Abitare la terra

Il copione sembrava destinato a ripetersi ancora: la commissione al patrimonio della Città Metropolitana di Firenze voleva inoltrare l’ennesima proposta di bando per mettere all’asta quasi la totalità della tenuta di Mondeggi. La fattoria strappata all’abbandono sarebbe stata di nuovo a rischio di alienazione, così come il lungo percorso, difficile quanto entusiasmante, di Mondeggi Bene Comune che qui racconta Giovanni Pandolfini. Invece ieri, martedì 22 giugno, la svendita è stata fermata e il voto su Mondeggi (per ora almeno) rimandato. Quella dal 25 al 27 giugno, per un settimo compleanno del fare in comune, uno straordinario e autonomo esercizio di libertà, potrà dunque essere una festa un po’ più spensierata e molto, molto più allegra. Anche perché di certo Mondeggi si sente parte, da tempo e a pieno titolo, di quel continente nuovo che, nel frattempo, ha preso il nome di Tierra insumisa. Quando la resistenza di chi vive e lavora senza padroni cresce, a Mondeggi lo sanno bene, insieme alle candeline sulla torta si accendono nuovi sogni.

bitare un luogo vuol dire vivere un intreccio di legami. Significa sentire che quel luogo ci appartiene nello stesso modo in cui noi gli apparteniamo. Non si tratta di semplici parole: custodire, mantenere, curare, tramandare, difendere strenuamente un luogo significa sentirlo parte integrante delle nostre vite. Abitare un luogo, una terra, comporta il sentirsi coinvolti con quello che ci circonda e con tutte le relazioni connesse: le nostre abitazioni, i campi che ci danno il cibo, noi stessi, le piante e gli animali ma anche le strade, i sentieri, i corsi d’acqua, le colline, le vallate e le montagne.

Abitare significa anche sentirsi forti, sentirsi esattamente l’opposto di quello che vorrebbe il sistema: fragili individualità isolate bisognose di ricevere tutto ciò che occorre per vivere, costrette ad attraversare solamente i propri luoghi di vita senza alcun coinvolgimento con essi. Abitare significa, in fin dei conti, essere convinti che niente e nessuno potrà mai cancellare tutto questo, perchè è questo che costituisce la nostra vita. La possibilità di poterlo praticare, poi, dipende moltissimo dalla nostra distribuzione sul territorio.

Nella nostra  penisola, come più o meno in tutta l’Europafino al 1800 quasi il 90% della popolazione viveva in centri abitati sotto i 5mila abitanti e non più del 3% in centri sopra i 15mila. Dalla seconda metà del 1800 alla prima metà del 1900, la popolazione urbana è salita dal 17% al 57, ed è arrivata al 70 nel 2000. Oggi siamo oltre il 75%. Non è da così tanto tempo, dunque, che siamo diventati un popolo urbano, la nostra distribuzione sul territorio si è radicalmente modificata da pochissimo.

Così, abbiamo abbandonato i territori rurali, in special modo quelli montani e marginali, e ci siamo ammassati nelle città. Siamo diventati un popolo che vive in città, urbanizzato e completamente separato dalla vita rurale e dal rapporto diretto con la produzione del nostro cibo. In poche generazioni s’è completamente persa la capacità manuale ed esperienziale di produrre, o anche solo conoscere chi produce, il cibo, quindi di poter soddisfare autonomamente  i nostri bisogni primari.


Abbiamo bisogno di essere nutriti, allevati, da un sistema che produce e distribuisce in maniera industriale il cibo per noi, un sistema infame che, a sua volta, ha però bisogno di noi. Non può fare a meno delle nostre braccia, delle nostre menti e dei nostri bisogni da soddisfare. Allo scopo, ci fornisce posti di lavoro (scarsi) dai quali ottenere (con molta fatica) il denaro sufficiente (per molti appena sufficiente) per comprare quello che ci necessita.

È soprattutto con queste premesse, il movimento Genuino Clandestino è diventato nell’ultimo decennio uno dei punti di riferimento di una neocontadinità che tende a ridefinire un nuovo rapporto città / campagna con l’obbiettivo di provare a migliorare subito le nostre condizioni di vita. Genuino Clandestino nasce nel 2010 da alcune reti contadine che – a Roma, Bologna, Firenze, Perugia, Napoli e in molte altre città – iniziano a confrontarsi e a condividere pratiche, lotte e obbiettivi.

