VALPOLICELLA: Ormai sono maturi i tempi anche nel nostro territorio per la costituzione di un biodistretto.

Un gruppo di persone, associazioni e strutture pubbliche ha formato un Comitato Promotore del biodistretto per percorrere tutte le tappe necessarie. 
Il territorio scelto come nucleo di partenza è quello dei comuni di Sant’Anna d’Alfaedo, Negrar, Marano, Fumane, Sant’Ambrogio, San Pietro e Pescantina. Senza precludere né l’ampliamento in futuro né la partecipazione di aziende dei comuni limitrofi.
COSA E’
E’ una associazione fra persone, aziende, istituzioni, amministrazioni, che sarà riconosciuta dal ministero e dalla regione, e ha lo scopo di far conoscere, migliorare ed aumentare il metodo biologico di coltivazione della terra e di produzione degli alimenti.
Riunisce i produttori, i consumatori, molti operatori del territorio, gli agricoltori in primis, insieme a operatori turistici e di ospitalità, scuole dei vari gradi, ristoratori, allevatori e trasformatori, ma anche operatori sociali, associazioni culturali, associazioni del terzo settore, le amministrazioni e tutti coloro che usufruiranno del miglioramento del territorio. 
 E' sostenuta da motivazioni ambientali, etiche, economiche, di salute, culturali e sociali. Ha lo scopo di promuovere, in loco e all'esterno, i prodotti e l'immagine del territorio. Serve come assistenza tecnica in agricoltura ma anche per informazione e formazione sui temi più attuali.
Vuole essere di esempio e di trascinamento, vuole contribuire ad un salto di qualità, dei prodotti e della vita, del territorio.
MEZZI
Si doterà della struttura necessaria ad una associazione, dovrà elaborare progetti di studio, di ricerca e di pratiche coerenti con gli obbiettivi e potrà ricevere appositi finanziamenti da fondi regionali ed europei. La struttura si definirà, con lo statuto, nella assemblea fondativa, speriamo entro il mese di novembre. La prossima riunione il 4 settembre, ore 18.00 alla Cantina Sociale di San Pietro.
PERSONE
In questa prima fase di costituzione stiamo cercando persone, aziende ed istituzioni che vogliano collaborare attivamente per l’obiettivo prefissato. Saranno coloro che avvieranno il processo di fondazione del biodistretto e ne cureranno l’impostazione nonché la divulgazione sul territorio.
INFO: Lara, 347 9486517

SANA di Bologna: Mercato biologico globale: quale strada prendere?


SANA. La sessione dell’evento Rivoluzione Bio offre un’analisi del ruolo della regolamentazione nella definizione delle direttrici di sviluppo del settore biologico. Il mercato globale è un’opportunità,
ma qual è la sua declinazione ottimale e auspicabile?

Isolare è una buona CASA! sede Biolca a Battaglia Terme PD

Sabato 5 ottobre 2019 dalle 9.30 alle 17.30
Relatrice: Elena Vettore, architetto e autocostruttore
Seminario teorico e pratico per capire come isolare la propria casa in modo naturale.


Programma e argomenti trattati:
Scopo principale del seminario è fornire gli strumenti per scegliere un buon isolamento e imparare come realizzarlo da sé. L’isolamento oltre ad essere un investimento che ci fa risparmiare sulle future bollette è anche una scelta sostenibile e responsabile, per questo sarà rivolta particolare attenzione all’utilizzo di materiali e collanti privi di sostanze dannose per la salute e a basso impatto ambientale.
Impareremo alcune tecniche per isolare piccoli edifici o appartamenti esistenti e vedremo come evitare gli errori più comuni nel fai da te o nell’affidamento dei lavori ad una ditta.
Il seminario è rivolto anche a chi non possiede nozioni in materia, le tecniche verranno spiegate con un linguaggio semplice e alla portata di tutti.
Contenuti:
  • Introduzione teorica generale
  • Caratteristiche fondamentali dei materiali, capire le schede tecniche;
  • Confronto tra isolanti naturali e sintetici;
  • Risparmio energetico e benessere abitativo;
  • Panoramica su collanti e intonaci non dannosi per la salute;
  • Una problematica particolare: isolamento e muffe;
  • Prove pratiche: applicazione di pannelli isolanti in sughero e calce e canapa.
Relatrice:Elena Vettore, architetto e autocostruttore, profondamente appassionata di permacultura e sostenibilità. Cura il sito 8plan.net
Quota di partecipazione:€ 60,00 per i soci Biolca (i non soci devono aggiungere la quota associativa di € 22,00 che dà diritto a ricevere il mensile Biolcalenda per un anno). Nell’intervallo di mezzogiorno, possibilità di pranzare in sede con un menù biologico vegetariano (contributo € 10,00).


Dove e quando:Sabato 5ottobre2019 dalle 9.30alle 17.30presso la sede Biolca a Battaglia Terme PD
Adesioni: il corso è a numero chiuso e le adesioni verranno raccolte in base all’ordine di arrivo.

