione di accordi con Paesi Ue per riportare nel nostro Paese i lavoratori stagionali comunitari, 100.000 provenienti solo dalla Romania.
” Le proposte che si sentono sono tante, più o meno interessanti, ma quello che bisogna fare è trovare una soluzione presto”, sottolinea Andrea Bertoldi, vicepresidente di FederBio.  “Ho letto di questa norma che consente di far lavorare i parenti fino al sesto grado nelle aziende agricole. E so di aziende che si sono già organizzate in tal senso. In questo momento nella provincia di Verona si parla della carenza di 3.000 persone necessarie principalmente per la raccolta della fragola. Credo che in questa grave emergenza bisogna saper sfruttare tutte le opportunità che ci sono. In Spagna il governo ha deciso che per sopperire alla mancanza di manodopera straniera fino al 30 giugno nei campi potranno lavorare i disoccupati spagnoli.  Pertanto ritengo che anche in Italia la proposta dei voucher richiesta dal mondo agricolo possa essere una soluzione valida, quantomeno come misura una tantum per affrontare questa situazione e far lavorare persone che attualmente si trovano disoccupate a casa. Anche se non bisogna sottovalutare il lavoro agricolo. Non è un lavoro che si impara da un giorno all’altro: è spesso un lavoro duro che si fa al caldo, piegati per ore”.

Carenza di manodopera, ci sono alcune differenze…

Una situazione critica quella che sta vivendo il settore agricolo che evidentemente accomuna le aziende convenzionali e biologiche.  “In questo momento le aziende agricole del biologico vivono le stesse problematiche delle aziende convenzionali per quanto riguarda la carenza di manodopera”, continua Bertoldi. “C’è però una precisazione da fare sull’organizzazione del lavoro: il problema della carenza di manodopera è particolarmente sentito nelle aziende strutturate sulla coltivazione di pochi prodotti  e che si trovano così ad aver grandi picchi di lavoro concentrati in alcuni periodi dell’anno. Un esempio può essere quello delle aziende che producono fragole e che ad esempio in queste settimane hanno bisogno di tanta manodopera per la raccolta. E se è vero che nel biologico c’è un maggiore utilizzo di manodopera proprio perché certe lavorazioni sono fatte a mano,  è anche vero che le aziende biologiche non sono specializzate su pochi prodotti ma sono organizzate su più prodotti nell’anno, sulla rotazione delle colture. C’è una maggiore e più costante continuità lavorativa, con meno picchi. Questa organizzazione fa soffrire un po’ meno le aziende bio”.
Alla difficoltà del reperimento della manodopera si aggiunge però un altro aspetto particolarmente penalizzante per le aziende biologiche: la chiusura dei mercatini del fresco all’aperto. Sul tema nei giorni scorsi FederBio ha lanciato un appello ai sindaci italiani chiedendo  di riaprire i mercati agricoli locali, ovviamente nel massimo rispetto delle norme di sicurezza.
“Queste forme di vendita diretta sono particolarmente diffuse nel biologico, molto più rispetto al settore convenzionale. Non poter vendere direttamente il proprio prodotto nei mercati locali che sono uno sbocco di vendita privilegiato, a volte esclusivo, oltre a rappresentare  per le aziende  biologiche un problema di sopravvivenza,  toglie alle comunità locali una possibilità di avere cibo sano. Per questo è importante che le aziende possano tornare a vendere direttamente in quella modalità, ovviamente rispettando la sicurezza e la salute degli agricoltori e dei clienti. E’ evidente che sarà necessario modificare l’organizzazione di questi mercatini ma invito i Comuni italiani a darsi da fare in tal senso, a trovare le soluzioni adatte per far riprendere questo canale di vendita”, conclude Bertoldi.

BIOEDILIZIA: Come #stoacasa? INIZIATIVA La Biolca










Sabato 2 e 9 maggio dalle 15.00 alle 16.00
Con Elena Vettore, architetto e autocostruttore
Webinar* aperto a tutti di consapevolezza edilizia.
Un’inaspettata emergenza ci obbliga a rimanere a casa. Un’occasione, nonostante tutto, in cui siamo entrati in vero contatto con il luogo in cui viviamo.
Magari abbiamo scoperto qualcosa di nuovo o qualcosa che vorremmo cambiare.
E’ capitato anche a te di immaginare nuove soluzioni per i tuoi spazi? Vorresti eliminare in modo definitivo alcuni problemi ricorrenti, ma forse non sai come fare? Forse, ad esempio, sei stanco di pulire quell’angolo scuro dove si forma sempre un po’ di muffa o, perché no, hai semplicemente voglia di cambiare il pavimento… Oppure cerchi idee e suggerimenti per migliorare il tuo benessere, ma non immagini nemmeno tu cosa puoi pretendere dalla tua casa, o sei stanco di accontentarti e vorresti sapere come vivere meglio e iniziare a risparmiare…
Per condividere le tue idee, fare domande, imparare come si fa ad aumentare il tuo benessere in casa, ti invito a partecipare a questi due incontri online.
In questi webinar* sperimenteremo un’inversione di rotta rispetto ai soliti corsi: il percorso lo sceglierete voi perché le mie spiegazioni partiranno dai vostri VERI bisogni e non viceversa!

