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Ciao eccovi le prossime attività:
lungo la ciclabile, percorso pedonale in Via dei Troi Località Solighetto - Pieve di Soligo TV
coordinate Google Maps:
Orti: 45.908403, 12.170866
Parcheggi per chi viene da lontano:
A) in prossimità orti: 45.908127, 12.173453
B) con percorso pedonale per una breve passeggiata c/parco: 45.904539, 12.172987
C) con percorso pedonale per una bella passeggiata: 45.914344, 12.169535
In merito alla notizia Ansa secondo cui le autorità nazionali di Francia, Olanda, Svezia e Ungheria, che han preparato un parere preliminare per l'Efsa, riterrebbero il Glifosate non pericoloso per la salute ( https://www.ansa.it/sito/
Nel 1934 il quotidiano L’Arena di Verona, in occasione della mostra locale di pesche, riportava lo slogan: “Mangiate le squisite pesche di Verona!”. Ha una storia veramente importante e millenaria la Pesca di Verona IGT, come ricorda il Presidente del suo Consorzio di Tutela, Fausto Bertaiola. Ne parlava già in epoca romana Caio Plinio Secondo, conosciuto come Plinio il Vecchio; e poi attorno al 1400 il Mantegna la riportava in un dipinto ora custodito nella basilica cittadina di San Zeno. Ma quest’anno tutto questo si scontra con una situazione meteo che ha compromesso fortemente la produzione 2021 a causa delle gelate di aprile ed anche per alcune grandinate successive. Un vero peccato perché sono proprio questi i giorni della raccolta della Pesca di Verona IGP che deve avvenire, da disciplinare, dal 10 giugno al 20 settembre.
Bertaiola, intervistato (https://youtu.be/uOLwD3i_2v0) da VenetoAgricolturaChannel, il canale multimediale dell’Agenzia regionale, che da alcune settimane ha intrapreso un tour virtuale attraverso le DOP e le IGP del Veneto (tutte le puntate sono disponibili sul canale YouTube di Veneto Agricoltura), ricorda inoltre che la Pesca di Verona IGP ha calibro minimo di 61 mm per le cultivar precoci e 67 mm per le cultivar medie e tardive; il prodotto poi, è immesso in commercio nella tipologia a Polpa Bianca, a Polpa Gialla e Nettarina a Polpa Gialla. Viene commercializzato da giugno a settembre e proposto, con in evidenza il marchio che lo identifica, o in appositi vassoi sigillati con film plastico, in cestini da 1 o 2 kg, oppure in plateaux.
Il colore della Pesca di Verona IGP è intenso e brillante; la polpa è consistente e succosa; il sapore è dolce e caratteristico. Oltre che consumata fresca, è ideale per la preparazione di dolci, gelati o confetture; può essere anche conservata con acqua e zucchero per ottenere le cosiddette “pesche sciroppate”.
Si prospetta una lunga annata per il vigneto veneto, che richiederà grande attenzione da parte dei tecnici e che vedrà profilarsi sempre più chiara all’orizzonte quella che è la nuova frontiera della viticoltura regionale: tecnologie avanzate per una vendemmia di precisione, una produzione, che sembra essere su buoni livelli, pari o superiori al 2020, e che sarà governata da un sistema sempre più digitale e sostenibile in grado di adattarsi al climache cambia e ai suoi effetti, e che privilegi un approccio a basso impatto energetico e chimico.
È quanto emerso in occasione del primo incontro del Trittico Vitivinicolo promosso da Veneto Agricoltura, con Regione, Avepa, Arpav, CREA-VE e Università di Padova sull’andamento dell’attuale fase fenologica dei vigneti dell’area del Bardolino-Custoza, della Valpolicella, delle Colline vicentine, dei Colli Euganei, dell’area del Conegliano-Valdobbiadene DOCG, del Prosecco DOC e del Veneto Orientale.
La vendemmia avrà un ritardo generalizzato di 10/15 giorni a partire dall’entroterra del Lago di Garda, dove alla più che buona situazione fitosanitaria nei vigneti dell’area Bardolino-Custoza si accostano gli effetti delle basse temperature invernali e del mese di aprile, che hanno rallentato l’andamento vegetativo di quasi due settimane.
Proprio uno degli strumenti utilizzati in agricoltura di precisione è stato in grado di identificare il ritardo nella ripresa vegetativa di quest’anno: è infatti grazie ai rilievi satellitari effettuati su 500 vigneti a campione scelti in tutto il Veneto che è stato possibile identificare la variabilità dei vigneti delle DOCG di Verona, Padova e Treviso.
Anche in Valpolicella la ripresa vegetativa è stata ritardata dall’anomalo andamento meteo di aprile e maggio, ma la produzione di Corvina, Corvinone e Rondinella si annuncia in perfetto equilibrio soprattutto per la varietà Corvinone che potrebbe risultare superiore alla media. I tecnici e i produttori prevedono dunque un’annata di grande qualità, soprattutto se il meteo virerà definitivamente al meglio, ma mantengono la prudenza in quanto sono numerose le variabili che andranno ad incidere sul risultato finale della vendemmia, a cominciare dagli eventi atmosferici e dal peso finale del grappolo d’uva.
L’annata anomala insegna però che sempre più si rende necessario saper meglio interpretare il terroir e di conseguenza un approccio che preveda tecniche agronomiche più green e un ricorso sempre più necessario alla viticoltura di precisione. In altre parole, è importante “scoprire” il valore della naturalità del vigneto per poterlo poi lavorare più agevolmente.
