VERONA venerdì 7 dicembre - mobilitazione: COP24 – Allarme: Emergenza Cambiamenti Climatici. Corteo apartitico e nonviolento.
Partenza del corteo alle 19,00 da Lungadige Porta Vittoria all’altezza del Museo Civico di Storia Naturale, Ponte Navi, Via Leoni, Via Cappello, Piazza Erbe, Corso Portoni Borsari, Via Oberdan, Piazza Brà con arrivo alle 20,00 circa davanti a Palazzo Barbieri. (NB: piano B=partenza da Porta Leoni)
Ti invitiamo: … ad aderire con la tua associazione, gruppo, ecc. comunicandocelo urgentemente così da poterti inserire nel volantino/comunicato; … a diffondere il più possibile questo invito ai tuoi amici e al tuo indirizzario; … a partecipare attivamente alla marcia con cartelloni, musica, ecc. per farci sentire bene:
Siamo già in tanti ma senza te non si fa niente: WWF VR, Legambiente VR, ARI (Ass.ne Rurale Italiana- Via Campesina), AVEPROBI (Associazione Veneta Produttori Biologici e Biodinamici), Terra Viva, MDF (Movimento Decrescita Felice) VR, Circolo Alexander Langer VR, Circolo Paratodos, Premio Lombrico d’Oro, …, …, …,
Prima e dopo la marcia ecco alcuni appuntamenti da non perdere:
… alle 18,00 al Museo ci sarà la conferenza di Valeria Nencioni vita sui ghiacciai e trasformazioni;
… alle 20,30 al cinema di Pedemonte Terra Viva propone un interessante documentario sugli “stili di vita sostenibili”;
… il giorno dopo (8 dicembre) a Padova al mattino ci sarà un’assemblea di diverse associazioni venete e al pomeriggio “Climate Alarm”, marcia regionale in contemporanea con tutto il mondo.
Non c’è più tempo da perdere. Lo hanno scritto (migliaia di esperti, dopo anni di lavoro) sul nuovo rapporto dell’IPCC (il più importante organismo scientifico intergovernativo sui cambiamenti climatici), pubblicato a inizio Ottobre. Lo hanno scritto anche sull’ultimo bollettino del WMO (Organizzazione Metereologica Mondiale, agenzia ONU) pubblicato pochi giorni fa (ANSA 22 novembre 2018), secondo il Segretario Generale Petteri Taalas quando la terra ha avuto i 2/3 gradi in più che ci aspettano il livello del mare era dai 10 ai 20 metri più alto (altrocheMose).
Non c’è più tempo per rinviare le decisioni. Se non si inverte immediatamente e drasticamente la tendenza attuale poi sarà troppo tardi per tutti. Stiamo arrivando velocemente a un grado e mezzo (che è già catastrofico) e due gradi sono irreversibili.
Verona dà un grosso contributo negativo grazie al suo inquinamento: dell’aria (vedi sanzioni dall’Europa, cemento invece di alberi, uso di energia non sostenibile per trasporti e riscaldamento), dell’acqua (prodotti chimici industriali, pesticidi, antibiotici, ecc.), del terreno (prima nelle vendite di pesticidi, allevamenti intensivi, consumo di suolo, desertificazione, ecc.).
Parlarne non basta. E’ ora di scendere nuovamente in piazza per fare pressione sugli amministratori perché sia a livello mondiale che a livello locale si passi subito dalle parole ai fatti.
VIP, PROGETTO BIOGRAPHY: IL CONTADINO NEL PUNTO VENDITA, QUANDO IL BIO DIVENTA STORIA PERSONALE
tratto da:
Per orientare il consumatore nella scelta, scende in campo BioGraphy il progetto di VI.P – Mela Val Venosta, creato per fornire un’informazione corretta e trasparente della produzione melicola biologica venostana: un collegamento diretto dall’etichetta, che riporta il nome del produttore bio Val Venosta, al portale biography.vip.coop, per trasmettere al consumatore i valori di rintracciabilità, certezza della provenienza e sicurezza attraverso una ricca selezione di immagini emozionali, video e testimonianze sulla coltivazione e i lavori effettuati nei meleti biologici.
Insomma, un modo per raccontare la filiera della mela, dalla coltivazione alla vendita, step by step. In modo chiaro e trasparente. Una garanzia di qualità a 360 gradi.
Ma non è tutto. BioGraphy va oltre, proprio per mettersi al fianco del consumatore nel momento clou dell’acquisto: porta il contadino e la sua famiglia sul punto vendita. Infatti, cosa c’è di meglio per chi compra del contatto diretto con chi coltiva, giorno dopo giorno il prodotto? Ecco quindi che nei week-end delle scorse settimane, alcuni punti vendita selezionati specializzati Bio hanno avuto l’opportunità di avere all’interno dell’area ortofrutta degli assistenti alle vendite del tutto inaspettati.