Adesioni:il corso è a numero chiuso e le adesioni verranno raccolte in base all’ordine di arrivo.
SCONTO SPECIALE a chi porta un amico, pagherete entrambi 50 € invece di 60 (comunicarlo all’atto dell’iscrizione).
Per informazioni e/o iscrizioni:049 9101155 (Biolca) o 345 2758337 (Martina) o info@labiolca.it

Quanti alberi servirebbero per salvarci dal riscaldamento globale

Contro l’innalzamento delle temperature, una soluzione arriva dagli alberi. Tanto che gli scienziati oggi hanno mostrato che il ripristino delle forestepotrebbe essere il metodo più efficace per contrastare i cambiamenticlimatici. Il gruppo di ricerca, coordinato dal Crowther Lab del Politecnico federale di Zurigo (Eht Zurich), ha quantificato per la prima volta quanti alberi in più potrebbero essere ospitati dal nostro pianeta, calcolando le aree disponibili. Una volta ottenuta questa stima, gli autori hanno anche valutato la loro capacità di catturare anidride carbonica dall’atmosfera e accumulare il carbonio rimuovendo le emissioni di gas serra. In base ai risultati sarebbe possibile aumentare di un quarto le foreste esistenti sulla Terra senza danneggiare città e attività agricole. Lo studio è pubblicato su Science.
Da tempo scienziati di tutto il mondo si concentrano sulla riforestazione, grazie al fatto che gli alberi sono sottrattori naturali di anidride carbonica, considerata il principale gas serra nell’atmosfera terrestre. “Sappiamo tutti che ripristinare le foreste potrebbe giocare un ruolo contro i cambiamenti climatici”, sottolinea Thomas Crowther, coautore dello studio. “La nostra ricerca mostra chiaramente che questa opzione fornisce la migliore soluzione per questo problema attualmente disponibile”.
Attualmente, sulla Terra ci sono 5,5 miliardi di ettari di boschi, secondo i dati della Fao.Secondo il recente rapporto Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) per ridurre di 1,5 °C il riscaldamento globale entro il 2050 sarebbe necessario avere un miliardo di ettari in più di foreste. I ricercatori, oggi, hanno cercato di capire come e dove questi nuovi alberi potrebbero essere allocati e quanto carbonio potrebbero assorbire.
Gli scienziati hanno utilizzato una banca dati globale unica che copre oltre 80mila foreste, combinata con un software per realizzare mappe. Questo software è stato impiegato per ottenere un modello predittivo che indica la copertura verde e le regioni che potrebbero essere riforestate, il tutto senza intersecare e rovinare le aree urbane e quelle agricole. La riforestazione riguarda ad esempio ecosistemi degradati che potrebbero ospitare alberi e non praterie o terreni paludosi.
In base ai risultati è emerso che sarebbe possibile aumentare la copertura verde di 0,9 miliardi di ettari, dunque un’area di dimensioni molto vicine a quelle indicate dal rapporto Ipcc. Questi nuovi alberi, una volta cresciuti, potrebbero sequestrare circa 200 miliardi di tonnellate di carbonio, ovvero due terzi delle emissioni di carbonio prodotte dalle attività umane. Di seguito le immagini che rappresentano la potenziale riforestazione.
riforestazione
Tutte le aree che potrebbero essere coperte dagli alberi sul globo terrestre (foto: ETH Zurich/Crowther Lab)

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Le aree che potrebbero essere ‘riforestate’, dopo aver eliminato le foreste già esistenti, le aree urbane e le zone adibite all’agricoltura (foto: ETH Zurich/Crowther Lab)


Il gruppo di ricerca ha individuato i sei paesi hanno maggiore disponibilità di questi terreni adatti a nuovi boschi. La Russia ha il potenziale più grande, con uno spazio di 151 milioni di ettari. Subito dopo ci sono gli Stati Uniti, con 103 milioni di ettari, il Canada con 78,4 milioni, l’Australia (58 milioni), il Brasile (49,7) e la Cina (40,2).
“La deforestazione non solo contribuisce ad un’allarmante perdita di biodiversità, ma limita la nostra capacità di accumulare il carbonio negli alberi, sottoterra e nel suolo”, ha commentato René Castro, vice direttore generale alla Fao. “Ora abbiamo una prova definitiva dei territori da poter utilizzare per far ricrescere foreste, di dove potrebbero sorgere e di quanto carbonio potrebbero accumulare”.
Insomma, adesso è essenziale agire, secondo gli autori dello studio. All’inizio del 2019, 48 paesi hanno firmato la Bonn Challenge, con l’obiettivo di ripristinare 350 milioni di ettari entro il 2030. Tuttavia, i ricercatori hanno osservato che circa 4 paesi su 10 si sono impegnati a coprire un’area che è circa la metà di quella che potrebbe essere utilizzata a questo scopo, mentre uno su 10 è andato verso l’estremo opposto, con un impegno maggiore di quello possibile.
L’idea è che la mappa realizzata dagli autori possa fornire un nuovo modello su cui basarsi per una riforestazione consapevole, che veda coinvolte sia le istituzioni sia i privati“Ognuno può far crescere alberi, fare donazioni alle organizzazioni impegnate nella riforestazione”, conclude Crowther, “o decidere di investire denaro responsabilmente in business economici che lavorano per contrastare i cambiamenti climatici”.