Ed ecco che i nuovi strumenti tecnologici e informatici per la viticoltura diventano protagonisti per garantire non solo livelli più elevati di qualità, tipicità e sicurezza, ma più sostenibilità. Si va dai sistemi di guida e navigazione semi-automatica che consentono al viticoltore di rimanere concentrato solo sulla conduzione del mezzo durante la lavorazione, riducendo i costi, l’impiego di manodopera e gli sprechi di gasolio, alla sensoristica di precisione sia nel terreno che sulla foglia, che consente di ridurre del -58% l’impiego di prodotti chimici, grazie a speciali irroratrici che misurano la distanza tra i filari e calcolano lo spessore della chioma della vite, fino ai robot che effettuano monitoraggio, alcune operazioni di potatura e controllo fitosanitario. ....
....... il resto dell'artico collegandoti a: https://www.heraldo.it/2021/06/28/vendemmia-2021-tardiva-green-e-allinsegna-dellinnovazione/
Asia e Asia meridionale rimangono le principali regioni di provenienza. Aumentano le vendite online
L’azione congiunta, svolta tra gennaio e aprile, ha coinvolto le autorità di contrasto di 35 Paesi (tutti i 27 stati membri dell’Ue e 8 paesi terzi). L’operazione globale è stata sostenuta dall’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (Euipo), dall’Ufficio europeo per la lotta antifrode (Olaf), dalla direzione generale Sanità della Commissione europea, dall’Associazione europea per la protezione delle colture (Ecpa) e da CropLife Europe. Sono state effettuate ispezioni sulle frontiere terrestri e marittime, sui mercati interni, sui fornitori di servizi pacchi e sui mercati online.
L’abuso nel commercio di pesticidi illegali varia dal traffico di prodotti contraffatti o etichettati erroneamente all’importazione irregolare di sostanze vietate come il clorpirifos, specificamente preso di mira durante Silver Axe VI. Mentre l’Asia e l’Asia meridionale rimangono le principali regioni di provenienza dei pesticidi illegali, Europol ha notato un aumento delle loro vendite online.
L’operazione ha portato a 12 arresti (7 in Italia e 5 in Spagna), e sono stati effettuati 268 sequestri, tra cui in totale 1.203 tonnellate di pesticidi illegali. L’industria dei pesticidi, specifica il comunicato stampa di Europol, è altamente regolamentata. Le sostanze non permesse possono essere estremamente pericolose per l’ambiente e la salute umana. L’uso di prodotti illegali e scadenti ha contribuito alla devastazione dei campi e di altri ecosistemi, causando gravi danni a impollinatori come le api. In un caso l’uso non regolamentato del neonicotinoide, contenuto in un prodotto non approvato, ha portato alla morte delle api allevate nell’area. Sebbene gli alberi su cui veniva utilizzato il prodotto non avessero fiori, le loro foglie estraevano zucchero, attirando e avvelenando le api vicine.
Per Catherine De Bolle, direttore esecutivo di Europol, “l’imponente sequestro di oltre mille tonnellate di pesticidi illegali dimostra chiaramente che, insieme, possiamo garantire meglio la sicurezza dei cittadini dell’Ue e proteggere l’ambiente oggi e in futuro”.
Il copione sembrava destinato a ripetersi ancora: la commissione al patrimonio della Città Metropolitana di Firenze voleva inoltrare l’ennesima proposta di bando per mettere all’asta quasi la totalità della tenuta di Mondeggi. La fattoria strappata all’abbandono sarebbe stata di nuovo a rischio di alienazione, così come il lungo percorso, difficile quanto entusiasmante, di Mondeggi Bene Comune che qui racconta Giovanni Pandolfini. Invece ieri, martedì 22 giugno, la svendita è stata fermata e il voto su Mondeggi (per ora almeno) rimandato. Quella dal 25 al 27 giugno, per un settimo compleanno del fare in comune, uno straordinario e autonomo esercizio di libertà, potrà dunque essere una festa un po’ più spensierata e molto, molto più allegra. Anche perché di certo Mondeggi si sente parte, da tempo e a pieno titolo, di quel continente nuovo che, nel frattempo, ha preso il nome di Tierra insumisa. Quando la resistenza di chi vive e lavora senza padroni cresce, a Mondeggi lo sanno bene, insieme alle candeline sulla torta si accendono nuovi sogni.
bitare un luogo vuol dire vivere un intreccio di legami. Significa sentire che quel luogo ci appartiene nello stesso modo in cui noi gli apparteniamo. Non si tratta di semplici parole: custodire, mantenere, curare, tramandare, difendere strenuamente un luogo significa sentirlo parte integrante delle nostre vite. Abitare un luogo, una terra, comporta il sentirsi coinvolti con quello che ci circonda e con tutte le relazioni connesse: le nostre abitazioni, i campi che ci danno il cibo, noi stessi, le piante e gli animali ma anche le strade, i sentieri, i corsi d’acqua, le colline, le vallate e le montagne.
Abitare significa anche sentirsi forti, sentirsi esattamente l’opposto di quello che vorrebbe il sistema: fragili individualità isolate bisognose di ricevere tutto ciò che occorre per vivere, costrette ad attraversare solamente i propri luoghi di vita senza alcun coinvolgimento con essi. Abitare significa, in fin dei conti, essere convinti che niente e nessuno potrà mai cancellare tutto questo, perchè è questo che costituisce la nostra vita. La possibilità di poterlo praticare, poi, dipende moltissimo dalla nostra distribuzione sul territorio.
Nella nostra penisola, come più o meno in tutta l’Europa, fino al 1800 quasi il 90% della popolazione viveva in centri abitati sotto i 5mila abitanti e non più del 3% in centri sopra i 15mila. Dalla seconda metà del 1800 alla prima metà del 1900, la popolazione urbana è salita dal 17% al 57, ed è arrivata al 70 nel 2000. Oggi siamo oltre il 75%. Non è da così tanto tempo, dunque, che siamo diventati un popolo urbano, la nostra distribuzione sul territorio si è radicalmente modificata da pochissimo.