Il percorso si svolgerà in due incontri:

Sabato 2 maggio 2020, dalle 15:00 alle 16:00.
1° Imparare a leggere i segni che ci sta inviando la nostra casa:
-Esempio: un appartamento degli anni ‘70 poco confortevole. Come migliorarlo?
-Presentazione del test per conoscere alcune patologie nascoste della casa.
Sabato 9 maggio 2020, dalle 15:00 alle 16:00.
2° Analisi dei risultati dei test compilati in privato:
-Suggerimenti pratici per vivere bene e realizzare i propri desideri.
Relatrice: Elena Vettore, architetto e autocostruttore, profondamente appassionata di permacultura e sostenibilità. Cura il sito 8plan.net
Dove: L’incontro si svolgerà in diretta web collegandosi con computer o telefono tramite Google Meet. Basterà cliccare sul link che riceverai via mail dopo aver inviato la tua adesione. Se hai bisogno di aiuto o spiegazioni cerca “utilizzare meet google” sui motori di ricerca.
Quota di partecipazione: Gratuito ed aperto a tutti.
Adesioni: il webinar* è limitato a 250 partecipanti, per consentirci di organizzare al meglio la lezione è raccomandato dare la propria adesione via email o telefonicamente. Se sei interessato contattaci per ricevere il link al webinar.
Se non hai potuto partecipare al primo incontro richiedi il test che verrà discusso nel secondo incontro scrivendo a: elena.vettore@alice.it.
Per informazioni e/o iscrizioni: 345 2758337 (Martina) o info@labiolca.it
Potete iscrivervi anche lasciando un commento su questa pagina: Ricordiamo a tutti che quando vedete approvato il vostro commento significa che siete iscritti.
Il giorno prima del corso manderemo la conferma via mail e il giorno stesso, una quindicina di minuti prima circa, il link per accedere alla piattaforma.

* Webinar è un seminario in rete. A differenza dei semplici video con il webinar è possibile interagire con tutti i partecipanti e con i relatori

Pesticidi, nei Paesi poveri uno su tre è illegale

Lo afferma un rapporto dell’Unep. Le normative sono insufficienti, i controlli scarsi


Contraffatti, non conformi, non autorizzati, vietati. Sono alcune tipologie di pesticidi che ogni anno vengono commerciate illegalmente passando le frontiere dei vari Paesi. Sul traffico illecito di sostanze chimiche ha cercato di far luce un rapporto dell’United Nations Environment Programme, “Illegal Trade in Chemicals” redatto con  Grid-Arendal.
La relazione si concentra principalmente sul traffico illecito di pesticidi e di mercurio: un mercato che oltre a crescere di anno in anno si muove velocemente anche sul mercato on  line. Se la scala totale del commercio illegale di prodotti chimici rimane difficile da valutare, l’Unep stima al 30% la quantità di pesticidi non conformi venduti nei Paesi in via di sviluppo (arrivando al 50% per quanto riguarda il mercurio). In termini economici il mercato parallelo dei prodotti contraffatti causa perdite di entrate annue di 1,3 miliardi di euro nel settore dei pesticidi legali nell’Ue, arrivando fino a 215 milioni di dollari per il mercurio.
Ma le conseguenze più pesanti di questo commercio che sfugge alle normative internazionali sono a livello ambientale e sociale.
Interessati dal traffico illegale di pesticidi sono principalmente – ma non solo – i Paesi in via di sviluppo. I contadini più poveri non possono permettersi di utilizzare fitofarmaci in regola e acquistano sostanze fuori legge o contraffatte. Prodotti certo molto meno costosi ma spesso ancor più pericolosi, non controllati, contenenti principi attivi vietati, concentrazioni non adeguate.
A questo si aggiunge la mancanza di consapevolezza da parte degli agricoltori sulla pericolosità dei prodotti che si trovano a utilizzare.  Se l’informazione fornita sull’utilizzo dei pesticidi legali è scarsa e non sempre comprensibile ai contadini, quella sui pesticidi illegali è del tutto assente.