Visite guidate fino al 3 novembre


Cambiamento climatico

La situazione in Italia

Secondo un recente rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità riferito all’Italia, l’impatto dei cambiamenti climatici nel nostro Paese è più grave che altrove e sta aggravando le conseguenze derivanti da croniche deficienze infrastrutturali, da inquinamento industriale e dalle caratteristiche idro-geologiche e di vulnerabilità sismica, proprie di questa area geografica.
Le temperature in aumento, l’erosione costiera, le inondazioni e la siccità possono portare alla scarsità dell’acqua (ricordiamo infatti che, nel 2017, 6 su 20 regioni hanno invitato il governo a dichiarare lo stato di emergenza a causa di stress idrico). Lo stress idrico potrebbe anche portare a una riduzione della produzione di agricoltura, a maggiore rischio di incendi boschivi, ad aumento della desertificazione e potrebbe minacciare il progresso economico.
Inoltre, i cambiamenti climatici incidono sulla qualità dell’aria, in particolare in contesti urbani, e possono portare a cambiamenti nella distribuzione di flora e fauna che degradano la biodiversità. Esiste anche un rischio concreto che riemergano malattie prima endemiche o che si manifestino malattie esotiche trasmissibili come, ad esempio, Dengue, Chikungunya, Zika, Febbre di Congo-Crimea e Febbre del Nilo.

I provvedimenti più urgenti

Gli scenari previsti dal Rapporto IPCC dipendono da modelli economici e sociali proiettati su scala mondiale. Quelli con forte crescita economica non permettono significative riduzioni di gas serra, mentre un’evoluzione verso un nuovo modello economico e sociale orientato verso un’economia di informazione e servizi, con una riduzione del consumo dei materiali e l’introduzione di tecnologie per le risorse efficienti e pulite, può permettere un contenimento della crescita di gas serra e della temperatura globale.
Per contenere il riscaldamento globale entro 1,5°C, le emissioni di CO2 derivanti da attività umane dovranno azzerarsi entro il 2050, con una riduzione di almeno il 45% rispetto ai valori del 2010 già entro il 2030.

Cosa possono fare i governi

Le previsioni consentono di affermare che, anche nelle ipotesi più favorevoli, ci saranno rilevanti impatti ambientali, sanitari ed economici. Per questo è necessario che i governi assumano decisioni radicali e coraggiose. Occorre dunque:
  • accelerare la conversione già in atto verso le fonti energetiche rinnovabili e bloccando ovunque le estrazioni e l’uso dei combustibili fossili;
  • ridurre i rifiuti e gli imballaggi;
  • favorire la riconversione degli stabilimenti produttivi più inquinanti e ridurre tutti i limiti alle emissioni;
  • bloccare qualsiasi consumo di nuovo suolo e incrementare il verde urbano;
  • favorire e sostenere la riconversione dell’agricoltura basata sull’uso di prodotti chimici verso un’agricoltura agro-ecologica che aiuti a mantenere le qualità dei terreni;
  • mettere in sicurezza le falde idriche, i corpi d’acqua superficiali e la rete acquedottistica nazionale attraverso la sua ricostruzione;
  • investire in un Piano nazionale di grandi opere per migliorare il trasporto pubblico locale, la pedonalità e la ciclabilità di tutte le città e le linee ferroviarie, limitando il più possibile il traffico aereo;
  • potenziare i piani di allarme, prevenzione e monitoraggio.

Cosa possiamo fare noi

Sono numerosi gli accorgimenti che possiamo adottare per migliorare la qualità ambientale. Non compriamo oggetti monouso (come cannucce, bastoncini per le orecchie, piatti e stoviglie di plastiche, alimenti già confezionati) e cerchiamo negozi che vendano i prodotti sfusi; riduciamo drasticamente l’uso di detersivi: l’aceto, il limone, il sapone fatto in caso sono validi sostituti; acquistiamo prodotti a basso contenuto di solventi e non utilizziamo profumi, candele profumate e altri deodoranti per la casa; acquistiamo prodotti biologici a filiera corta; riduciamo drasticamente o eliminiamo il consumo di carne o almeno non mangiamo animali d’allevamento; usiamo l’acqua e l’energia in maniera consapevole: è enorme il risparmio (anche economico) che si ottiene isolando la propria abitazione oppure spegnendo la luce quando si esce dalle stanze o tenendo il riscaldamento non troppo alto; riduciamo in generale i consumi inutili, riduciamo i rifiuti (molti oggetti che non ci servono più possono essere regalati/scambiati o venduti); camminiamo di più e spostiamoci preferibilmente in bicicletta, utilizzando l’auto solo se necessario.
Si tratta di misure utilissime anche alla salute, una vera prevenzione primaria delle malattie e un contributo al rallentamento del cambiamento climatico.

Sabato 7 settembre a Prun, in Valpolicella


Domenica 25 Agosto FESTA DELLLA VALSORDA


Emergenza idrica: impegno per garantire l'irrigazione

VENERDÌ 09 AGOSTO 2019

Egregio direttore, leggo su Bresciaoggi una info a
pagamento della Coldiretti di Brescia 