Così, abbiamo abbandonato i territori rurali, in special modo quelli montani e marginali, e ci siamo ammassati nelle città. Siamo diventati un popolo che vive in città, urbanizzato e completamente separato dalla vita rurale e dal rapporto diretto con la produzione del nostro cibo. In poche generazioni s’è completamente persa la capacità manuale ed esperienziale di produrre, o anche solo conoscere chi produce, il cibo, quindi di poter soddisfare autonomamente i nostri bisogni primari.
Abbiamo bisogno di essere nutriti, allevati, da un sistema che produce e distribuisce in maniera industriale il cibo per noi, un sistema infame che, a sua volta, ha però bisogno di noi. Non può fare a meno delle nostre braccia, delle nostre menti e dei nostri bisogni da soddisfare. Allo scopo, ci fornisce posti di lavoro (scarsi) dai quali ottenere (con molta fatica) il denaro sufficiente (per molti appena sufficiente) per comprare quello che ci necessita.
È soprattutto con queste premesse, il movimento Genuino Clandestino è diventato nell’ultimo decennio uno dei punti di riferimento di una neocontadinità che tende a ridefinire un nuovo rapporto città / campagna con l’obbiettivo di provare a migliorare subito le nostre condizioni di vita. Genuino Clandestino nasce nel 2010 da alcune reti contadine che – a Roma, Bologna, Firenze, Perugia, Napoli e in molte altre città – iniziano a confrontarsi e a condividere pratiche, lotte e obbiettivi.
Il primo obbiettivo comune diventa promuovere e sostenere una campagna di informazione che vuole denunciare come il sistema neoliberista ha espropriato al mondo rurale la libera trasformazione dei prodotti contadini. Si tratta di trasformazioni che sono state consegnate all’industria attraverso leggi e regolamenti che, promuovendo false efficienze e sicurezze alimentari, hanno equiparato il lavoro del contadino a quello dell’agroindustria ponendolo automaticamente fuori dalla legalità.
Riunendosi ogni sei mesi sempre in luoghi diversi, aggregando singoli e nuove reti contadine e continuando il lavoro di confronto delle pratiche, di elaborazione politica, rivendicazione e resistenza, in questi dieci anni il movimento ha aggiunto molti altri obbiettivi alla fase iniziale. Genuino Clandestino si è trasformato in una rete di reti dalle maglie mobili di comunità in divenire, una rete che, oltre alle rivendicazioni iniziali, propone alternative concrete al sistema capitalista vigente. Ha scelto di non avere un’identità definita, strutture verticali, portavoce e rappresentanze. Condivide l’antifascismo, l’antirazzismo e l’antisessismo.
In modo assembleare e attraverso molte ore di discussione e confronto sono stati scritti alcuni punti di programma politico e un Manifesto nel quale chiunque è libero di riconoscersi e di assumerlo come proprio obbiettivo politico e di vita, mettendolo in pratica. Con la realizzazione di pratiche svincolate dal sistema del capitale e del profitto, contadini e contadine hanno iniziato a condividere sistemi di mutuo aiuto e di autocontrollo partecipato, così come la presenza in piazze di città e paesi dove incontrare e coinvolgere co-produttori (“consumatori”, nel sistema dominante) nei mercati contadini autogestiti.
Quei mercati sono luoghi dove produttori di cibo agrecologico, locale e nella misura contadina si incontrano e insieme lavorano con gli abitanti dei centri urbani per il superamento della contrapposizione in cui si sentono normalmente posti dal sistema della grande distribuzione organizzata del cibo, ovvero soggettività mosse da interessi contrastanti. Fin dall’inizio dell’esperienza di Genuino Clandestino. uno dei problemi che maggiormente è emerso è stato quello dell’impossibilità di poter accedere alla terra per chi non dispone di capitali sufficienti. Per la maggioranza delle persone che lo desiderano, è evidente l’mpossibilità di poter avviare una attività contadina. La sola possibilità concessa sembra essere cercare di vendere la propria forza lavoro a chi è disposto a comprarla in un mercato drogato da finanziamenti pubblici che facilitano la grande impresa e il caporalato in una gestione della manodopera che sfrutta le migrazioni da paesi del sud del mondo.
Nel 2012, il primo dei governi tecnici post Berlusconi, retto dal premier Mario Monti, ratificando uno degli ultimi decreti berlusconiani (il cosiddetto “Salva-Italia”), fra le altre cose prevedeva la svendita del patrimonio pubblico costituito da terre a vocazione agricola. L’ennesima privatizzazione, usando il pretesto del debito pubblico per favorire interessi privati, questa volta riguardava le ultime porzioni di territori ancora in mano agli enti pubblici e, teoricamente, a sovranità popolare. La manovra risultò subito essere di natura puramente estrattivista; il solito pretesto del debito era evidentemente fasullo in quanto, anche vendendo a prezzi di mercato, la cifra ottenuta era appena una goccia nel mare del debito pubblico ma intanto avrebbe certo spalancato le porte a speculazioni private alienando le ultime possibilità di autonomia alimentare dei territori (cosa puntualmente accaduta in seguito).
Nella primavera di quell’anno, Genuino Clandestino lanciò nelle varie reti una campagna di informazione/opposizione al decreto e, in particolare, alla svendita delle terre pubbliche: “Terra Bene Comune“. Nella realtà di cui faccio parte, la rete locale si attivò e diede vita al comitato Terra Bene Comune Firenze. Seguirono molte assemblee cittadine per organizzare forme di lotta e l’informazione. Durante una di queste, fu portato all’attenzione del comitato il caso della fattoria di Mondeggi sita in un comune limitrofo all’area fiorentina .
La Fattoria di Mondeggi, quasi duecento ettari di terreni collinari con vigneti, oliveti, seminativi e bosco era dotata anche di numerose case coloniche e di una villa monumentale del 1600. Con la Provincia di Firenze come unico proprietario, il bene pubblico versava allora in uno stato di semiabbandono e la gestione era coperta da debiti milionari.