Il primo obbiettivo comune diventa promuovere e sostenere una campagna di informazione che vuole denunciare come il sistema neoliberista ha espropriato al mondo rurale la libera trasformazione dei prodotti contadini. Si tratta di trasformazioni che sono state consegnate all’industria attraverso leggi e regolamenti che, promuovendo false efficienze e sicurezze alimentari, hanno equiparato il lavoro del contadino a quello dell’agroindustria ponendolo automaticamente fuori dalla legalità.

Riunendosi ogni sei mesi sempre in luoghi diversi, aggregando singoli e nuove reti contadine e continuando il lavoro di confronto delle pratiche, di elaborazione politica, rivendicazione e resistenza, in questi dieci anni il movimento ha aggiunto molti altri obbiettivi alla fase iniziale. Genuino Clandestino si è trasformato in una rete di reti dalle maglie mobili di comunità in divenire, una rete che, oltre alle rivendicazioni iniziali, propone alternative concrete al sistema capitalista vigente. Ha scelto di non avere un’identità definita, strutture verticali, portavoce e rappresentanze. Condivide l’antifascismo, l’antirazzismo e l’antisessismo.

In modo assembleare e attraverso molte ore di discussione e confronto sono stati scritti alcuni punti di programma politico e un Manifesto nel quale chiunque è libero di riconoscersi e di assumerlo come proprio obbiettivo politico e di vita, mettendolo in pratica. Con la realizzazione di pratiche svincolate dal sistema del capitale e del profitto, contadini e contadine hanno iniziato a condividere sistemi di mutuo aiuto e di autocontrollo partecipato, così come la presenza in piazze di città e paesi dove incontrare e coinvolgere co-produttori (“consumatori”, nel sistema dominante) nei mercati contadini autogestiti.

Quei mercati sono luoghi dove produttori di cibo agrecologico, locale e nella misura contadina si incontrano e insieme lavorano con gli abitanti dei centri urbani  per il superamento della contrapposizione in cui si sentono normalmente posti dal sistema della grande distribuzione organizzata del cibo, ovvero soggettività mosse da interessi contrastanti. Fin dall’inizio dell’esperienza di Genuino Clandestino. uno dei problemi che maggiormente è emerso è stato quello dell’impossibilità di poter accedere alla terra per chi non dispone di capitali sufficienti. Per la maggioranza delle persone che lo desiderano, è evidente l’mpossibilità di poter avviare una attività contadina. La sola possibilità concessa sembra essere cercare di vendere la propria forza lavoro a chi è disposto a comprarla in un mercato drogato da finanziamenti pubblici che facilitano la grande impresa e il caporalato in una gestione della manodopera che sfrutta le migrazioni da paesi del sud del mondo.

Nel 2012, il primo dei governi tecnici post Berlusconi, retto dal premier Mario Monti, ratificando uno degli ultimi decreti berlusconiani (il cosiddetto “Salva-Italia”), fra le altre cose prevedeva la svendita del patrimonio pubblico costituito da terre a vocazione agricolaL’ennesima privatizzazione, usando il pretesto del debito pubblico per favorire interessi privati, questa volta riguardava le ultime porzioni di territori ancora in mano agli enti pubblici  e, teoricamente, a sovranità popolare. La manovra risultò subito essere di natura puramente estrattivista; il solito pretesto del debito era evidentemente fasullo in quanto, anche vendendo a prezzi di mercato, la cifra ottenuta era appena una goccia nel mare del debito pubblico ma intanto  avrebbe certo spalancato le porte a speculazioni  private alienando le ultime possibilità di autonomia alimentare dei territori (cosa puntualmente accaduta in seguito).

Nella primavera di quell’anno, Genuino Clandestino lanciò nelle varie reti una campagna di informazione/opposizione al decreto e, in particolare, alla svendita delle terre pubbliche: “Terra Bene Comune“. Nella realtà di cui faccio parte, la rete locale si attivò e diede vita al comitato Terra Bene Comune Firenze. Seguirono molte assemblee cittadine per organizzare forme di lotta e l’informazione. Durante una di queste, fu portato all’attenzione del comitato il caso della fattoria di Mondeggi sita in un comune limitrofo all’area fiorentina .