Pesticidi: traffici illeciti, controlli e smaltimento, anche questo preoccupa

Ad aggravare la situazione ci sono poi alcuni aspetti normativi. In molti Paesi non esiste una adeguata regolamentazione in materia, cosa che si presta a pericolose distorsioni che favoriscono i traffici illeciti. Alcune nazioni, ad esempio, permettono una sorta di registrazione temporanea delle sostanze a scopo sperimentale senza fissare limiti quantitativi. Il che si traduce nella possibilità di introdurre quantità non specificate di sostanze non del tutto sicure.
Non solo. Spesso gli stessi sistemi di controllo sono poco efficienti. Ad esempio, molti Paesi non tracciano la raccolta e lo smaltimento dei contenitori usati dei pesticidi. In questo modo i commercianti illegali riescono a riutilizzare questi contenitori per vendere prodotti contraffatti.
Così come non sempre sono attivi efficaci sistemi di allerta per segnalare rapidamente il passaggio di prodotti contraffatti e le stesse forze dell’ordine non sono sempre adeguatamente addestrate o attrezzate per rilevare e riconoscere sostanze chimiche illecite e contenitori contraffatti o documenti di spedizione alterati.

tratto da: https://www.cambialaterra.it/2020/04/pesticidi-nei-paesi-poveri-uno-su-tre-e-illegale/?utm_source=Newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=NewsletterCLT

Stop ai fondi pubblici per l’agricoltura intensiva e sostegno all’agricoltura su piccola scala






Lo chiede Greenpeace: così si riduce il rischio di future pandemie. Sul banco degli imputati anche gli allevamenti lager

A livello nazionale ed europeo i lobbisti del settore agricolo hanno già chiesto sostegno per il settore delle carni e dei latticini. Ma per ridurre il rischio di future pandemie, l’Unione europea e i governi nazionali devono bloccare il sostegno all’allevamento intensivo nei pacchetti di salvataggio o con altri sussidi pubblici, salvando invece l’agricoltura su piccola scala. La richiesta arriva da Greenpeace che entra così nel dibattito sul post emergenza.
L’allevamento intensivo ha un ruolo ben noto sia per l’emersione che la diffusione di infezioni virali simili al Covid-19. Si stima, dice Greenpeace, che il 73% di tutte le malattie infettive emergenti provenga da animali. E che gli animali allevati trasmettano agli esseri umani un grande numero di virus, come i coronavirus e i virus dell’influenza. “E’ probabile che gli allevamenti intensivi, in particolare di pollame e suini, nei quali gli animali sono tenuti a stretto contatto e in numero molto elevato, oltre che movimentati su grandi distanze, possano far aumentare la trasmissione di malattie”.
Migliorare la salute dell’uomo e degli animali, insieme a quella delle piante e dell’ambiente, “è l’unico modo per mantenere e preservare la sostenibilità del pianeta” dichiara Ilaria Capua, direttrice della One Health Center of Excellence dell’Università della Florida, sottolineando che la salute umana è indissolubilmente legata alla salute degli animali e della natura. “Avremo un pianeta e una vita sani solo se cambiamo drasticamente il modo in cui trattiamo gli altri esseri viventi, animali negli allevamenti intensivi compresi”, aggiunge la nota dell’associazione ambientalista.

Distruzione foreste, il ruolo dell’allevamento

L’allevamento degli animali “è il principale motore della distruzione globale delle foreste e i ricercatori stimano che il 31% delle epidemie di malattie emergenti sia legato al cambiamento nell’uso del suolo – tra queste Hiv, Ebola e Zika – causato dall’invasione umana nelle foreste pluviali tropicali”, dice Greenpeace.
L’allevamento intensivo e la distruzione delle foreste legata alla necessità di produrre mangimi sono “ingredienti perfetti per future pandemie. Se continuiamo a spingere gli animali selvatici a contatto con le persone e a concentrare gli animali in allevamenti sempre più grandi, il Covid-19 non sarà purtroppo l’ultima emergenza che dovremo subire. L’Ue e i governi nazionali devono salvare gli agricoltori su piccola scala colpiti da questa crisi e smettere di sostenere il sistema degli allevamenti intensivi che mettono a rischio la salute pubblica”, dichiara Federica Ferrario, responsabile campagna agricoltura di Greenpeace Italia.