“Chi meglio del contadino può trasmettere i segreti della produzione biologica? – afferma Benjamin Laimer, referente Marketing Mela Val Venosta. Il consumatore, infatti, ascolta con interesse i racconti dell’agricoltore che, con passione, descrive le tecniche di produzione, la cura del meleto, il rispetto della natura, e conosce perfettamente ogni singola varietà di mela, in modo da consigliare il tipo di mela più adatto ai gusti e alle necessità del consumatore”.
“È un supporto alle vendite speciale, in grado di trasmettere con semplicità e chiarezza tutto il know-how e le curiosità di un lavoro portato avanti con passione e cura ogni giorno. Proprio dalla terra alla tavola. Quando il contadino entra nel punto vendita – conclude Laimer – il Progetto BioGraphy si arricchisce di uno storytelling con una forza eccezionale.”
Questa attività è parte integrante del Progetto che è in continua evoluzione e vuole avvicinare il mondo della produzione biologica venostana al consumatore in maniera trasparente e diretta, rafforzando il rapporto di fiducia a garanzia di un prodotto d’eccellenza e di qualità superiore.
Latte e derivati fanno bene al cuore e riducono il rischio di ictus e infarto. Le conclusioni di uno studio del Lancet su 136 mila persone
tratto da:
Il latte e i suoi derivati non aumentano il rischio di malattie cardiache e cerebrovascolari, ma al contrario lo abbassano, per questo motivo il consumo andrebbe incoraggiato, soprattutto nei paesi a basso e medio reddito, dove i livelli di assunzione non sono generalmente soddisfacenti.
Sono queste le conclusioni del grande studio internazionale denominato Pure (Prospective urban rural epidemiology) pubblicate da una delle principali riviste mediche mondiali come Lancet. I risultasti che provengono da osservazioni di tipo epidemiologico e non da uno studio progettato ad hoc, ribaltano una credenza molto diffusa che ha portato, nel corso degli ultimi decenni, a sconsigliare l’assunzione di latte, burro, formaggi, yogurt e simili alle persone con qualche fattore di rischio. I numeri ora dicono che si tratta di un consiglio immotivato e anzi, opposto a quello che sarebbe giusto dare.
Per giungere alle conclusioni gli autori dello studio (ricercatori di università canadesi, indiane, sudafricane e colombiane) hanno analizzato i dati contenuti nei questionari sul consumo di alimenti riconosciuti come attendibili dalle autorità statali di 21 paesi di cinque continenti. La rilevazione ha interessato complessivamente oltre 136.000 persone di età compresa tra i 35 e i 70 anni, seguite per più di nove anni. Gli studiosi hanno verificato i dati relativi ai decessi dovuti a ictus, infarto e altre patologie cardiache insieme ad altri parametri specifici, mettendoli in relazione con i consumi di latticini in generale, e poi con le varie categorie di latte, yogurt e formaggio suddivise in alimenti ad alto e a basso tenore di grassi.
Nel periodo esaminato ci sono stati oltre 10.500 tra decessi ed eventi gravi (per infarti e ictus non mortali). Le persone che avevano assunto maggiori quantità di latticini (più di due porzioni al giorno) hanno però registrato una diminuzione del rischio di mortalità generale del 14% rispetto a coloro che non hanno consumato latticini. Anche per quanto riguarda i casi di morte cardiovascolare la riduzione rilevata è stata del 23%, mentre quella del rischio di un grave evento cardiaco è risultata inferiore 22% e quella di ictus del 34%, rispetto a chi non ha assunto latte e derivati.
Per quanto riguarda le classi di alimenti, latte e yogurt sono risultati direttamente associati all’effetto protettivo, mentre il formaggio mostra un piccolo vantaggio, non statisticamente significativo. La stessa cosa si rileva per il burro: è emerso un aumento di rischio di lieve entità, ma il valore non è significativo e in generale, a detta degli autori, il consumo è stato basso e tale da non influenzare i parametri considerati.
La conclusione dello studio, che ha comunque alcuni limiti metodologici (derivanti soprattutto da differenze nelle rilevazioni nei Paesi e dal fatto che non si è trattato di uno lavoro progettato per verificare le associazioni in esame), è comunque chiaro. Il consumo quotidiano di latte e latticini viene associato a una diminuzione di eventi gravi e di decessi per patologie cardiache e cerebrovascolari, e andrebbe quindi con ogni probabilità promosso e sostenuto dalle autorità sanitarie. Inoltre andrebbero condotti studi di elevata qualità statistica in grado di approfondire ed eventualmente confermare quanto emerso con le analisi epidemiologiche.