Egregio direttore, leggo su Bresciaoggi una info a pagamento della Coldiretti di Brescia sul tema: «Emergenza idrica:
impegno per garantire l'irrigazione». Viene rimarcato come il bacino Lago d'Idro e fiume Chiese abbiano una scarsa
disponibilità di acqua prospettando gravi conseguenze per l'agricoltura e il territorio e cioè per le imprese agricole e la
sicurezza sanitaria dei cittadini. Si pone una analogia dunque tra l'interesse economico della produzione agricola e la
salvaguardia della salute. Come medico affermo che questi due concetti, oggi più che ieri, sono diametralmente opposti e
non si possono mettere in relazione se non per una chiara volontà di equivocare. Analizziamo meglio. È grazie a una
produzione agricola intensiva, soprattutto di produzione di mais, che necessita di una quantità abnorme di acqua prelevata
non solo dal Chiese ma anche dal Mella, dall'Oglio e dal Mincio oltre che dalle falde e ciò a scapito del flusso minimo vitale
dei fiumi. Mais di cui parte è utilizzato per il trinciato per i bovini ma una grande parte è utilizzato per essere bruciato nei
biodigestori per produrre energia elettrica e metano: ciò alla luce degli incentivi economici dello Stato Italiano che
favorisce, spacciandola per green economy, una economia drogata. Il mondo agricolo sta sfruttando oltre ogni limite la
potenzialità delle nostre campagne bresciane e lombarde non solo con un sistema di irrigazione a spandimento ma anche
con utilizzo di pesticidi e fertilizzanti, sostanze tossiche per gli insetti e cancerogene per l'uomo, per avere una produzione
sempre maggiore. Aggiungasi la abnorme produzione zootecnica della bassa bresciana con la presenza di 3.927
allevamenti di bovini con 449.000 capi, 1.965 allevamenti di suini con 1.249.000 capi, 738 allevamenti avicoli con
10.249.000 polli e tacchini. Numeri impressionanti quando si rileva che in altre Regioni esistono dei limiti di legge alla
produzione zootecnica: in tutta l'Emilia Romagna si allevano 1.561.00 suini, in Piemonte 928.000 e in Veneto 706.000. È
impressionante prendere atto del carico di azoto che la bassa bresciana, Mantova e Cremona devono sopportare grazie ai
reflui di tutti gli animali allevati. Reflui zootecnici che in Lombardia sono 43.250.000 tonnellate/anno e che devono essere
distribuiti sulle aree vulnerabili con un massimo di 170 Kg di Azoto/ettaro/anno secondo il PUA (Piano Utilizzazione
Agricola) che ogni Azienda deve dichiarare all'Ufficio Tecnico di ogni Comune e che dovrebbe essere controllato dagli
stessi Uffici e dall'Arpa. È sotto gli occhi di tutti che grandi allevamenti di suini con 3/4.000 capi dovrebbero avere numerosi
ettari di terreno per smaltire i reflui: in teoria ogni Azienda ha a disposizione la terra sufficiente ma spesso ben lontano
dalla produzione suinicola e ne consegue quindi lo sversamento abnorme nelle aree attorno all'Azienda o addirittura lo
sversamento in canali, fossati o direttamente nei fiumi. Grave reato ambientale con enormi conseguenze sulla biodiversità
ambientale. Ne consegue dunque che le organizzazioni degli agricoltori, se veramente interessa loro la Salute dei cittadini
e non solo il guadagno economico delle Aziende, dovrebbero favorire una maggiore consapevolezza negli agricoltori a
ridurre la produzione zootecnica e a cambiare le produzioni agricole favorendo la produzione di vegetali che richiedono
meno acqua dolce nella logica anche della biodiversità e della minore produzione di CO2 che tanta responsabilità ha nel
surriscaldamento globale. Dr. Sergio Perini MEDICO ISDEMEMBRO DEL TAVOLO ASSOCIAZIONICHE AMANO IL FIUME

CHIESEE IL SUO LAGO D'IDRO

A Caprino, sabato 24 Agosto


A Sommacampagna lunedì 26 Agosto


Sabato 7 Settembre in Valpolicella


Da facebook del "Gran Can Hotel Ristorante"

Che bomba il nostro ortolab
oggi zucchine, fiori di zucchine e pomodori che più belli non si può!
Ma non ci fermiamo qui, pronti a piantare nuovamente! Avanti tutta
E grazie come sempre ai volontari di TERRA VIVA Verona




Buon FERRAGOSTO da Terraviva


A Molina in Valpolicella


Pan, Cambia la Terra: lavoreremo per una maggiore priorità al biologico

Dopo alcuni mesi di ritardo è finalmente pubblico il Piano di azione nazionale sull’uso sostenibile dei fitofarmaci (Pan pesticidi), “soprattutto grazie al lavoro delle associazioni del biologico e ambientaliste e all’impegno di alcuni parlamentari che hanno chiesto con insistenza che questo strumento essenziale per le scelte agricole e ambientali venisse aperto alla consultazione pubblica”. È quanto afferma il cartello delle associazioni che sostengono la campagna “Cambia la Terra”(FederBio, Legambiente, Lipu, Medici per l’Ambiente e WWF) richiamando la conferenza stampa tenuta dalle onorevoli Benedetti, Cenni, Cunial, Fornaro e Muroni per la presentazione delle interrogazioni parlamentari a cui ha risposto ieri nel Question Time alla Camera il Sottosegretario del MIPAAFT, Alessandra Pesce.
“Esamineremo con attenzione il testo licenziato dai ministeri delle Politiche agricole, della Salute e dell’Ambiente. A una prima lettura traspaiono solo alcuni elementi in linea con le proposte che le Associazioni hanno da tempo avanzato. In primo luogo, la determinazione di un obiettivo quantitativo per il biologico coerente con lo sviluppo dell’agricoltura senza pesticidi, oltre all’individuazione di distanze di sicurezza dai campi in cui si effettuano trattamenti dalle abitazioni e dagli spazi pubblici, distanze di sicurezza che però non sono previste dalle coltivazioni biologiche per evitare la contaminazione accidentale ”.