L’origine della tenuta, di impianto mezzadrile, si perde nei secoli passati ed arriva a diventare bene pubblico negli anni ’60 del 1900 mediante l’acquisto da parte della Provincia di Firenze con i fondi per la sanità. L’intenzione era quella di utilizzare la villa per un manicomio al servizio dell’area fiorentina. Non fu mai realizzato finchè, con l’arrivo della Legge Basaglia (1978 ), non fu più possibile concepire simili strutture. La tenuta è rimasta in carico all’ente territoriale ed è stata utilizzata dai vari politici di turno a fini propagandistici e clientelari mettendo in essere uno dei tanti “mostri giuridici” che i nostri amministratori sono stati capaci di realizzare, ovvero un’impresa di diritto privato di proprietà esclusiva dell’ente pubblico. Nel corso di un’assemblea successiva agli stimoli generati dall’incontro nazionale appena concluso, il 10 novembre 2013, il comitato si trasformava in “Verso Mondeggi Bene Comune – Fattoria senza Padroni” e prendeva forma una prima idea di recupero agricolo della tenuta tramite le pratiche dell’agricoltura contadina, biologica, di piccola scala, che contribuisce naturalmente alla salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio ed alla creazione di ricchezza diffusa che resta nel territorio seguendo i canali della filiera corta.
Già dalle prime assemblee l’idea voleva diventare progetto, si aggregavano persone provenienti da mondi molto diversi fra loro ed iniziavano a intrecciare sensibilità e visioni confrontandosi in lunghi cerchi dove si concretizzavano, intorno al progetto stesso, reciproche conoscenze, aspirazioni, lotte e voglia di costruire qualcosa di totalmente nuovo. Nelle assemblee si trovavano fianco a fianco contadini attivisti di GC, cittadini che facevano parte del variegato mondo del consumo critico come aderenti ai GAS (gruppi di acquisto solidale) e frequentatori abituali dei mercati contadini autogestiti, ecologisti, giovani universitari allora attivi nel collettivo della facoltà di agraria e militanti di centri sociali.
Durante l’incontro nazionale di Genuino Clandestino (GC) del 1-3 novembre 2013 tenutosi a Firenze, specificatamente dedicato all’accesso alla terra, il comitato Terra Bene Comune Firenze avviò la campagna “Mondeggi Bene Comune Fattoria Senza Padroni”. In quell‘occasione il comitato propose all’intero movimento il recupero di tutta la fattoria attraverso l’uso dell’agricoltura contadina, ritenuta l’unico modello perseguibile per dare opportunità di accesso alla terra al maggior numero possibile di persone creando un prezioso precedente replicabile nei vari territori .
Cosa avevano in comune tutte queste persone con vite così diverse, storie personali così diverse, lotte e obbiettivi diversi e aspettative apparentemente distanti fra loro?
La campagna Terra bene comune lanciata da GC in opposizione alla svendita delle terre pubbliche a vocazione agricola offriva molti spunti di riflessione e di azione politica. La campagna con l’obbiettivo Mondeggi, da oppositiva diventava propositiva, e lo stimolo si traduceva in voglia di prendere in mano le redini della propria autodeterminazione territoriale mettendo in gioco le proprie esistenze a partire dalla soddisfazione dei bisogni primari: prodursi il cibo, abitare un luogo, realizzare una vita socialmente appagante attraverso la creazione di una comunità.
La consapevolezza comune a tutti e tutte che i governanti e le istituzioni apparivano lontanissime e incapaci anche solo di immaginare l’idea di soddisfare i nostri più urgenti bisogni era piena. Oltre alle numerose periodiche assemblee, si alternavano frequentazioni assidue nei campi, nei sentieri e nei fabbricati della tenuta in abbandono e in via di privatizzazione. Si iniziava a condividere un sogno che diventava aspirazione e si concretizzava il desiderio di qualcosa di altro rispetto all‘unica strada consentita da percorrere (specialmente per i più giovani).
Un anno di presenza fisica sul territorio, assemblee e legami sempre più forti mettevano in moto meccanismi inaspettati. Il primo atto dimostrativo della potenza che poteva sprigionarsi a Mondeggi è consistito in una serie di giornate (la prima il 17 novembre 2013) di raccolta popolare delle olive nella fattoria, olive che comunque nessuno avrebbe raccolto. Dalle olive raccolte è stato estratto l’olio che poi è stato ridistribuito gratuitamente alla popolazione. L’iniziativa vide la partecipazione attiva di centinaia di persone.
La Provincia di Firenze chiamò immediatamente il Comitato per un chiarimento e un confronto, avvenuto poi il 22 novembre 2013. La richiesta del Comitato è sempre stata chiara: l’avvio di un percorso sperimentale condiviso con le realtà del territorio per il recupero di tutta l’area della fattoria di Mondeggi.
La Provincia di Firenze si dimostrò inizialmente possibilista circa questa ipotesi ma poi, nel corso degli incontri successivi, emerse una sempre più decisa volontà di alienare il bene a dispetto dell’esistenza del comitato. È di questo periodo la stesura e l’approvazione della Carta dei Principi e degli Intenti, un primo manifesto dove si tracciano le fondamenta di questa sperimentazione sociale. La bussola con la quale orientarsi e mantenere dritta la barra verso pochi, chiari e fondamentali principi, della vita comunitaria.
Fu attraverso l’organizzazione di molti incontri sul territorio e di eventi ricreativi nell’area della fattoria, che si iniziò a riportare le persone a vivere Mondeggi e a ricostruire un sentimento affettivo fra la fattoria e gli abitanti dei dintorni. All’inizio della primavera del 2014, il Comitato avviò un orto collettivo nella zona di Cuculia, ex centro direttivo dell’azienda. Ciò produsse una presenza almeno settimanale del Comitato nell’area della fattoria, che portò con sé un progressivo approfondimento della conoscenza delle condizioni della fattoria. Questo permise al Comitato di non trovarsi impreparato quando la Provincia confermò in via definitiva la scelta dell’alienazione.