Pac e settore zootecnico

Il settore zootecnico europeo, nell’ambito dell’attuale Politica Agricola Comune (Pac) riceve già, direttamente e indirettamente attraverso la produzione di mangimi, tra i 28 e i 32 miliardi di euro all’anno in sussidi pubblici dell’Ue, il 18-20 per cento del bilancio totale dell’Ue. “La stragrande maggioranza di questi pagamenti sostiene le aziende intensive più grandi, che forniscono oltre il 72% dei prodotti di origine animale nell’Ue, mentre le aziende più piccole continuano a scomparire. Quasi tre milioni di allevamenti hanno chiuso tra il 2005 e il 2013, quasi un terzo di tutti gli allevamenti dell’Ue. L’Italia, tra il 2004 e il 2016, ha perso oltre 320 mila aziende (un calo del 38 per cento)”.
Greenpeace chiede all’Ue e ai governi nazionali di garantire una transizione giusta ed equa fornendo aiuti finanziari agli agricoltori su piccola scala che, “adottando pratiche ecologiche e lavorando a livello locale assicurano una produzione alimentare sana e resiliente, nonché ai lavoratori agricoli che potrebbero perdere i propri mezzi di sussistenza”.

tratto da: https://www.cambialaterra.it/2020/04/stop-ai-fondi-pubblici-per-lagricoltura-intensiva-e-sostegno-allagricoltura-su-piccola-scala/?utm_source=Newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=NewsletterCLT

Consegne a domicilio dei prodotti biologici dei soci AVEPROBI

DA  AVEPROBI
In questo periodo di divieti comunali per il normale svolgimento dei mercatini di prodotti alimentari, alcuni dei nostri Soci si stanno organizzando per fare la consegna a domicilio dei loro prodotti.

Ecco una lista (al momento parziale) che può esservi utile:
  1. Az. Agr. Aidi di Sartore Falvio – Marano Vicentinohttp://www.formaggiaidi.it/
  2. Vini Giol – San Polo di Piave (Tv) https://www.giolitalia.com/ – 
  3. Fattoria Sociale Tezon – Veronella (Vr)  http://www.fattoriasocialetezon.it/
  4. Winkler Alessandro – Vittorio Veneto (Tv) https://boscherawinkler.com/
  5. Guglielmetti Gelmino – Caldiero (Vr) http://www.guglielmettibio.it/index.html
  6. Peri Angelo – Salionze di Valeggio sul Mincio (Vr) https://www.facebook.com/agribiocanova/
  7. Lago Mattia – Isola della Scala (Vr) cell. dedicato 3924340875
  8. Fasoli Lino – Colognola ai Colli (Vr) https://fasoligino.com/categoria-prodotto/vini/
  9. Strumendo Sante – Portogruaro (Ve) http://www.strumendovini.it
  10. Societa’ Cooperativa Agricola Ca’ Magre – Isola della Scala Vr) https://www.facebook.com/coopcamagre/
  11. Rete Melovita di Bezzi Mirko e Migliorini Fabio  Via Vignola 825 – 35040 Urbana Pd  http://retemelovita.it/ https://m.facebook.com/rete.melovita/
  12. Fattoria Massignan- Brendola (Vi) https://www.fattoria-didattica-massignan.it/
  13. Azienda agricola Faccio Bio – Sommacampagna (Vr) https://facciobio.adunmetro.it/

Lavoro in agricoltura: come candidarsi

Su ClicLavoro Veneto è possibile caricare il proprio CV e renderlo disponibile alle aziende alla ricerca di lavoratori stagionali


Per sopperire alla mancanza di lavoratori nel settore agricolo, a corto di manodopera nei campi soprattutto per l'impossibilità di ricorrere ai lavoratori stranieri abitualmente impiegati nelle attività stagionali e ora bloccati nei propri Paesi a causa dell'emergenza coronavirus, la Regione del Veneto, in accordo con Veneto Lavoro, organizzazioni di categoria e sindacati, ha avviato un progetto pilota per il reclutamento di personale in agricoltura.

Centri per l'Impiego del Veneto raccoglieranno nei prossimi giorni le offerte di lavoro delle aziende del settore e selezioneranno i candidati potenzialmente idonei tra quelli presenti nei propri elenchi. Secondo le stime, sarebbero circa 5 mila i posti scoperti per attività urgenti quali la raccolta di fragole, asparagi e primizie, le operazioni di primavera nelle vigne e l'avvio delle colture estive. Tutti i lavoratori impiegati in tali attività saranno dotati dei dispositivi di protezione individuale necessari in questo periodo di emergenza (mascherine, guanti ecc.) e sarà garantita l'adozione di tutte le misure di sicurezza previste dai protocolli di tutela anti-Covid, oltre che eventuali attività di formazione alle mansioni richieste e supporto alla mobilità per consentire ai lavoratori di raggiungere i luoghi di lavoro.

I lavoratori interessati possono candidarsi tramite il portale di ClicLavoro Veneto utilizzando il servizio Centro per l'Impiego Online. Per accedere è necessario essere registrati. Una volta effettuato l'accesso è possibile inserire il proprio curriculum alla voce "Il mio CV" facendo attenzione a indicare nel campo delle aspirazioni professionali una qualifica del settore agricoltura quale ad esempio operaio agricolo, bracciante, allevatore e agricoltore. Una volta completato l'inserimento del CV, cliccare su "Aggiorna la tua candidatura" per inviarlo al Centro per l'Impiego. Solo i candidati ritenuti idonei saranno ricontattati.