Pan, manca ancora coraggio e ambizione

“Nel complesso – aggiungono le Associazioni di Cambia la Terra – sembra un Piano con una impostazione generale che manca ancora di coraggio ed ambizione, inadeguato per imboccare la strada dell’agroecologia come uno degli assi dello sviluppo dell’agricoltura del Paese. Ad una prima lettura non sembra che la salute dei cittadini e dell’ambiente vengano adeguatamente tutelate con le regole non cogenti presenti nel nuovo Pan, ad esempio con l’assenza di impegni certi e vincolanti per l’eliminazione dei pesticidi ad alto impatto sanitario, con l’esclusività dei metodi biologici nella gestione del verde urbano, con l’eliminazione dei pesticidi nelle aree naturali protette e siti Natura 2000 o nella determinazione di vere e proprie aree di sicurezza in vicinanza dei corsi d’acqua. Quello che faremo – promettono le Associazioni – è approfondire le circa 100 pagine del Pan, per proporre entro la scadenza del 15 ottobre delle modifiche sostanziali con emendamenti al testo per rendere il nuovo Pan Pesticidi più coerente e coraggioso, con delle misure che siano più in linea con scelte che a parole tutti dicono di voler fare, in favore della crescita della produzione biologica nazionale e della conservazione della natura, in linea con le decisioni che la maggioranza dei cittadini attendono in favore della tutela della loro salute e dell’ambiente”.

Austria: glifosato addio. È il primo paese europeo a bandire totalmente il controverso erbicida. Ma manca ancora l’approvazione definitiva

Con una decisione senza precedenti, l’Austria dichiara guerra al glifosato attraverso una legge che prevede il bando totale dell’erbicida. La norma è già stata approvata dalla Camera Bassa del Parlamento ed è in attesa della conferma definitiva e della successiva firma del Presidente della Repubblica Alexander Van der Belle, ex leader dei Verdi.
La scelta dell’Austria è dunque quella di anticipare eventuali provvedimenti dell’Unione Europea, che per il momento ha deciso per una moratoria fino al 2022, e di indicare la via agli altri paesi, dimostrando anche che è possibile rinunciare a un prodotto utile, ma sul quale gravano sospetti e accuse così pesanti.
Altri paesi, come ad esempio la Francia, hanno intrapreso strade che vanno nella stessa direzione, ma finora si è sempre trattato di bandi parziali. Ciò è dovuto all’oggettiva scarsità di sostituti validi, al continuo alternarsi di studi e perizie contraddittorie che hanno fornito, di volta in volta, argomenti ai sostenitori e ai detrattori e, ancora, alla difficoltà di prendere iniziative apertamente in conflitto con le decisioni europee, che in materie come questa dovrebbero essere vincolanti. Ma l’Austria si è schierata in maniera netta, anche a costo di essere poi costretta a tornare sui suoi passi.
Come Il Fatto Alimentare ha raccontato più volte, già dal 2015 lo IARC di Lione, l’agenzia delle Nazioni Unite per la ricerca sul cancro, ha affermato che il glifosato è un probabile cancerogeno e aumenta il rischio di sviluppare varie tipologie di tumori, in primo luogo, dei linfomi non-Hodgkin. Nel 2017, però, l’EFSA, così come poco dopo le autorità elvetiche, ha sostenuto tra mille polemiche che non ci sarebbero prove definitive. Altri enti di ricerca, come l’Istituto Ramazzini di Bologna, hanno nel frattempo messo in luce ulteriori possibili rischi come quelli sul sistema neuroendocrino e immunitario. Negli Stati Uniti, intanto, l’azienda che ha rilevato il primo produttore Monsanto, ovvero la Bayer, sta fronteggiando migliaia di cause per danni.
pesticidi erbicidi campi agricoltura uomo
La Camera Bassa del Parlamento austriaco ha approvato una legge per bandire totalmente il glifosato
Accanto a tutto ciò il mercato segue le sue dinamiche, e poiché il brevetto del glifosato è scaduto, da qualche tempo si assiste una moltiplicazione di prodotti che lo contengono in varie forme e percentuali, oltre al celeberrimo Roundup, con ulteriore aumento della sua diffusione. Probabilmente anche per questo il Parlamento austriaco, paese che detiene il più alto numero di fattorie biologiche (il 23% del totale, contro una media europea del 7%) e che punta molto sul turismo verde, ha rotto gli indugi e deciso di dire basta.
Resta da capire se si tratterà di una scelta isolata o se la nuova Unione Europea, nella quale i Verdi hanno acquistato un peso decisamente superiore rispetto al passato, prenderà quella decisione a modello e si muoverà verso un’agricoltura priva di glifosato o se continuerà a permetterne l’uso, almeno fino a quando non saranno disponibili prodotti altrettanto efficaci e molto più sicuri.