Funghi freschi, secchi, bio, italiani o cinesi: da dove arrivano quelli che troviamo al supermercato?
Gli appassionati di funghi, che vanno a raccoglierli nei boschi, devono scegliere il momento giusto, quando la combinazione di umidità e temperatura ne permette uno sviluppo ottimale, spesso a fine estate o in autunno. Chi invece preferisce andare al supermercato, o nei negozi di ortofrutta, trova in ogni momento dell’anno diversi tipi di funghi – freschi, surgelati e secchi – ma l’abitudine e la tradizione portano a consumare questi prodotti soprattutto in autunno-inverno.
I funghi freschi che vanno per la maggiore sono i prataioli (Agaricus bisporus), spesso indicati come champignon. Oltre a questi troviamo pioppini (Agrocybe aegerita), orecchioni e cardoncelli (due specie del genere Pleurotus), a volte proposti anche in vaschette miste. Tutti questi sono coltivati, mentre i più pregiati e profumati porcini, appartenenti al gruppo di Boletus, non sono coltivati ma crescono solamente nei boschi. Li troviamo freschi solo in alcuni momenti dell’anno, più spesso da rivenditori specializzati – e in questo caso dovrebbero sempre indicare l’origine – mentre sono sempre disponibili surgelati, sott’olio, oppure essiccati.
Ma torniamo ai comuni prataioli. “Quelli che troviamo in commercio – dice Andrea Prando, segretario dell’Associazione italiana fungicoltori (Aif) – provengono per il 98% da produttori italiani certificati. In passato, molti si sono buttati nel settore, ma una fungaia moderna richiede un investimento notevole e non tutti sono andati avanti. Attualmente i produttori in Italia sono circa 200. I funghi crescono al buio – all’interno di celle dove la temperatura e l’umidità sono regolate – su un substrato di sostanza organica. È una produzione molto controllata. Quando sono cresciuti, vengono raccolti e messi direttamente nelle cassette di legno (per il mercato) oppure nelle vaschette, per la grande distribuzione”.
“I funghi freschi– continua Prando – sono deperibili e devono essere venduti e consumati entro pochi giorni dalla raccolta. Un metodo per controllarne la freschezza è l’analisi del colore. Gli champignon freschi hanno un colore chiaro e uniforme, quando sono ingialliti oppure presentano macchie sono in giro da alcuni giorni e dovrebbero essere tolti dagli scaffali”.
Se leggiamo le etichette sulle vaschette esposte al supermercato, troviamo spesso produttori come Modena funghi (di Modena), Fungamico (Verona) e Consorzio funghi di Treviso, che aderiscono all’Aif e riportano sulla confezione il marchio “funghi italiani”. I prataioli interi costano circa 4 €/kg, mentre sono più cari i cardoncelli e i chiodini.
In Italia la produzione di funghi coltivati è di circa 62mila tonnellate all’anno, buona parte dei quali (57.000) sono prataioli. Il 90% della produzione italiana – coltivata per la metà in Veneto – è destinata al consumo fresco, mentre la parte restante va all’industria e viene commercializzata poi come funghi surgelati oppure trifolati in lattina. L’industria però utilizza anche materia prima proveniente dall’estero.
Olanda e Polonia sono i principali produttori europei. Nel 2017 il nostro Paese ha importato più di 8.000 tonnellate di funghi freschi dalla Polonia, oltre 1.500 dalla Romania e 427 dai Paesi Bassi. Questi numeri non riguardano però i porcini freschi importati prevalentemente dalla Lituania (62 tonnellate), dalla Cina (21 tonnellate), dalla Romania (16,6) e dalla Slovenia (15,4).
I porcini importati freschi sono utilizzati sia per la vendita diretta sia a livello industriale, mentre le altre specie sono destinate principalmente alla preparazione di conserve e surgelati. Tra i surgelati troviamo buste di champignon, di solito affettati, sacchetti misti, con o senza porcini, e anche confezioni solo di porcini. Il prezzo è intorno a 4 €/kg per gli champignon, 8-10 per i sacchetti misti e dai 20 ai 30 per i porcini surgelati. Questi ultimi sono venduti soprattutto essiccati, come vuole la tradizione italiana. Tutte le catene della grande distribuzione propongono diversi marchi, oltre al proprio, con differenti “livelli di qualità” e formato (da 10 a 80 grammi).