La Fattoria di Mondeggi, quasi duecento ettari di terreni collinari con vigneti, oliveti, seminativi e bosco era dotata anche di numerose case coloniche e di una villa monumentale del 1600. Con la Provincia di Firenze come unico proprietario, il bene pubblico versava allora in uno stato di semiabbandono e la gestione era coperta da debiti milionari.

L’origine della tenuta, di impianto mezzadrile, si perde nei secoli passati ed arriva a diventare bene pubblico negli anni  ’60 del 1900 mediante  l’acquisto da parte della Provincia di Firenze  con i fondi per la sanità. L’intenzione era quella di utilizzare la villa per un manicomio al servizio dell’area fiorentina. Non fu mai realizzato finchè, con l’arrivo della  Legge Basaglia (1978 ), non fu più possibile concepire simili strutture. La tenuta è rimasta in carico all’ente territoriale ed è stata utilizzata dai vari politici di turno a fini propagandistici e clientelari mettendo in essere  uno dei tanti “mostri giuridici” che i nostri amministratori sono stati capaci di realizzare, ovvero un’impresa di diritto privato di proprietà esclusiva dell’ente pubblico. Nel corso di un’assemblea  successiva agli stimoli generati dall’incontro nazionale appena concluso, il 10 novembre 2013, il comitato si trasformava in “Verso Mondeggi Bene Comune – Fattoria senza Padroni” e prendeva forma  una prima idea di recupero agricolo della tenuta tramite le pratiche dell’agricoltura contadina, biologica, di piccola scala, che contribuisce naturalmente alla salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio ed alla creazione di ricchezza diffusa che resta nel territorio seguendo i canali della filiera corta.

Già dalle prime assemblee l’idea voleva diventare progetto, si aggregavano persone provenienti da mondi molto diversi fra loro ed iniziavano a intrecciare sensibilità e visioni confrontandosi in lunghi cerchi dove si concretizzavano, intorno al progetto stesso, reciproche conoscenze, aspirazioni, lotte e voglia di costruire qualcosa di totalmente nuovo. Nelle assemblee si trovavano fianco a fianco contadini attivisti di GC, cittadini che facevano parte del variegato mondo del consumo critico come aderenti ai GAS (gruppi di acquisto solidale) e frequentatori abituali dei mercati contadini autogestiti, ecologisti, giovani universitari allora attivi nel collettivo della facoltà di agraria e militanti di centri sociali.

Durante l’incontro nazionale di Genuino Clandestino (GC) del 1-3 novembre 2013 tenutosi a Firenze, specificatamente dedicato all’accesso alla terra, il comitato Terra Bene Comune Firenze avviò la campagna “Mondeggi Bene Comune Fattoria Senza Padroni”. In quell‘occasione il comitato  propose all’intero movimento  il recupero di tutta la fattoria attraverso l’uso dell’agricoltura contadina, ritenuta l’unico modello perseguibile per dare opportunità di accesso alla terra  al maggior numero possibile di persone creando un prezioso precedente replicabile nei vari territori .

Cosa avevano in comune tutte queste persone con vite così diverse, storie personali così diverse, lotte e obbiettivi diversi e aspettative apparentemente distanti fra loro?

La campagna Terra bene comune lanciata da GC in opposizione alla svendita delle terre pubbliche a vocazione agricola offriva molti spunti di riflessione e di azione politica. La campagna con l’obbiettivo Mondeggi, da oppositiva diventava propositiva, e lo stimolo si traduceva in voglia di prendere in mano le redini della propria autodeterminazione territoriale mettendo in gioco le proprie esistenze a partire dalla soddisfazione dei bisogni primari: prodursi il cibo, abitare un luogo, realizzare una vita socialmente appagante attraverso la creazione di una comunità.

La consapevolezza comune a tutti e tutte che i governanti e le istituzioni apparivano lontanissime e incapaci anche solo di immaginare l’idea di soddisfare i nostri più urgenti bisogni era piena. Oltre alle numerose periodiche assemblee, si alternavano frequentazioni assidue nei campi, nei sentieri e nei fabbricati della tenuta in abbandono e in via di privatizzazione. Si iniziava a condividere  un sogno che diventava aspirazione e si concretizzava il desiderio di qualcosa di altro rispetto all‘unica  strada consentita da percorrere (specialmente per i più giovani).