COOP, ORTOFRUTTA SENZA GLIFOSATO: TOCCA AI MELONI

Dopo le ciliegie è il turno dei meloni. Prosegue la campagna stop ai pesticidi di Coop annunciata allo scorso Macfrut, che dopo aver coinvolto, a maggio, le ciliegie, avrà come protagonista uno dei principali prodotti ortofrutticoli estivi. Nei reparti ortofrutta dei 1.100 punti vendita Coop, come riporta GreenMe, arrivano da questo mese i meloni completamente liberi, dal campo alla tavola, dai pesticidi. Si tratta della seconda di 35 filiere di ortofrutta a marchio Coop che saranno progressivamente coinvolte nell’ulteriore riduzione dei pesticidi, fino all’eliminazione, per un totale di 116 fornitori e di oltre 7000 aziende agricole. Il melone, dopo le ciliegie, fa parte delle quindici colture interessate all’eliminazione del glifosato e delle altre molecole dannose per l’ambiente che Coop ha deciso di eliminare nel corso del 2019. Tutte le famiglie di prodotti ortofrutticoli a marchio Coop saranno a regime entro 3 anni per un volume complessivo di oltre 100.000 tonnellate di prodotti coinvolti. L’addio all’uso dei pesticidi implicherà l’adozione di tecnologie agricole innovative, definite di precisione, in grado di migliorare l’efficienza, la resa e la sostenibilità delle coltivazioni, proseguendo una strategia di attenzione per l’ambiente e di sicurezza alimentare praticata da gli anni ’90 e volta al continuo miglioramento delle prestazioni. Applicando questa metodologia si realizzano coltivazioni con risparmi di acqua, energia e tempo. Un passo in avanti, dopo che a partire dal 1988 i fornitori dei prodotti Coop hanno applicato alle colture i principi della produzione con tecniche di lotta integrata che utilizza insetti “buoni” per contrastare quelli dannosi. Nel corso di quasi 30 anni più di 10 molecole chimiche sono state eliminate dai prodotti a marchio Coop, spesso anticipando di anni la normativa, i quali vantano un ridotto contenuto di pesticidi, inferiore del 70% rispetto al residuo ammesso dalle leggi. “Ridurre l’uso di altre molecole controverse dopo quelle che abbiamo già eliminato significa alzare l’asticella, produrre un salto di qualità”, spiega Marco Pedroni, Presidente Coop Italia. “Come Coop abbiamo deciso di attivare quel principio di precauzione che ci ha fatto dire di No in altri casi controversi: agli Ogm, all’olio di palma, all’uso diffuso o sistematico di antibiotici negli allevamenti. In questo modo pensiamo di fare gli interessi sia dei consumatori che dell’ambiente, ovvero esattamente ciò che una cooperativa di consumatori deve fare”

EMBARGO RUSSO, “IN 5 ANNI PERSO OLTRE 1 MILIARDO”

Le esportazioni agroalimentari Made in Italy hanno perso oltre un miliardo di euro negli ultimi cinque anni a causa del blocco alle spedizioni in Russia che ha colpito una importante lista di prodotti agroalimentari con il divieto all’ingresso di frutta e verdura, formaggi, carne e salumi, ma anche pesce, provenienti da Ue, Usa, Canada, Norvegia ed Australia. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti divulgata in occasione dell’anniversario dell’embargo deciso 5 anni fa dal presidente Vladimir Putin condecreto n. 778 del 7 agosto 2014 e più volte rinnovato come ritorsione alla decisione dell’Unione Europea di applicare sanzioni alla Russia per la guerra in Ucraina.
L’agroalimentare italiano – spiega la Coldiretti – è infatti l’unico settore colpito direttamente dall’embargo che ha portato al completo azzeramento delle esportazioni dei prodotti presenti nella lista nera, dal Parmigiano Reggiano al Grana Padano, dal prosciutto di Parma a quello San Daniele, ma anche frutta e verdura come le mele, soprattutto della varietà Granny Smith dal colore verde intenso e sapore leggermente acidulo particolarmente apprezzate dai cittadini russi.
“Si tratta di un costo insostenibile per l’Italia e l’Unione Europea ed è importante che si riprenda la via del dialogo”, afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “il settore agroalimentare è stato merce di scambio nelle trattative internazionali senza alcuna considerazione del pesante impatto che ciò comporta sul piano economico, occupazionale e ambientale”. Un pericolo che – aggiunge Prandini – riguarda anche le recenti tensioni commerciali con gli Stati Uniti con il presidente Donald Trump che ha minacciato dazi su una lunga lista di esportazioni Made in Italy, soprattutto vino e cibo, nell’ambito dello scontro sugli aiuti al settore aereonautico che coinvolge l’americana Boing e l’europea Airbus. Si tratta – ricorda Prandini – della prima sfida che dovrà affrontare la nuova Commissione Europea guidata dalla tedesca Ursula von der Leyen, che dovrà gestire i complessi rapporti con lo storico alleato Usa e superare i motivi di divisione con il nemico del passato come la Russia ma soprattutto valorizzare l’agroalimentare europea per la nuova strategicità che ha assunto nel contesto internazionale.
Alle perdite dirette subite dalle mancate esportazioni in Russia si sommano – continua la Coldiretti – quelle indirette dovute al danno di immagine e di mercato provocato dalla diffusione sul mercato russo di prodotti di imitazione che non hanno nulla a che fare con il Made in Italy. Nei supermercati russi si possono ora trovare fantasiosi surrogati locali che hanno preso il posto dei cibi italiani originali, dalla mozzarella “Casa Italia”, dall’insalata “Buona Italia” alla Robiola Unagrande, dalla mortadella Milano al parmesan, dalla scamorza al mascarpone.
A potenziare la produzione del falso Made in Italy non è stata però solo l’industria russa, ma – riferisce la Coldiretti – anche molti Paesi che non sono stati colpiti dall’embargo come la Svizzera, la Bielorussia, l’Argentina o il Brasile che hanno aumentato le esportazioni dei cibi italiani taroccati nel Paese di Putin.  In Russia – precisa la Coldiretti – è possibile infatti trovare scamorza, mozzarella, provoletta, mascarpone e ricotta Made in Bielorussia, ma anche salame Milano e Gorgonzola di produzione Svizzera e Parmesan o Reggianito di origine brasiliana o argentina.
Il rischio – continua la Coldiretti – riguarda anche la ristorazione italiana in Russia che, dopo una rapida esplosione, rischia di essere frenata per la mancanza degli ingredienti principali. In alcuni casi i piatti sono spariti dai menu mentre, in altri, sono stati sostituiti da tarocchi locali o esteri senza però che ci sia nella stragrande maggioranza dei ristoranti una chiara indicazione nei menu.
Un blocco dunque dannoso per l’Italia anche se – precisa la Coldiretti – va segnalato che nel 2018 l’export agroalimentare italiano è cresciuto del 7% rispetto all’anno precedente raggiungendo i 561 milioni di euro grazie ai comparti non colpiti dall’embargo, come il vino, le paste alimentari, pomodori pelati e polpe, tabacchi e olio, a conferma della fame d’Italia dei cittadini russi. I valori – conclude la Coldiretti – rimangono comunque nettamente inferiori a quelli del 2013, l’ultimo anno prima dell’embargo, quando le esportazioni agroalimentari Made in Italy avevano raggiunto i 705 milioni di euro.