All'interno dello servizio Centro per l'Impiego Online saranno a breve disponibili tutti i dettagli delle offerte di lavoro, quali il profilo professionale richiesto, il tipo di mansione e il luogo di svolgimento dell'attività, le condizioni contrattuali disponibili ed eventuali requisiti specifici.

Come approcciare il mercato nel post-coronavirus, alcune linee guida

Dopo i momenti più critici della pandemia, si inizia con prudenza a prefigurare un progressivo ritorno alla “normalità”. Non si conoscono ancora date precise per riprendere a muoversi “liberamente”, ma possiamo già dire che non tutto sarà come prima. Alcuni cambiamenti nel comportamento di acquisto e nelle scelte di consumo rimarranno presenti e caratterizzeranno il mercato dell’ortofrutta per i prossimi anni. Diviene dunque opportuno cominciare a ragionare su questi mutamenti per capire come le aziende potranno affrontare correttamente il mercato.
Cosa caratterizzerà il comportamento del consumatore, quali fattori condizioneranno le sue scelte di acquisto?
A questa domanda, come SGMARKETING, abbiamo cominciato a dare delle risposte, che a nostro avviso potranno offrire agli operatori prime linee guida per affrontare il prossimo futuro.
Innanzitutto, va considerato il fatto che, purtroppo, l’area della popolazione che ridurrà il proprio potere di acquisto si allargherà ulteriormente. Il Paese sarà fortemente impoverito dalla pandemia, si parla di una riduzione del PIL di circa il 9% nel 2020: interi comparti produttivi fondamentali per l’Italia, come il turismo e l’Ho.Re.Ca., sono in ginocchio e questo aggraverà l’incertezza sul futuro.
In termini di comportamento di acquisto, lo scenario delineato, si tradurrà in una maggiore richiesta di convenienza verso i prodotti alimentari, ortofrutta inclusa. Sarà dunque verosimile che la pressione della GDO crescerà e che le marche del distributore cercheranno di farsi portatrici di questo concetto nei confronti del consumatore. Le imprese della produzione, i brand dell’ortofrutta, se non vorranno essere ulteriormente schiacciati, dovranno porsi il tema di proporre esse stesse, riprogettando la propria offerta e la propria comunicazione, soluzioni al consumatore.
Un secondo tema che rappresenterà un cambiamento nel consumatore è rappresentato dalla richiesta di rassicurazione circa la sicurezza alimentare. In questo ambito trovano la propria motivazione di acquisto diverse tipologie di prodotti. Assisteremo ad una rinnovata attenzione per i prodotti del territorio e l’origine italiana.Maggiore apertura di credito verrà riservata ai prodotti a filiera controllata e/o residuo zero.  A questa motivazione si rifà lo spostamento di acquisto dallo sfuso al confezionato. Questo elemento per un insieme di motivazioni sarà uno dei mutamenti più strutturali nell’offerta della GDO dei prossimi anni. Qui, il fattore di rassicurazione è legato al fatto che il prodotto confezionato all’origine non può essere manipolato sul punto vendita dai clienti e, quindi, viene preservato da possibili contaminazioni.
Un terzo ambito, anch’esso già presente, ma che subirà un ampliamento importante nelle scelte di acquisto, sarà quello legato al salutismo. Basti pensare alle vendite che si sono registrate in queste settimane di alcuni prodotti con un vissuto di questo tipo: arance rosse, limoni, kiwi, ecc. Quest’area verrà declinata dal biologico, ai prodotti “nutraceutici” o presunti tali: prodotti ad alto contenuto di vitamina C, antiossidanti, ecc.
Tutti questi elementi avranno valore se verranno comunicati adeguatamente.
Questa considerazione introduce il quarto elemento, che rappresenta sicuramente un’occasione di valorizzazione dei prodotti da parte delle imprese italiane.
Per poter costruire un rapporto di valore, in particolare, i brand e le imprese che vorranno avere un ruolo da protagonisti dovranno comunicare i benefit legati al consumo dei propri prodotti.
Il consumatore dovrà sentire la cura, l’attenzione posta dai produttori nel dare risposte alle proprie esigenze di consumo e nel rassicurarlo che con il proprio prodotto queste potranno essere soddisfatte.
Bisognerà sviluppare una nuova modalità di comunicazione che abbia al centro (finalmente!!) il consumatore e le sue richieste e che ponga il brand come il soggetto che propone la soluzione alle sue incertezze. Una comunicazione in cui l’”effetto comunità”, cioè la capacità di costruire un rapporto alla pari tra esseri umani ed impresa, sia opportunamente enfatizzato.
Questa strategia di comunicazione deve essere declinata in modo differente dal passato. Sarà necessario oltre alla declinazione ‘on pack’, prevedere un uso mirato e corretto dei social. La comunicazione digitale  costituirà la strategia più adeguata per coinvolgere e costruire comunità di persone che si ritrovano intorno ai valori ed alle risposte proposte dai brand.
Questo è il terreno proprio di comunicazione dell’impresa, che solo il produttore può garantire in modo autentico al proprio cliente e, quindi, potrà costituire la strada per preservare il valore del proprio prodotto nel mercato.
Claudio Scalise - SGMarketing