Fra i marchi più noti ricordiamo Giacomini (di Milano), Valfunghi (Cremona), Asiago food e Oro della montagna, prodotto da Dial funghi (Trento). Quest’ultima azienda, leader di settore, produce anche i porcini secchi a marchio per catene di supermercati come Coop, Auchan, Carrefour ed Eurospin. I prezzi dei porcini secchi vanno da 100 a 250 €/kg. Le differenze sono da imputare soprattutto alle dimensioni delle falde: quelli più piccoli, un po’ spezzettati, costano meno. Il prezzo lievita a 262 €/kg per i porcini secchi biologici a marchio Cerreto Bio prodotti da Dial funghi (vedi foto).
Qualcuno si chiede quale sia la differenza fra un porcino “biologico” e uno convenzionale, visto che si tratta di funghi che possono essere raccolti solo nei boschi e non subiscono trattamenti con antiparassitari. “I porcini bio – fanno sapere da Dial funghi – seguono uno specifico disciplinare per cui devono essere raccolti in un territorio specifico. Questi funghi provengono da paesi europei, di solito Est- Europa. Quelli convenzionali provengono sia dalla stessa area geografica, sia dall’Asia. Come per altre tipologie di alimenti – precisa l’azienda – la legislazione italiana prevede controlli ispettivi in fase di importazione e anche presso le imprese e nei punti vendita. I funghi arrivano già essiccati e affettati e sono sottoposti a stringenti controlli per verificarne l’idoneità. Come altri alimenti di origine naturale possono essere soggetti ad attacchi da parte di insetti, inoltre si possono trovare impurità come sassolini, terra, aghi di pino o inquinanti ambientali. Una volta che la materia viene giudicata idonea, i funghi subiscono una cernita manuale per eliminare corpi estranei e per il riconoscimento dell’idoneità delle specie. L’ultima selezione riguarda la differenziazione per categoria merceologica ( per i funghi porcini secchi sono quattro: extra, speciali, commerciali e briciole secondo quanto definito dal D.P.R. 376/1995 e DM 8 ottobre 1998)”.
La presenza sul mercato di una parte consistente di funghi secchi importati è confermata anche dall’ Istat. Nel 2017 abbiamo importato 795 tonnellate di funghi secchi e tartufi dalla Cina, che è il principale fornitore, seguita da Bulgaria (con 171 tonnellate), Romania (117) e Slovenia (55).
Dato che non è obbligatorio indicare l’origine trattandosi di ortofrutta trasformata, sulle buste di funghi secchi compare il nome e l’indirizzo dei produttori che hanno confezionato i sacchetti, e solo le confezioni con il marchio di alcune catene di supermercati indicano in modo chiaro l’origine. In questo caso troviamo la scritta “origine CEE”, oppure “Extra CEE”. I porcini secchi bio, però, riportano sempre l’indicazione di origine europea.
Possiamo dire con una certa sicurezza che i porcini essiccati molto difficilmente provengono dai boschi italiani. Alcune piccole aziende, come Borgolab insacchettano prodotto italiano ma non sempre, perché quando la materia prima locale scarseggia deve utilizzare anche funghi europei. Se vogliamo dei porcini secchi a filiera corta, bisogna cercare piccoli produttori, oppure scegliere quelli biologici, di provenienza europea.
Il settore non si distingue certo per trasparenza. Sarebbe utile conoscere sempre l’origine, sia del prodotto fresco (come già accade per gli champignon) che di quello essiccato, mentre questa indicazione manca quasi sempre nei porcini freschi e anche in quelli conservati, anche perché i funghi provenienti dalla Cina sono meno costosi di quelli coltivati o raccolti in Europa, a guadagnarci però, in questi casi, non sono certo i consumatori.
tratto da:
https://ilfattoalimentare.it/funghi-freschi-secchi-origine.html
Le BioSettimane nel veronese
Le BioSettimane, Il buon cibo come identità e cultura NON MANGIAMOCI IL PIANETA, MANGIAMO BIO
Dal 5 al 16 Dicembre 2018 INCONTRI, EVENTI, DEGUSTAZIONI, PROMOZIONI sui PRODOTTI DEL TERRITORIO nei Punti Vendita e Ristorazione Bio
Una RETE di Produttori, Cooperative e Realtà locali, Pionieri del Biologico nel territorio veronese. Un progetto che ha come obiettivo la conoscenza e la promozione dei prodotti BIO a km0 e delle loro qualità nella tutela dell’ambiente e dei diritti sociali. Nutrirsi BIO è ... VIVERE un nuovo stile di vita.