Gorgusello in Valpolicella. Delizioso

Secondo interessante appuntamento del 6 agosto


MALTEMPO, MONITORAGGIO DELLA COLDIRETTI SUI DANNI

Serre distrutte dalla trombe d’aria, frutta, verdura e cereali flagellati dalla grandine: sono solo alcuni degli effetti delle tempeste che hanno investito il Centro Nord provocando danni per milioni di euro all’agricoltura. E’ quanto emerge dal monitoraggio della Coldiretti in merito all’ultima ondata di maltempo che ha colpito l’Italia. Se nel Lazio, nella zona di Fiumicino, la bufera ha divelto serre e devastato le colture, in Toscana la grandine si è abbattuta sulla zona di Arezzo e della Valdichiana colpendo i frutteti, devastando le pesche pronte alla raccolta, così come melanzane, peperoni e zucchine, ma sono stati rasi al suolo anche tabacco, girasole e mais, con serre danneggiate e difficoltà per le strutture agrituristiche. Danni a macchia di leopardo lungo la Penisola sono stati provocati dalla grandine. Coldiretti conferma che si sta verificando una tendenza alla tropicalizzazione del clima, con una più elevata frequenza di manifestazioni violente, grandine di maggiore dimensione, sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi ed intense ed il rapido passaggio dal sole al maltempo.

Cosa è una rete di medici sentinella?

