Come smaltire i pannelli fotovoltaici? Il Gse prova a fare chiarezza

 Col Decreto Semplificazioni partorito dal governo lo scorso 31 maggio, e in attesa di conversione in legge da parte del Parlamento, è facile prevedere in Italia un nuovo boom delle energie rinnovabili, dopo quello che interessò il nostro Paese nella prima decade del Duemila.

È l’auspicio del ministero della Transizione ecologica, retto da Roberto Cingolani. Nel testo del governo Draghi, infatti, vengono snellite e velocizzate le procedure autorizzative per nuovi impianti produttivi e il ripotenziamento di quelli esistenti, la costruzione delle necessarie infrastrutture energetiche e dei sistemi di accumulo così come le attività di bonifica dei siti contaminati. A essere messo sotto osservazione sarà soprattutto il fotovoltaico, che tra tutte le rinnovabili è la tecnologia più matura e più diffusa, proprio per la sua facilità di installazione.

In questo scenario c’è una domanda circolare che finora è rimasta sullo sfondo, e meriterebbe invece particolare attenzione: come bisogna smaltire i “vecchi” pannelli fotovoltaici che riempiono sempre più case e terreni?

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Le linee guida del Gestore Servizi Energetici

A ciò ha provato a dare una risposta, già dall’aprile del 2019, il Gestore Servizi Energetici (d’ora in poi Gse, nda). Pochi giorni fa il Gse ha aggiornato le “Istruzioni operative per la gestione e lo smaltimento dei pannelli fotovoltaici incentivati” alla luce del recente art.1 del decreto legislativo 118/2020 – più noto come Decreto per Rifiuti di Pile ed Accumulatori (RPA) e Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (RAEE). Si tratta di una norma che fa parte di una serie più ampia di provvedimenti con i quali l’Italia ha recepito le direttive europee facenti parte del “Pacchetto Economia Circolare”.

Il nuovo documento del Gse, che ora consta di 38 pagine, torna a ribadire che i pannelli fotovoltaici rientrano nell’ambito di applicazione dei RAEE. E, tra questi, i “rifiuti derivanti dai pannelli fotovoltaici” (di seguito “RAEE fotovoltaici”), ovvero i RAEE provenienti dai nuclei domestici, originati da pannelli fotovoltaici installati in impianti di potenza nominale inferiore a 10 kW.  Tutti i rifiuti derivanti da pannelli fotovoltaici installati in impianti di potenza nominale superiore o uguale a 10 kW sono considerati, invece, RAEE professionali”. Ci sono poi anche i RAEE storici fotovoltaici, ovvero i rifiuti derivanti da pannelli fotovoltaici immessi sul mercato prima della data di entrata in vigore del decreto legislativo del 2014.

Per chi poi usufruisce dei vari Conto Energia, vale a dire gli incentivi statali messi in campo dal governo da più di 15 anni che consentono di ricevere una remunerazione in denaro derivante dall’energia elettrica prodotta dal proprio impianto fotovoltaicoil Gse “trattiene dagli incentivi, negli ultimi dieci anni di diritto, una quota finalizzata ad assicurare la copertura dei costi di gestione dei rifiuti prodotti da tali pannelli. L’obiettivo è quello di garantire il finanziamento delle operazioni di raccolta, trasporto, trattamento adeguato, recupero e smaltimento ambientalmente compatibile dei suddetti rifiuti”. Quando poi l’impianto fotovoltaico viene correttamente smaltito, il Gse restituisce la quota al soggetto titolare dell’impianto.

È importante infine ribadire che il conferimento dei RAEE domestici ai Centri di Raccolta, ai sensi della normativa vigente, è gratuito.

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Tra intermediari e centri di raccolta, il ruolo del Gse

Nel documento del Gse si ribadisce che “il produttore iniziale o il detentore dei rifiuti – e, quindi, il soggetto responsabile in caso di pannelli fotovoltaici installati in impianti incentivati ai sensi del Conto Energia – provvedono direttamente al loro trattamento oppure li consegnano a un intermediario, a un commerciante, a un ente, a un’impresa che effettua le operazioni di trattamento dei rifiuti o a un soggetto pubblico o privato addetto alla raccolta e al trattamento dei rifiuti. Si precisa che, ai sensi della normativa vigente, il produttore iniziale o il detentore conserva la responsabilità dell’intera catena di trattamento, restando inteso che, qualora lo stesso trasferisca i rifiuti per il trattamento preliminare a uno dei soggetti consegnatari, tale responsabilità, comunque, permane”.

Se sul produttore ricade la responsabilità del pannello fotovoltaico, il ruolo del Gse è quello di vigilare sul suo corretto smaltimento. Lo fa dopo aver ricevuto la documentazione, da parte del produttore, il quale dovrà accedere all’applicativo informativo “SIAD” (Sistema Informativo per l’Acquisizione Dati), accessibile direttamente dal portale del Gse.