tratto da: https://www.greenplanet.net/come-approcciare-il-mercato-nel-post-coronavirus-alcune-linee-guida/

Orti urbani: potrebbero produrre frutta e verdura a sufficienza per il 15% degli abitanti della città. Basta coltivare il 10% delle aree verdi

La produzione di frutta e verdura nelle grandi città potrebbe crescere molto, aiutando così i cittadini a dipendere di meno dai grandi circuiti produttivi internazionali: se si dedicasse a questo scopo il 10% degli spazi disponibili, si potrebbe facilmente arrivare a coprire il fabbisogno giornaliero di frutta e verdura del 15% della popolazione urbana. Le stime arrivano dall’Institute for Sustainable Food dell’Università di Sheffield, in Regno Unito, che ha pubblicato su Nature Food una serie di numeri e di valutazioni molto interessanti relativi alla stessa città.
Nella città inglese i giardini, i parchi, le aiuole ai bordi delle strade, gli orti urbani e quelli sui tetti coprono infatti circa il 45% della superficie comunale, una percentuale simile a quella che si riscontra in molte altre città britanniche. Nello specifico, gli orti ricoprono l’1,3% dello spazio, mentre i giardini delle case il 38%. Inoltre ci sarebbe un altro 15% potenzialmente coltivabile, se si sfruttasse una parte di tutti gli altri spazi verdi esistenti. Se tutto ciò fosse dedicato alla produzione di cibo, la superficie coltivata passerebbe dagli attuali 23 a 98 metri quadrati per abitante. In questo modo si arriverebbe facilmente a produrre la frutta e la verdura necessaria a nutrire, con cinque porzioni al giorno, 709 mila persone, cioè più della popolazione attuale di Sheffield (il 122%). Restando su un più realistico 10% dei giardini delle case, sommato a un altro 10% degli spazi verdi e agli orti urbani già attivi, si raggiungerebbe il 15% del fabbisogno locale, cioè si fornirebbero frutta e verdura a oltre 87 mila persone.
Gli orti urbani potrebbero fornire frutta e verdura al 15% della popolazione delle città, coprendo solo il 10% delle aree verdi disponibili
Ma c’è di più. I ricercatori hanno infatti preso in considerazione anche un’altra modalità facilmente applicabile: la coltivazione idroponica o acquaponica (che comprende anche l’allevamento di pesci in un sistema circolare), da installare sui tetti piatti utilizzando materiali riciclati come supporto, energia rinnovabile per il fabbisogno giornaliero e acqua piovana. A Sheffield ci sono 32 ettari di tetti piatti utilizzabili, pari a 0,5 metri quadri per persona, ma data l’alta resa di questi metodi di coltivazione potrebbero comunque avere un impatto significativo sulla produzione urbana. Per esempio, l’86% dei pomodori attualmente consumati in città è importato, ma se anche solo il 10% dei tetti ospitasse una coltivazione idroponica, si potrebbe rifornire di pomodori l’8% della popolazione, per una delle cinque porzioni giornaliere di frutta e verdura. Un numero che arriverebbe al 60% se fossero utilizzati tre quarti dei tetti disponibili.
Il Regno Unito produce in patria solo il 16% della frutta e il 53% della verdura che consuma, e sta cercando di incrementare la produzione locale non solo a causa della Brexit ma perché vuole essere meno esposta a fattori che possono influire sull’approvvigionamento come quelli climatici, alle malattie veicolate dagli alimenti e alle oscillazioni economiche del mercato globale. Per questo gli autori concludono che “combinando lo sfruttamento delle superfici disponibili con le attuali tecnologie potremmo creare delle Smart Food Cities nelle quali le contadini urbani supporterebbero le loro comunità fornendo cibo sicuro e fresco”.