Quella del comitato fu invece di opporsi fisicamente alla vendita.
In conseguenza di ciò, fu deciso di rispondere alle intenzioni della Provincia costituendo un presidio contadino permanente che desse vita ad una custodia popolare della fattoria. Il presidio fu insediato al termine di una festa organizzata per la fine di giugno 2014. Il 27-28-29 giugno il Comitato organizzò una 3 giorni di rinascita di Mondeggi che vide la partecipazione di almeno un migliaio di persone ed ebbe vasta eco a livello nazionale. Il presidio aveva cominciato immediatamente a dare concretezza alla Carta dei principi e degli intenti, arrestando il degrado di casa Cuculia, ampliando le attività agricole e continuando nell’organizzazione di occasioni di socialità.
Per rendere economicamente sostenibile il progetto e condividere la cura e il ripristino del bene con le persone del territorio, si attivarono fin dall’inizio progetti agricoli, culturali e sociali:
orticoltura, con due orti biologici e la progettazione di una serra; erboristeria e autogestione della salute con l’orto sinergico; panificazione con la semina di grani antichi, la recinzione dei campi contro i selvatici e la progettazione di un forno; allevamento ovi-caprino: ripulitura della parte del vecchio pollaio e ripristino di seminativi abbandonati per il pascolo; olivicoltura: ripulitura e potatura di parti dell’oliveto fatta dai presidianti e abitanti della zona; apicoltura: istallazione di varie arnie e produzione di miele e altri sotto-prodotti; arboricoltura, progettazione di un frutteto con adozione di un albero da frutta da parte delle persone del territorio.
E poi ancora: manutenzione, messa in sicurezza dei tetti e ripristino del fienile, raccolta di acque piovane da tutti i tetti di Cuculia; attivazione della scuola contadina libera, gratuita e aperta a tutta la cittadinanza; passeggiate di riconoscimento e conoscenza delle erbe selvatiche; cineforum; rappresentazioni teatrali; presentazioni di libri.
Nel novembre 2014 partirono le assemblee nelle Case del popolo del circondario per promuovere il progetto MO.T.A. (Mondeggi Terreni Autogestiti). Con questa iniziativa veniva richiesto alla popolazione di custodire collettivamente dei piccoli appezzamenti di terreno di Mondeggi, tramite la cura di olivi e/o la formazione di piccoli orti familiari. A queste assemblee furono invitati a partecipare i cittadini dei comuni circostanti: la partecipazione fu fin dall’inizio numerosa e coinvolse attorno al progetto più di 300 persone. Grazie a questa iniziativa si è creata una comunità, inserita nel più grande progetto di Mondeggi Bene Comune che – tramite la gestione assembleare delle decisioni – è riuscita è gestire collettivamente, curare una porzione della tenuta che prima versava nel più completo abbandono. Dal dicembre 2014 ad oggi il Progetto Mondeggi Bene Comune ha portato avanti parallelamente la gestione agroecologica dei vari appezzamenti, la promozione degli aspetti politici delle vertenze contadine in resistenza e le tematiche legate alla socialità e alla gestione collettiva del bene comune.
La condizione contadina si realizza con la ricerca dei modi più corretti di appropriarsi delle risorse necessarie alla nostra vita e alla nostra riproduzione, per noi stessi e per le generazioni future. Fare il contadino non significa decidere una professione, un mestiere ma praticare un modo di vivere. In netto contrasto con il sistema che ci vuole cittadini, operai salariati, professionisti di qualcosa di specializzato, imprenditori, tutti quanti dediti al reddito e non alla vita.
L’esperienza di Mondeggi si basa sulla condizione contadina ed è una comunità in costruzione che, al momento, ha forma di occupazione, di presidio permanente, di custodia popolare. Custodire, prendersi cura, è molto diverso dall’amministrare.
La vita di un contadino (qualche decina di anni) è poca cosa rispetto alla vita della terra (milioni di anni). La comunità che si autogoverna affida la custodia al contadino per la minuscola frazione di tempo della sua vita ed è lui stesso che si impegna a riceverla, a mantenerla vitale e in salute e a riconsegnarla uguale, o addirittura migliorata, alle generazioni future. Questo semplicissimo meccanismo, per poter funzionare e far sì che la terra sia veramente un bene comune, ha bisogno che la comunità esista e che sia più forte e longeva dell’individuo ma anche che la sua custodia sia effettuata con metodi contadini agroecologici e svincolata dalle logiche del capitale, del profitto e di un sistema centralizzante.
Come a questo punto sarà piuttosto facile intuire, i rapporti con le istituzioni non sono facili. La loro posizione è molto rigida. Secondo loro, non è accetabile che, sentendosi proprietari di un bene immobile, i cittadini autoorganizzati lo custodiscano in loro vece, sostituendosi alla loro incapacità o finta imparzialità. Gli amministratori di turno (eletti) si sentono obbligati a salvaguardare la parte del corpo che depongono giornalmente sulle loro amate poltrone da incidenti amministrativi (come danno erariale o peggio) e, al tempo stesso, tendono a mantenere saldo l’esercizio del potere ricevuto dal mandato elettorale.
Mondeggi non è semplicemente una occupazione di terre in quanto non esiste un determinato e circoscritto nucleo di cittadini che si è impossessato di un bene privato (benché paradossalmente pubblico) per trarne profitto personale o soddisfare i propri bisogni primari. Esiste una parte della comunità locale diffusa (l’unica al momento) che si è autonomamente sostituita alle incapacità della pubblica amministrazione che vede unicamente la privatizzazione come strada da percorrere.