“Nel solo caso di RAEE fotovoltaico professionale – spiega ancora il documento – il soggetto responsabile, in ultima istanza, potrà richiedere al Gse la completa gestione delle operazioni di raccolta, trasporto, trattamento adeguato, recupero e smaltimento ambientalmente compatibile dei rifiuti prodotti dai pannelli fotovoltaici incentivati. Si precisa che il Gse non agisce come operatore di mercato, ma garantisce il rispetto delle operazioni sopraelencate utilizzando la quota trattenuta al soggetto responsabile”.

Se invece si vuole spedire il RAEE fotovoltaico al di fuori del territorio nazionale, attraverso le cosiddette spedizioni transfrontaliere, si dovranno comunque seguire le norme indicate dal Parlamento e dalla Commissione europea, oltre ovviamente alla legislazione nazionale sui rifiuti.

Nel caso in cui il detentore del rifiuto disponga di un’autorizzazione per un deposito temporaneo (ai sensi dell’art. 183 del D.lgs. 152/2006), è ammissibile che i moduli fotovoltaici rimossi dall’impianto e classificati dal detentore come rifiuto possano permanere nel suddetto deposito fino a 12 mesi prima del relativo smaltimento.

La quota trattenuta dal GSE, finalizzata a garantire la completa copertura dei costi di gestione previsti per l’operazione di smaltimento dei moduli fotovoltaici a fine vita, rappresenta una garanzia per la futura attuazione delle operazionirelative:

  1. a) al ritiro del pannello fotovoltaico dal sito di installazione;
  2. b) alla logistica per trasferire il RAEE fotovoltaico dal sito produttivo all’impianto di trattamento (anche considerando eventuali ulteriori costi dovuti allo stoccaggio);
  3. c) al trattamento adeguato del RAEE;
  4. d) al recupero e allo smaltimento “ambientalmente compatibile” dei rifiuti prodotti dai pannelli fotovoltaici.

Il Gse stabilisce la quota da trattenere, per ciascun pannello, basandosi su informazioni da cui è possibile rilevare le voci di costo in maniera distinta per le singole attività,come se queste fossero svolte da imprese separate. Questo perché il recupero e lo smaltimento dei RAEE fotovoltaici non viene effettuato tramite linee dedicate, ma richiede la separazione e la lavorazione manuale dei materiali. L’auspicio finale del Gse è anche il nostro:  “è plausibile ipotizzare che all’incremento della numerosità dei RAEE prodotti dai pannelli fotovoltaici corrisponda un miglioramento del processo attuale di recupero e smaltimento oppure la creazione di un processo automatizzato per il recupero e lo smaltimento dei materiali provenienti da un RAEE fotovoltaico”.

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Le nuove disposizioni introdotte dal decreto n°118 del 2020

Il decreto legislativo 3 settembre 2020 n°118 apporta alcune modifiche al decreto 49/2014. Il riferimento è soprattutto all’introduzione della garanzia finanziaria e dell’entrata nel sistema collettivo dei singoli produttori di fotovoltaico. Se sulla prima c’è poco da dire, essendo appunto uno strumento di mercato che consiste in una forma di copertura acquistata dagli emittenti di titoli finanziariamente deboli per ridurre il rischio delle loro obbligazioni (assicurando che il prestatore sarà ripagato sia del capitale sia degli interessi in caso di insolvenza dell’emittente), il secondo elemento introdotto pare più interessante.

Si tratta, infatti, delle comunità energetiche e dell’autoconsumo collettivo, interessati anche dallo smaltimento dei pannelli.

“I soggetti responsabili degli impianti fotovoltaici incentivati in Conto Energia – si legge nel documento del Gse – possono decidere se prestare la garanzia finanziaria, per le operazioni di raccolta, trasporto, trattamento adeguato, recupero e smaltimento, tramite il processo di trattenimento delle quote attuato dal Gse, o, in alternativa, mediante l’adesione a un Sistema Collettivo, identificato nell’elenco qualificato dal Ministero della Transizione Ecologica (già Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare), ai sensi dell’art. 10 del D.lgs. 49/2014. Per impianti di tipologia domestica, laddove si intenda aderire all’opzione prevista dal D.lgs. n.118/2020, la documentazione necessaria per comunicare l’adesione a un Sistema Collettivo dovrà essere inviata entro l’ultimo trimestre del quattordicesimo anno a partire dalla data di entrata in esercizio dell’impianto; qualora quest’ultima non venga inviata entro il periodo sopraindicato o non venga in ogni caso inviata, il GSE procederà a trattenere le quote”.