Bucce, gambi e foglie: scarti da valorizzare ricchi di sostanze benefiche, ma attenzione ai pesticidi. L’articolo di Altroconsumo

Cleaning artichoke with knife. Peeling off artichokes



La maggior parte di noi scarta le bucce delle carote, le foglie del cavolfiore e i gambi dei broccoli. Eppure si tratta di parti commestibili, che possono essere adeguatamente valorizzate in modo semplice e gustoso, contribuendo così a combattere lo spreco alimentare e anche a risparmiare un po’. D’altronde, come spiega Altroconsumo, le parti che tradizionalmente scartiamo sono spesso più ricche di vitamine, minerali e fibra delle parti “nobili” di frutta e verdura.
Secondo le analisi dell’associazione, il gambo del broccolo è più ricco di fibra delle cimette, mentre nella buccia della carota, nel ciuffo del finocchio e nelle foglie del sedano abbondano i polifenoli. La parte verde del porro, generalmente scartata perché più dura e fibrosa, è più ricca di polifenoli e vitamina C rispetto alla parte bianca. La scorza della zucca, poi, contiene quantità vitamina C, carotenoidi e fibra in quantità superiore alla polpa. E anche nelle bucce della frutta polifenoli, flavonoidi e vitamine sono presenti in abbondanza.
C’è però un rovescio della medaglia: la buccia sarà anche ricca di sostanze dalle proprietà benefiche, ma è anche la parte di frutta e verdura dove si depositano i pesticidi. Nell’analisi di Altroconsumo i fitofarmaci sono stati rilevati sulle bucce di molti dei prodotti testati, anche in quelli biologici, anche se sempre in quantità ben al di sotto al limite stabilito dalla legge. E il lavaggio non è sempre in grado di garantire l’eliminazione totale di ogni residuo.
Che fare, quindi? Se si vogliono sfruttare tutte le parti della frutta e della verdura che acquistiamo, l’associazione consiglia di scegliere i prodotti biologici: che non sempre sono completamente privi di pesticidi, ma di solito contengono un numero minore di residui e in quantità più basse.

Botulino: come preparare le conserve fatte in casa in modo sicuro. I consigli dell’Istituto superiore di sanità