La Fattoria Senza Padroni di Mondeggi è un importante esperimento sociale di autogoverno di una comunità che non trae profitto destinato ad arricchire i partecipanti ma in maniera trasparente ed assembleare ridistribuisce nel territorio e per il territorio la ricchezza prodotta. Esattamente l’inverso della privatizzazione. La Fattoria Senza Padroni, pur essendo nell’illegalità, continua a produrre cibo sano per la comunità, a custodire la terra con l’agricoltura contadina agroecologica e a coltivare il bene comune gridando le parole di Emiliano Zapata “Restituiamo la terra ai suoi legittimi non proprietari”.
Giovanni Pandolfini (autore dell'articolo) fa parte del Comitato Mondeggi Bene Comune.
In questa giornata l’Associazione Parco Valpolicella ETS, in collaborazione con la Pro Loco di Marano di Valpolicella e il CTG Valpolicella – Genius Loci, organizza una passeggiata guidata attraverso il Parco Valpolicella, allo scopo di contribuire alla diffusione della conoscenza del Parco e creare un primo momento di presentazione pubblica dell’Associazione stessa.
Programma:
- dalle ore 9: ritrovo al parcheggio presso il campo sportivo di Fumane (circa 200 m dopo la scuola elementare, in direzione della Valle di Fumane, sulla sinistra della strada) e registrazione dei partecipanti. N.B.: anche chi ha provveduto alla prenotazione telefonica preventiva è invitato a passare dal banchetto della registrazione per confermare la sua presenza.
- formazione dei gruppi e partenza lungo il sentiero che parte dalla contrada Isola e porta al Parco Valpolicella.
- durante tutta la mattina, attraversamento del Parco Valpolicella in salita fino a Purano e poi alla chiesa di Santa Maria Valverde. Lungo il percorso verranno illustrate le caratteristiche del Parco e degli habitat presenti, nonché la storia della sua formazione con i recuperi ambientali delle ex-cave della Cementirossi.
- pranzo al sacco presso la chiesa di Santa Maria Valverde. Al loro arrivo i gruppi saranno accolti dalla Pro Loco di Marano, che offrirà ai partecipanti uno spuntino di benvenuto.
- Nel primo pomeriggio, chi vorrà potrà visitare il vicino Tempio di Minerva, con la presentazione delle guide del CTG.
- Alle ore 15 circa si incominceranno le partenze per il ritorno a Fumane, in discesa attraverso il Parco Valpolicella, per altra via rispetto a quella dell’andata.
- Ore 18 circa: arrivo a Fumane e saluti.
INDICAZIONI GENERALI
- per prenotazioni e informazioni telefonare al numero 3470908763 (Ilaria), oppure via e-mail all’indirizzo parcovalpolicella@gmail.com; per la prenotazione è necessario nome, indirizzo e telefono dei partecipanti;
- i partecipanti sono invitati a rispettare sempre il distanziamento previsto dalle norme anti-covid (ad eccezione, ovviamente, degli appartenenti ad uno stesso gruppo famigliare);
- possono partecipare minorenni purchè accompagnati da persone maggiorenni che ne assumano la custodia sotto la propria responsabilità;
- i cani sono graditi, ma tenuti al guinzaglio;
- ognuno è responsabile della propria sicurezza, nonché dei danni di qualsiasi natura arrecati personalmente, da minori a lui affidati e da animali o cose di cui abbia la custodia.
Secondo Pesticides Action Network i 12 pesticidi autorizzati dal 2006 ad oggi devono essere riesaminati
Le valutazioni sui pesticidi fatte dall’Efsa – l’Autorità europea per la sicurezza alimentare – “non sono affidabili”. Lo afferma l’ong ambientalista Pan – Pesticide Action Network – che ha monitorato il processo di approvazione dei pesticidi condotto dall’Efsa negli ultimi 15 anni mettendo in luce come in alcuni casi il parere dell’Autorità non abbia trovato riscontro nel mondo scientifico.
Secondo Pan l’Efsa ha autorizzato 12 pesticidi pur essendo sospettati di essere genotossici. Vale a dire in grado di danneggiare il Dna delle cellule e per questo associati al rischio di cancro.
E’ il caso dell’idrazide maleica. Si tratta di un erbicida che vede tra i suoi metaboliti l’idrazina considerata genotossica e classificata come cancerogena di categoria 1B (sospetta) per l’uomo. Nella valutazione dell’Efsa la sostanza è stata considerata non genotossica se al di sotto di una certa concentrazione (0,028 ppm).
Un approccio tossicologico – si legge nel comunicato stampa del Pan – non condiviso dalla comunità scientifica per sostanze come i prodotti genotossici o interferenti endocrini, ritenuti agire “senza soglia”. Invece grazie alla valutazione dell’EFsa la commercializzazione dell’idrazide maleica è stata approvata a livello europeo nell’ottobre 2017 per un periodo di 15 anni.
Martin Dermine, responsabile della politica sanitaria e ambientale del Pan, ha dichiarato: “Il nostro rapporto mostra che i 12 pesticidi non si sono dimostrati sicuri. Ciò significa che alimenti e mangimi sono contaminati da sostanze con un rischio inaccettabilmente elevato di gravi ripercussioni sulla salute”.
“La contaminazione del suolo incide sulla qualità dell’agricoltura generando una perdita di produttività compresa tra il 15% e il 25%. È uno dei dati rilevanti contenuti nel rapporto Fao sull’inquinamento dei terreni mondiali “Global Assessment of Soil Pollution”. Un danno che colpisce soprattutto le popolazioni più vulnerabili del pianeta che vivono per i quattro quinti nelle aree rurali e per il cibo dipendono direttamente dal suolo.