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Ma le Regioni vanno in ordine sparso

Se sul tema dello smaltimento la legislazione da seguire è nazionale, è sulle specificità regionali che il tema delle rinnovabili si complica. Dando per scontato e ormai alle porte un nuovo boom della cosiddetta energia pulita, il modo in cui questo si otterrà farà tutta la differenza del mondo. E in questo senso non aiuta certamente il quadro dipinto da un altro documento del Gse, intitolato “Regolazione regionale della generazione elettrica da fonti rinnovabili”. In queste 198 pagine, aggiornate al 31 dicembre 2020, il Gse ricorda che “in materia di energia, sulla base del Titolo V della Costituzione riformato nel 2001, Stato e Regioni concorrono nell’elaborazione della normativa di riferimento. Lo Stato ha il compito di disciplinare i principi fondamentali, le Regioni e le Province autonome legiferano nel rispetto degli indirizzi statali. Nell’ambito di questo quadro di riferimento costituzionale si è consolidato il processo di decentramento delle funzioni amministrative dallo Stato alle Regioni e agli enti locali in tema di autorizzazioniper gli impianti alimentati da fonti rinnovabili”.

A rilasciare le autorizzazioni, dunque, sono Regioni e, in piccola parte, i Comuni. Con tutto ciò che ne consegue in termini di accelerazioni e rallentamenti. Specie perché questi enti hanno anche la facoltà “di individuare aree non idonee alla installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili”.

Come è facile immaginare, in 20 anni gli enti locali hanno marciato in ordine sparso. Si pensi ad esempio alle competenze per il procedimento autorizzativo unico e le valutazioni ambientali: in questo ambito “nella scelta delle Regioni prevale l’opzione di individuare l’amministrazione regionale stessa come autorità competente dei procedimenti amministrativi, essendo solo quattro le Regioni (Piemonte, Lombardia, Marche e Puglia) che con varie opzioni hanno, in parte, delegato alle amministrazioni provinciali le funzioni di autorità competente”. Sono emerse pertanto “cinque casistiche di distribuzione delle competenze”.

Di altrettanto interesse è l’individuazione delle zone non idonee. Il report del Gse fa notare che “sono state individuate zone non idonee per il fotovoltaico e l’eolico in circa due terzi delle Regioni italiane, mentre sono 9 le Regioni che le hanno definite per gli impianti a biomassa e per gli impianti a biogas, 6 i casi di zone non idonee per l’idroelettrico e 3 per il geotermico. In 4 Regioni a Statuto ordinario non sono state definite le zone non idonee per nessun tipo di impianto (Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Lazio e Campania), e in 3 Regioni sono state individuate per tutti i tipi di impianto per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (Basilicata, Molise ed Umbria). Occorre segnalare che sono in itinere altri provvedimenti di individuazione di zone non idonee: si possono citare i casi della Sicilia, con riferimento alla fonte eolica e il Lazio per la geotermia”. Mentre per il fotovoltaico in 9 Regioni l’individuazione delle zone non idonee è stata effettuata solo per gli impianti a terra, al fine di salvaguardare contesti agricoli di pregio, in linea con le norme nazionali del 2012 restrittive in tali ambiti.

Fotovoltaico che passione

Il capitolo più ampio sulle rinnovabili è inevitabilmente dedicato, anche in questo caso, ai famosi pannelli. “Il fotovoltaico – scrive ancora il Gse – fa registrare il primato assoluto di interventi di regolazione regionale per la realizzazione di questa tipologia di impianto, fatto che è chiaramente correlato all’elevatissimo numero di impianti delle più diverse dimensioni che sono stati realizzati negli ultimi anni in tutt’Italia. Il fotovoltaico è la tecnologia per la quale le Regioni hanno fatto maggiormente ricorso (in tredici Regioni) all’ampliamento di soglie e tipologie degli impianti che possono utilizzare i regimi autorizzativi semplificati della PAS e della Comunicazione, di competenza dei Comuni. Anche per le valutazioni ambientali il fotovoltaico è la tecnologia per la quale si registra la maggior intensità di interventi di regolazione regionale, effettuati in ben 18 Regioni”.

Anche quando si vuole tutelare il territorio da possibili speculazioni, però, ci sono provvedimenti diversi. Vale la pena far notare che ci sono “5 Regioni (Toscana, Veneto, Piemonte, Marche e Abruzzo) che hanno adottato provvedimenti specifici dedicati esclusivamente alla individuazione delle aree non idonee per gli impianti fotovoltaici, mentre in altre 8 (Valle d’Aosta, Lombardia, Emilia Romagna, Umbria, Molise, Puglia, Sardegna e Basilicata) l’individuazione delle aree non idonee non riguarda solo il fotovoltaico, ma anche altre fonti”. Come a dire: non si è d’accordo neanche da che cosa bisogna tutelarsi.

tratto da: https://economiacircolare.com/smaltire-pannelli-fotovoltaici-linee-guida-gse/?fbclid=IwAR3R035D3Q4uXRHqDFiQ5tBK2qynYCQ3d2z1G6Txi5fWqx2Z4F105ny9UDY