A causa del botulino in Italia negli ultimi trent’anni circa 500 persone sono state colpite dalla grave intossicazione causata dalla tossina del batterio Clostridium botulinum caratterizzata dalla paralisi progressiva dei muscoli. Il nostro paese ha il poco invidiabile titolo di nazione europea con più casi di casi. Il botulismo è trasmesso principalmente per via alimentare e sono particolarmente rischiose le conserve, soprattutto quelle casalinghe, quando non sono preparate adeguatamente. Proprio su questo argomento, l‘Istituto superiore di sanità ha raccolto le domande e i dubbi di alcuni consumatori a cui ha risposto con raccomandazioni e consigli molto utili ed esaustivi.
Ho preparato dei funghi tagliati a fette leggermente grossolane, lavati, bolliti in metà acqua e metà aceto per qualche minuto. Quindi poi asciugati, raffreddati e messi in un barattolo coperto di olio di oliva. Così è sicuro o c’è una percentuale di rischio?
La scottatura dei funghi in acqua e aceto rende il prodotto acido e l’ambiente circostante sfavorevole alla crescita del C. botulinum e alla produzione di tossine (usando aceto di vino con acidità non inferiore al 5%, tale indicazione è riportata in etichetta). Invece di asciugare il prodotto sarebbe meglio scolarlo grossolanamente e lasciarlo raffreddare avvolto in un canovaccio pulito.
Se nel processo è previsto un trattamento di bollitura del vasetto (già riempito e chiuso) per creare il vuoto è necessario considerare che il prodotto potrebbe assorbire dell’olio e sarebbe quindi necessario un rabbocco. Si suggerisce quindi di aspettare la stabilizzazione del livello dell’olio prima di tale trattamento termico. Nel riempire il vasetto bisogna lasciare almeno 2-3 cm di spazio tra il prodotto e il coperchio, ma nello stesso tempo l’olio deve coprire completamente i funghi per almeno 1 cm, per cui si consiglia di utilizzare barattoli sufficientemente capienti ed eventualmente appositi distanziatori reperibili in commercio.
Le marmellate non sono particolarmente pericolose perché la frutta è spesso acida e lo zucchero inibisce il botulino
Riguardo alla preparazione della marmellata fatta in casa per evitare il rischio botulino, quanto zucchero è necessario utilizzare? Quanto deve cuocere la marmellata?
Le marmellate e le confetture non sono pericolose per il botulismo in quanto la frutta è generalmente acida e il quantitativo di zucchero utilizzato inibisce il botulino. La ricetta più sicura è quella che prevede un’uguale quantità di frutta e zucchero. Se si desidera utilizzare meno zucchero è opportuno usare quantitativo non inferiore a 750g di zucchero per ogni kg di frutta. È possibile, ridurre il quantitativo di zucchero aggiungendo alla preparazione le pectine (facilmente reperibili in commercio) poiché questi prodotti contengono conservanti.
Per i tempi di cottura dipende da diversi fattori (quantitativo di frutta, grado di maturazione, ecc.) e comunque non è la cottura che elimina il rischio botulismo. È possibile trovare informazioni utili consultando ‘Linee guida per una corretta preparazione delle conserve in ambito domestico’ (ne abbiamo parlato in questo articolo).
Mesi fa ho erroneamente preparato delle conserve di pomodoro invasando senza pastorizzare. Mi chiedevo se posso congelare la conserva e utilizzarla al bisogno o, dato il lungo arco di tempo passato dalla preparazione, è meglio evitare il congelamento e il consumo?
Al di là del tempo trascorso tra la preparazione e il consumo, è bene verificare sempre che non ci siano alterazioni del prodotto. Tale verifica deve essere fatta senza assaggiare il prodotto. Non è opportuno congelare dopo molto tempo dalla preparazione le passate di pomodoro che non hanno subito pastorizzazione. È raccomandata la cottura prima del consumo. Le preparazioni appena pronte si possono congelare senza correre rischi, congelando non si bonifica il prodotto ma si blocca l’attività microbica. Se si congela un prodotto alterato esso rimane tale.
passata di pomodoro fatta in casa
Le conserve di pomodoro vanno sempre cotte dopo il confezionamento per sterilizzare il contenuto
Vorrei fare l’olio aromatizzato al peperoncino senza correre rischi per la salute, qual è il procedimento corretto?
Al contrario dell’aceto, l’olio non svolge un’azione battericida. Per questo motivo l’olio aromatizzato non è sicuro come l’aceto dal punto di vista microbiologico, pertanto le erbe aromatiche (o il peperoncino) dovrebbero essere sbollentate per qualche minuto in una soluzione di acqua e aceto (con acidità pari o superiore al 5%) in parti uguali. Un’alternativa può essere rappresentata dalla disidratazione degli ingredienti in un essiccatore elettrico oppure in forno a 60°C. La disidratazione deve essere protratta fino al momento in cui il prodotto si sbriciola con le mani. Purtroppo il grado di disidratazione delle erbe non è facilmente misurabile, si consiglia pertanto il trattamento in aceto. È preferibile preparare barattolini di piccole dimensioni da conservare in frigorifero e consumare entro una settimana.
Quali controlli è opportuno fare sulla conserva prima del consumo?
Prima dell’apertura di una conserva è necessario ispezionare visivamente il contenitore per evidenziare eventuali sversamenti di liquido e la perdita del vuoto. Se i tappi o le capsule metalliche appaiono convessi (incurvati verso l’alto) e premendo con il dito al loro centro si sente “click clack”, i contenitori non sono più sottovuoto, a seguito dello sviluppo di microrganismi e conseguente produzione di gas. La stessa produzione di gas può essere valutata osservando se all’interno del contenitore si apprezzano bollicine di aria che dal fondo salgono verso l’alto e che possono rigonfiare il tappo, talvolta provocando fuoriuscite di prodotto.
Nel caso di perdita del vuoto e dell’ermeticità della chiusura la conserva non deve essere consumata né assaggiata. Se non è presente gas, ma all’apertura il prodotto presenta colore o odore innaturale significa che esso è alterato e per precauzione non deve essere assaggiato né consumato.
botulino
Dopo l’apertura, le conserve devono essere conservate in frigorifero e consumate il prima possibile
Dopo l’apertura le conserve devono essere conservate in frigorifero e consumate prima possibile. A seconda della tipologia di conserva i tempi di stazionamento in frigorifero possono variare da 4-5 giorni fino a due mesi. Il mantenimento degli alimenti in frigorifero, pur rallentando fortemente la loro degradazione, non la impedisce. Pertanto è importante sottolineare che qualora il prodotto risultasse alterato (odore o colore o consistenza) non deve essere assaggiato né consumato, ma eliminato.
Ho il sospetto di aver mangiato/assaggiato una conserva fatta in casa alterata, infatti aveva un sapore sgradevole, che cosa devo fare?
È fondamentale in questi casi mantenere la calma per non perdere la lucidità correndo il rischio di suggestionarsi. Ai primi sintomi, quali bocca asciutta, nausea, problemi della motilità oculare, visione doppia e difficoltà ad alzare le palpebre, è necessario rivolgersi tempestivamente al proprio medico curante oppure al più vicino pronto soccorso spiegando ai medici cosa si è mangiato e quanto tempo prima dalla comparsa dei sintomi, sarebbe altresì utile portare con sé anche il residuo alimentare sospetto, se disponibile.
© Istituto superiore di sanità