Un suolo contaminato ha una capacità ridotta di fornire servizi ecosistemici e ostacola il raggiungimento di ben 15 dei 17 obiettivi fissati dall’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile.
Inoltre un terreno contaminato contribuisce all’inquinamento delle acque dolci e marine (l’80% dell’inquinamento marino è causato da attività terrestri) mettendo a rischio l’accesso all’acqua potabile di una parte della popolazione. E limita la capacità di trattenere la CO2, togliendo un’arma importante alla lotta contro i cambiamenti climatici.
“Occorre dare una risposta coordinata per affrontare l’inquinamento del terreno e migliorare la salute del suolo per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite”, ha affermato il direttore generale della Fao QU Dongyu. “La protezione del suolo è della massima importanza per garantire il successo dei nostri sistemi agroalimentari futuri. La nostra società vuole cibi più nutrienti e sicuri, privi di contaminanti e agenti patogeni. Questo si riflette nel nostro lavoro su come trasformare i nostri sistemi agroalimentari per una produzione migliore, una nutrizione migliore, un ambiente migliore e una vita migliore, senza lasciare indietro nessuno”.
A minacciare la salute del suolo – oltre alle attività industriali, l’estrazione mineraria, il trattamento dei rifiuti, i trasporti – sono anche i pesticidi utilizzati nell’agricoltura intensiva. Tra il 2000 e il 2017, l’uso di pesticidi è aumentato del 75%. La conseguenza è che oggi l’80% dei suoli coltivati in Europa contiene residui di queste sostanze. Tra questi soprattutto il glifosato e i suoi derivati, ma anche fungicidi e ancora il ddt, seppur bandito da anni.
Vanno poi aggiunti i fertilizzanti. Nel 2018 sono stati utilizzati complessivamente circa 109 milioni di tonnellate di fertilizzanti sintetici a base di azoto. In Europa la presenza di azoto raggiunge valori critici nel deflusso verso le acque di superficie nel 65-75% dei terreni agricoli. In pratica tre quarti dei suoli europei sono a rischio eutrofizzazione.
“Per fermare l’inquinamento del suolo in agricoltura si deve tagliare sull’utilizzo di prodotti chimici e affidarsi, tra le altre cose, a un’agroeconomia circolare, un consumo più sostenibile e alla rotazione delle colture”. Lo ha precisato Inger Andersen, segretario esecutivo dell’Unep, nel corso della presentazione del rapporto.
Oltre a pesticidi e fertilizzanti a inquinare il suolo ci sono altri contaminanti come l’arsenico, il rame, il cromo, il mercurio, il nichel, il piombo, lo zinco e il cadmio. Quest’ultimo è presente a livelli superiori alle soglie regolamentari nel 21% dei terreni agricoli europei. Dall’inizio del XXI secolo, la produzione annua mondiale di prodotti chimici industriali è raddoppiata arrivando a circa 2,3 miliardi di tonnellate e si prevede che aumenterà dell’85% entro il 2030.
I ricercatori di questa realtà hanno sviluppato delle semenze per campi contenenti funghi e batteri studiati per offrire alle piante dei benefici. “Mano a mano che la pianta cresce – ha spiegato Guy Hudson, CEO di Soil Carbon Co. a Forbes – emette degli zuccheri nel suolo che sono convertiti in anidride carbonica stabile nel suolo dai funghi”. Nel suolo si creano delle piccole palline di terreno, chiamati microaggregati, che impediscono al gas di essere rilasciato di nuovo in atmosfera.
La scelta consentirebbe di avere terreni più fertili, e quindi coltivazioni migliori. Aggiungere materia organica nel suolo grazie al compost migliora la sua qualità, aiuta a trattenere più acqua e nutrienti e permette di ottenere piante più sane e redditizie.
Parlando di contrasto all’inquinamento, i risultati sarebbero sorprendenti: “Il bilancio dei nostri studi mostra un incremento tra il 7 al 17 percento di CO2 imprigionata nel terreno nel giro di una stagione. Se il trattamento fosse applicato agli 1,8 miliardi di ettari che coltiviamo ogni anno, potremmo avere circa 8 gigatoni di anidride carbonica equivalente assorbita”, ha aggiunto Hudson. Una cifra che ammonterebbe a poco meno di un quarto dei 33 gigatoni rilasciati ogni anno a livello globale.
Per queste ragioni, l’entusiasmo verso la soluzione sta aumentando. Ci sono, tuttavia, anche delle voci critiche dalle quali arrivano dei dubbi sull’effettiva efficacia della tecnologia. Una delle principali critiche riguarda la stabilità e la resistenza alla decomposizione di queste “palline assorbi CO2” nel terreno. Un altro fattore d’incertezza è l’impatto sull’equilibrio della terra: “Il suolo contiene più CO2 di tutte le piante del mondo e dell’atmosfera messe insieme, quindi anche piccoli cambiamenti nell’equilibrio tra la sua formazione e la sua erosione possono avere effetti sul clima”, ha avvertito Bonnie Waring del Grantham Institute of Climate Change and Environment dell’Imperial College London. Infine, ci si chiede se questi microbi potrebbero adattarsi in maniera efficace alle diverse tipologie di terreni del mondo.
I critici perciò invitano a concentrarsi sulle strategie più tradizionali per combattere il cambiamento climatico. In primis, proteggere gli ecosistemi in grado di assorbire molta CO2 come foreste e praterie. Senza trascurare, però, la ricerca per migliorare queste biotecnologie che guardano all’agricoltura. Soluzioni che sarebbero di gran lunga più economiche: mentre la piantumazione di nuovi alberi costa un centinaio di dollari per tonnellata di CO2 equivalente catturata, il metodo di Carbon Soil Co. ne richiederebbe solo 20-50.