Una “Rete di Medici Sentinella” è principalmente una Rete di Medici di Medicina Generale (Mmg) o pediatri di libera scelta (Pls), la cui funzione è quella di monitorare incidenza, prevalenza e progressione di una malattia o di una serie di patologie nel tempo in gruppi di popolazione o in zone geografiche prestabilite. A partire dagli anni ’80 e, nella maggior parte dei casi per iniziativa di Mmg, si sono sviluppate enormemente nel mondo delle reti di medici sentinella con l’obiettivo di seguire, monitorare e studiare l’andamento di alcune patologie, dall’asma bronchiale, al diabete, alle malattie infettive, con particolare attenzione a quelle di natura virale: influenza (in Italia Influnet) , AIDS, ecc.. Molti Paesi le hanno viste nascere e operare: dalla Gran Bretagna alla Svizzera, dalla Nuova Zelanda all’Italia. La rete dei medici sentinella olandese (Dutch Sentinel Practice Network) e la rete dei medici di medicina generale inglese (Royal College of General Practitioners Sentinel Practice Network), entrambe fondate negli anni ’50, sono considerate i primi esempi di gruppi di medici di famiglia collaboranti nella raccolta di dati utili alla ricerca. Già nel 1993 si stimava che esistessero 30 reti di medici sentinella nei Paesi occidentali, ma nelle ultime due decadi il numero si è moltiplicato.
Il termine “medico sentinella”, o meglio “rete di medici sentinella” deriva principalmente dalla funzione di “guardia”  deputata alla tutela della popolazione dai rischi legati alla salute, ma anche da quella di “osservatorio privilegiato” per le istituzioni sanitarie pubbliche.
Tra gli obiettivi che tale rete si propone possiamo ricordare:
  • individuare e monitorare i fattori di rischio accertati e/o sospetti sia a livello di stili di vita sia a livello di situazione ambientale locale abitativa e lavorativa per le patologie oggetto del monitoraggio;
  • stimare i tassi dei principali indicatori epidemiologici e di impatto (incidenza, prevalenza, visite ambulatoriali, ospedalizzazione, sopravvivenza, mortalità) relativi alle malattie di una determinata popolazione;
  • confrontare i dati così acquisiti con quelli ottenuti dai sistemi di sorveglianza routinari attivi e passivi quali il Registro dei Tumori, le schede di dimissione ospedaliera (SDO), gli archivi storici, gli studi ad hoc, ecc.;
  • prevenire gli errori e gestire il rischio clinico (risk management) grazie all’accentramento dei dati, e alla loro elaborazione e discussione all’interno della rete.
Tipicamente l’esistenza della rete permette poi lo sviluppo di iniziative, di collaborazioni e di altre attività con enti istituzionali diversi dalle organizzazioni di medici di famiglia.
Perchè una rete italiana di medici sentinella per l’ambiente (RIMSA)?
La collaborazione tra il settore ambientale e il settore sanitario è fondamentale per proteggere la salute umana dai rischi di un ambiente pericoloso e per creare ambienti fisici e sociali basati sulla promozione della salute. I pericoli per l’ambiente costituiscono un importante determinante della salute; molte condizioni sanitarie sono legate all’ambiente, come l’esposizione all’inquinamento atmosferico e l’impatto del cambiamento climatico, e interagiscono con i determinanti sociali della salute.  Si stima che il 24% delle malattie e il 23% delle morti possano essere attribuiti ai fattori ambientali e che più di un terzo delle patologie nei bambini è dovuto a fattori ambientali modificabili. L’inquinamento di origine ambientale è ubiquitario e capillare, interessa tutta la popolazione e riguarda non solo le patologie neoplastiche, ma  pure la maggioranza delle patologie cronico-degenerative. In un tale contesto la medicina generale diventa un setting privilegiato per poter svolgere un’efficace azione di prevenzione primaria. I Mmg/Pls possono essere in grado di rilevare precocemente e tempestivamente, nello svolgimento della loro attività, anomale frequenze di eventi avversi; inoltre rilevando direttamente le malattie causate dagli inquinanti introdotti nell’ambiente, possono coglierne gli effetti sinergici, mentre l’epidemiologia può indagare uno o pochi agenti nocivi per volta. In particolare, la maggioranza degli indicatori epidemiologici viene raccolta in ambito ospedaliero o specialistico (schede di dimissione ospedaliera, archivi di anatomia e citologia patologica, cartelle cliniche) ed è spesso assente la valutazione sul territorio degli indicatori del burden, della qualità della prestazione e delle eventuali cause ambientali delle patologie riscontrate.
Considerato il forte impatto dell’ambiente sulla salute, nasce quindi l’esigenza di un sistema di sorveglianza in grado di monitorare il quadro epidemiologico sul territorio, basato sull’attività di reporting dei Mmg/Pls, ovviamente con il supporto di un “Centro” che raccolga i dati, li elabori e restituisca i risultati ai medici periferici e alle istituzioni, che hanno il diritto/dovere di essere informate (Assessorati Sanità, Ministero della Salute, Agenzie Regionali della Sanità, ecc.).
Compito dei Medici Sentinella sarà proprio quello di informare i cittadini su rischi e possibili interventi preventivi, supportando inoltre le istituzioni nell’opera di sorveglianza.
La promozione della responsabilità ambientale come obbligo etico del medico
Il Mmg/Pls si occupa di tutti i problemi di salute, non solo di malattie, ma anche di prevenzione e promozione della salute, informazione, educazione, difesa del paziente con un approccio scientifico, integrato e orientato alla comunità. Ha anche la responsabilità della salute della comunità in cui vive e può migliorare lo stato di salute dei pazienti contestualizzato alle criticità locali con un’azione semplice, veloce, poco costosa ed efficace.
Parimenti, lo sottolinea il Codice Deontologico che, nella nuova formulazione, ha voluto ampliare l’articolo 5, dedicato proprio alla “Promozione della salute, ambiente e salute globale”, che ora così recita: “Il medico, nel considerare l’ambiente di vita e di lavoro e i livelli di istruzione e di equità sociale quali determinanti fondamentali della salute individuale e collettiva, collabora all’attuazione di idonee politiche educative, di prevenzione e di contrasto alle disuguaglianze alla salute e promuove l’adozione di stili di vita salubri, informando sui principali fattori di rischio. Il medico, sulla base delle conoscenze disponibili, si adopera per una pertinente comunicazione sull’esposizione e sulla vulnerabilità a fattori di rischio ambientale e favorisce un utilizzo appropriato delle risorse naturali, per un ecosistema equilibrato e vivibile anche dalle future generazioni”.
Nella Dichiarazione su ambiente e salute – Larnaca 2012, si afferma che“la promozione della responsabilità ambientale tra gli operatori sanitari, pazienti e società intera è uno dei fondamentali obblighi etici dei medici specialisti e di tutti i medici”.
Perchè l’esigenza di un percorso formativo per i futuri medici sentinella?
I professionisti non si dovrebbero limitare ad osservare, ma forti di una cultura, di una dimensione tecnico-scientifica, di un bagaglio di competenze, di una visione etica e civile, dovrebbero impegnarsi in azioni, comportamenti e politiche attive che siano in grado di operare e proteggere al meglio la salute dei cittadini.
Si tratta di far entrare nel patrimonio della medicina, le categorie “ambiente” e “salute pubblica” e di superare il concetto individualistico della cura ad personam per rivolgersi ad una difesa della salute applicata all’intera società. Per giungere a questo il medico dovrà ampliare la propria ottica allargandola dal singolo paziente, all’ambiente in cui esso vive e convive, attaverso una visione globale di interdipendenza e di applicazione uniforme nei confronti delle comunità degli stessi concetti di salute e cura originariamente dedicati al singolo, prescindendo dai fattori sociali, culturali e territoriali fonte di discriminazione.
L’obiettivo del percorso formativo per la creazione della RIMSA è quello di creare un team di professionisti orientati all’uso strategico di informazioni e altre risorse per migliorare la salute pubblica, motivando l’autorità decisionale ad adottare il principio di responsabilità, diventando così il punto di raccordo fra la popolazione e le istituzioni.