Un anno di presenza fisica sul territorio, assemblee e legami sempre più forti mettevano in moto meccanismi inaspettati. Il primo atto dimostrativo della potenza che poteva sprigionarsi a Mondeggi è consistito in una serie di giornate (la prima il 17 novembre 2013) di raccolta popolare delle olive nella fattoria, olive che comunque nessuno avrebbe raccolto. Dalle olive raccolte è stato estratto l’olio che poi è stato ridistribuito gratuitamente alla popolazione. L’iniziativa vide la partecipazione attiva di  centinaia di persone.

La Provincia di Firenze chiamò immediatamente il Comitato per un chiarimento e un confronto, avvenuto poi il 22 novembre 2013. La richiesta del Comitato è sempre stata chiara: l’avvio di un percorso sperimentale condiviso con le realtà del territorio per il recupero di tutta l’area della fattoria di Mondeggi.

La Provincia di Firenze si dimostrò inizialmente possibilista circa questa ipotesi ma poi, nel corso degli incontri  successivi, emerse una sempre più decisa volontà di alienare il bene a dispetto dell’esistenza del comitato. È di questo periodo la stesura e l’approvazione della Carta dei Principi e degli Intentiun primo manifesto dove si tracciano le fondamenta di questa sperimentazione sociale. La bussola con la quale orientarsi e mantenere dritta la barra verso pochi, chiari e fondamentali principi, della vita comunitaria.

Fu attraverso l’organizzazione di molti incontri sul territorio e di eventi ricreativi nell’area della fattoria, che si iniziò a riportare le persone a vivere Mondeggi e a ricostruire un sentimento affettivo fra la fattoria e gli abitanti dei dintorni. All’inizio della primavera del 2014, il Comitato avviò un orto collettivo nella zona di Cuculia, ex centro direttivo dell’azienda. Ciò produsse una presenza almeno settimanale del Comitato nell’area della fattoria, che portò con sé un progressivo approfondimento della conoscenza delle condizioni della fattoria. Questo permise al Comitato di non trovarsi impreparato quando la Provincia confermò in via definitiva la scelta dell’alienazione.

Quella del comitato fu invece di opporsi fisicamente alla vendita.

In conseguenza di ciò, fu deciso di rispondere  alle intenzioni della Provincia costituendo un presidio contadino permanente che desse vita ad una custodia popolare della fattoria. Il presidio fu insediato al termine di una festa organizzata per la fine di giugno 2014. Il 27-28-29 giugno il Comitato organizzò una 3 giorni di rinascita di Mondeggi che vide la partecipazione di almeno un migliaio di persone ed ebbe vasta eco a livello nazionale. Il presidio aveva cominciato immediatamente a dare concretezza alla Carta dei principi e degli intenti, arrestando il degrado di casa Cuculia, ampliando le attività agricole e continuando nell’organizzazione di occasioni di socialità.

Per rendere economicamente sostenibile il progetto e condividere la cura e il ripristino del bene con le persone del territorio, si attivarono fin dall’inizio progetti agricoli, culturali e sociali:
orticoltura, con due orti biologici e la progettazione di una serra; erboristeria e autogestione della salute con l’orto sinergico; panificazione con la semina di grani antichi, la recinzione dei campi contro i selvatici e la progettazione di un forno;  allevamento ovi-caprino: ripulitura della parte del vecchio pollaio e ripristino di seminativi abbandonati per il pascolo;  olivicoltura: ripulitura e potatura di parti dell’oliveto fatta dai presidianti e abitanti della zona;  apicoltura: istallazione di varie arnie e produzione di miele e altri sotto-prodotti;  arboricoltura, progettazione di un frutteto con adozione di un albero da frutta da parte delle persone del territorio.

E poi ancora: manutenzione, messa in sicurezza dei tetti e ripristino del fienile, raccolta di acque piovane da tutti i tetti di Cuculia; attivazione della scuola contadina libera, gratuita e aperta a tutta la cittadinanza; passeggiate di riconoscimento e conoscenza delle erbe selvatiche; cineforumrappresentazioni teatralipresentazioni di libri.