“Respingiamo ogni accusa sul fatto che il Kamut non sia bio. Le contaminazioni da glifosate e altri pesticidi emerse dalle analisi a campione di alcuni clienti possono avere mille cause che non devono minare assolutamente la credibilità della nostra filiera esclusivamente biologica”. Così esordisce Emanuela Simonetti, direttore scientifico di Kamut Enterprises of Europe, che ha sede a Bologna e che gestisce la commercializzazione del prodotto (la granella del celebre marchio, destinata ai vari clienti, frantoi o pastifici, che realizzano e lavorano la celebre farina) in Italia e Spagna.
L’Italia è il primo importatore di questo prodotto e assorbe anche la metà dei volumi coltivati ogni anno, anche con l’obiettivo di riesportarlo.
“Il problema delle contaminazioni ambientali è un problema globale – precisa Simonetti -. È stato dimostrato che se in un campo vengono applicati dei pesticidi, le relative particelle disperse nell’aria sono in grado di viaggiare per molti chilometri e contaminate altre colture. Attualmente il Kamut oltre che in Canada, nella regione del Saskachewan, viene coltivato anche nel Montana del Nord, negli Stati Uniti ed è noto che la federazione statunitense non ha bandito l’uso di questo tipo di pesticidi per le sue colture estensive”.
Nonostante questo, anche recentemente il brand di pasta premium De Cecco, probabilmente in via precauzionale e senza troppi clamori, ha tolto il claim Bio dalle proprie confezioni di pasta Kamut e, ancor prima, Alce Nero, che commercializzava la pasta Kamut Bio tra le proprie referenze sia di pasta che di frollini, ha interrotto la collaborazione con Kamut Enterprise, in concomitanza con la scoperta delle contaminazioni.
“In realtà – spiega Massimo Monti, ad di Alce Nero – per quel che ci riguarda, si tratta di una semplice coincidenza temporale che non ha nulla a che vedere con i controlli a campione che hanno fatto emergere alcune contaminazioni da pesticidi. Noi abbiamo deciso di puntare a valorizzare le produzioni di grani italiani e la varietà Khorasan, che la Kamut Enterprise vende con il proprio marchio, è libera e sta iniziando ad essere coltivata anche in Italia. Certo, al momento non ci sono grandi volumi, è una produzione di nicchia. Ma noi abbiamo accettato la perdita di quel giro d’affari derivato dalla produzione nordamericana, che era di qualche milione di euro, inferiore a cinque in ogni caso, per avere adesso un business da qualche centinaio di migliaio di euro per il desiderio di lavorare in una prospettiva made in Italy. Un altro motivo che ci ha portato a distaccarci dalla Kamut, è legato, inoltre, all’alta volatilità dei prezzi imposta dalla stessa Kamut, che non riuscivamo a gestire in nessun modo”.
Una ricerca esclusiva condotta per GreenPlanet, ci ha portato a mettere in luce che, anche nelle regioni del Nordamerica, così come in tutto il globo, le produzioni agricole stanno patendo il cambio climatico, al punto che nel 2016 la Kamut Enterprises, aveva annunciato un drastico calo dei volumi (circa il 20% del prodotto in meno) proprio a causa del clima. E in tutti questi anni non può certo dirsi che il problema del clima impazzito si sia risolto o, più semplicemente, sia migliorato visto che in poco più di un lustro l’aumento della temperatura media del pianeta è stato di 1,5º. Un’enormità, a maggior ragione per l’agricoltura.
Abbiamo chiesto a Kamut Enterprises qualche dato sui volumi in commercio, con la possibilità di avere un dettaglio sui trend degli ultimi cinque anni e così ci hanno risposto dal quartier generale: “La produzione varia di anno in anno, ma negli ultimi 5 anni abbiamo avuto fino a circa 40 mila ettari di produzione per anno. Il nostro obiettivo però non è quello di concentrarci su quanto è grande la produzione, ma piuttosto sulla qualità. Speriamo che lavorando in questo modo, il grano khorasan KAMUT® continuerà ad essere apprezzato e contribuire ad un impatto positivo per il cibo sano e l’agricoltura biologica”.
Si esclude che una volta venduta la granella di Kamut Bio, si possano, anche accidentalmente, creare delle commistioni con altri grani per ‘allungare il brodo’ ed eventualmente rientrare dal prezzo richiesto per questa varietà affermatasi sul mercato grazie al brand mondiale Kamut che ha come obiettivo principale, insieme alla filiera di qualità controllata con almeno due audit per ogni step, anche quello di remunerare equamente gli agricoltori?
“È un’ipotesi che escludiamo a priori – risponde Emanuela Simonetti – perché grazie ai nostri controlli, che nella fase di commercializzazione finale sono affidati alle dichiarazioni dei nostri clienti, risulta sempre una concordanza tra i volumi di granella venduta dalla Kamut e quelli dei derivati presenti in commercio”.
Sul tema delle liquidazioni ai produttori abbiamo chiesto alla Kamut, quali fossero i dati delle ultime campagne. E così ci ha risposto: “Per noi è fondamentale che i nostri produttori abbiano sempre un prezzo equo e per tale intendiamo che venga garantita una cifra che permetta loro di essere non solo sostenibili, ma di avere successo e di poter investire nella salute a lungo termine della loro azienda e delle loro operazioni, per una produzione di migliore qualità e una terra più sana. Il prezzo effettivo pagato varia di anno in anno, ma è al di sopra dei normali prezzi di mercato, anche tra le colture biologiche, dato che il grano khorasan KAMUT® è a bassa resa”.
Va precisato che, una volta venduta la granella ai clienti, gli audit della Kamut continuano e sono anche frequenti, anche nei negozi e si basano sulle dichiarazioni effettuate dai clienti siano essi mulini, pastifici o retailer.
tratto da: https://greenplanet.net/ma-il-kamut-e-bio-precisazioni-dellazienda-distributrice-e-di-alce-nero/