Nel novembre 2014 partirono le assemblee nelle Case del popolo del circondario per promuovere  il progetto MO.T.A. (Mondeggi Terreni Autogestiti). Con questa iniziativa veniva richiesto alla popolazione di custodire collettivamente dei piccoli appezzamenti di terreno di Mondeggi, tramite la cura di olivi e/o la formazione di piccoli orti familiari. A queste assemblee furono invitati a partecipare i cittadini dei comuni circostanti: la partecipazione fu fin dall’inizio numerosa e coinvolse attorno al progetto più di 300 persone. Grazie a questa iniziativa si è creata una comunità, inserita nel più grande progetto di Mondeggi Bene Comune che – tramite la gestione assembleare delle decisioni – è riuscita è gestire collettivamente, curare una porzione della tenuta che prima versava nel più completo abbandono. Dal dicembre 2014 ad oggi il Progetto Mondeggi Bene Comune ha portato avanti parallelamente  la gestione agroecologica dei vari appezzamenti,  la promozione degli aspetti politici delle vertenze contadine in resistenza e le tematiche legate alla socialità e alla gestione collettiva del bene comune.

La condizione contadina si realizza con la ricerca dei modi più corretti di appropriarsi delle risorse necessarie alla nostra vita e alla nostra riproduzione, per noi stessi  e per le generazioni future. Fare il contadino non significa decidere una professione, un mestiere ma praticare un modo di vivere. In netto contrasto con il sistema che ci vuole cittadini, operai salariati, professionisti di qualcosa di specializzato, imprenditori, tutti quanti dediti al reddito e non alla vita.

L’esperienza di Mondeggi si basa sulla condizione contadina ed è una comunità in costruzione che, al momento, ha forma di occupazione, di presidio permanente, di custodia popolare. Custodire, prendersi cura, è molto diverso dall’amministrare.   

La vita di un contadino (qualche decina di anni) è poca cosa rispetto alla vita della terra (milioni di anni). La comunità che si autogoverna affida la custodia al contadino per la minuscola frazione di tempo della sua vita ed è lui stesso che si impegna a riceverla, a mantenerla vitale e in salute e a riconsegnarla uguale, o addirittura migliorata, alle generazioni future. Questo semplicissimo meccanismo, per poter funzionare e far sì che la terra sia veramente un bene comune, ha bisogno che la comunità esista e che sia più forte e longeva dell’individuo ma anche che la sua custodia sia effettuata con metodi contadini agroecologici e svincolata dalle logiche del capitale, del profitto e di un sistema centralizzante.  

Come a questo punto sarà piuttosto facile intuire, i rapporti con le istituzioni non sono facili. La loro posizione è molto rigida. Secondo loro, non è accetabile che, sentendosi proprietari di un bene immobile, i cittadini autoorganizzati lo custodiscano in loro vece, sostituendosi alla loro incapacità o finta imparzialità. Gli amministratori di turno (eletti) si sentono obbligati a salvaguardare la parte del corpo che depongono giornalmente sulle loro amate poltrone da incidenti amministrativi (come danno erariale o peggio) e, al tempo stesso, tendono a mantenere saldo l’esercizio del potere ricevuto dal mandato elettorale.

Mondeggi non è semplicemente una occupazione di terre in quanto non esiste un determinato e circoscritto nucleo di cittadini che si è impossessato di un bene privato (benché paradossalmente pubblico) per trarne profitto personale o soddisfare i propri bisogni primari. Esiste una parte della comunità locale diffusa (l’unica al momento) che si è autonomamente sostituita alle incapacità della pubblica amministrazione che vede unicamente la privatizzazione come strada da percorrere. 

La Fattoria Senza Padroni di Mondeggi è un importante esperimento sociale di autogoverno di una comunità che non trae profitto destinato ad arricchire i partecipanti ma in maniera trasparente ed assembleare ridistribuisce nel territorio e per il territorio la ricchezza prodotta. Esattamente l’inverso della privatizzazione. La Fattoria Senza Padroni, pur essendo nell’illegalità, continua a produrre cibo sano per la comunità, a custodire la terra con l’agricoltura contadina agroecologica  e a coltivare il bene comune gridando le parole di Emiliano Zapata “Restituiamo la terra ai suoi legittimi non proprietari”.

Giovanni Pandolfini (autore dell'articolo) fa parte del Comitato Mondeggi Bene Comune.

https://comune-info.net/abitare-la-terra/?utm_source=mailpoet&utm_medium=email&utm_campaign=Il+battesimo