Dal 5 al 16 Dicembre 2018 INCONTRI, EVENTI, DEGUSTAZIONI, PROMOZIONI sui PRODOTTI DEL TERRITORIO nei Punti Vendita e Ristorazione Bio
Una RETE di Produttori, Cooperative e Realtà locali, Pionieri del Biologico nel territorio veronese. Un progetto che ha come obiettivo la conoscenza e la promozione dei prodotti BIO a km0 e delle loro qualità nella tutela dell’ambiente e dei diritti sociali. Nutrirsi BIO è ... VIVERE un nuovo stile di vita.
In allegato trovate tutta la programmazione stampabile.
Primo evento: MERCOLEDÌ 5 Dicembre ore 18.00 LIBRERIA LA FELTRINELLI - Verona - Via IV Spade 2 - info 340.4020868
PRESENTAZIONE – INTERVISTA "LA RIVOLUZIONE DELLE API" libro di Monica Pelliccia e Adelina Zarlenga. Il giornalista Giorgio Vincenzi intervista le autrici.
"La rivoluzione delle api" è un libro inchiesta che racconta le storie di una rivoluzione ecologica e sostenibile per la sovranità alimentare globale, nella tutela delle api come sentinelle della biodiversità.
Al termine dell'incontro DEGUSTAZIONE di miele e prodotti Bio, organizzato da LA BUONA TERRA
PRESENTAZIONE – INTERVISTA "LA RIVOLUZIONE DELLE API" libro di Monica Pelliccia e Adelina Zarlenga. Il giornalista Giorgio Vincenzi intervista le autrici.
"La rivoluzione delle api" è un libro inchiesta che racconta le storie di una rivoluzione ecologica e sostenibile per la sovranità alimentare globale, nella tutela delle api come sentinelle della biodiversità.
Al termine dell'incontro DEGUSTAZIONE di miele e prodotti Bio, organizzato da LA BUONA TERRA
L’Associazione Veneta dei Produttori Biologici e Biodinamici, in collaborazione con l’Istituto Agrario "Stefani-Bentegodi" di Buttapietra ed alcune aziende storiche del territorio come la Cooperativa Agricola Cà Magre, il Laboratorio Artigianale Ceres Pane Bio, l’Azienda agricola Fontana Bio, la Cooperativa la Buona Terra, l’Azienda agricola Novaia, l’Azienda agrituristica Rosegoti e Vin & Organic Products, desiderano far conoscere a tutti i cittadini i prodotti biologici che rispecchiano i criteri di produzione che abbiamo esposto già nella prima settimana del biologico a Verona svoltasi a Settembre da 21 al 29 con una serie di eventi.
In campo anche nella lotta ai cambiamenti climatici, si parteciperà alla marcia organizzata a Verona per venerdì 7 dicembre.
PER INFO: Telefono +39 348.800.0170
www.glispecialistidelbiologico.it
glispecialistidelbiologico@gmail.com
facebook: gli specialisti del biologico
www.glispecialistidelbiologico.it
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Mercoledì 28 a Pedemonte, ore 20,45
Franco Borgogno nell’agosto del 2016 si è imbarcato su una nave da ghiaccio insieme agli scienziati e ai tecnici del 5 Gyres Institute ed ha attraversato il mitico passaggio a Nord Ovest. Quindici giorni di viaggio nel nulla o quasi, partendo dalla Groenlandia per arrivare al Canada Occidentale. Non era un viaggio di piacere in congelatore. Era una missione scientifica con l’obiettivo di studiare la situazione relativa alla presenza di plastica (macroplastiche ma soprattutto micro e nanoplastiche) nel mare Artico, lassù, dove un cittadino di Rieti mai penserebbe di trovare plastica… e invece.
Franco ha raccontato quel viaggio nel suo Un mare di plastica, Nutrimenti Edizioni. E lo ha fatto con il suo stile e la sua passione. Che tradotto vuol dire che è riuscito a raccontare una ricerca scientifica (con tutta la precisione dei numeri) come se fosse (ma in fondo lo è stata) una grande avventura, un diario di viaggio. Il libro racconta giorno per giorno l’impatto con un mondo altro, un mondo totalmente diverso da quello a cui siamo abituati e a cui anche Borgogno è abitutato. Un deserto bianco con pochissimi insediamenti umani nella prima parte e poi il nulla assoluto nella seconda parte del viaggio. Colori, profumi, sensazioni, orsi bianchi e balene, Inuit e cacciatori di foche, tutto è raccontato con passione e al lettore non non rimane che farsi trascinare, accompagnare mano nella mano in una grande avventura che sembra quasi un racconto di Verne. Solo che…
Solo che, in questa grande avventura (che non è un racconto di Verne e quindi è drammaticamente vera) quello che alla fine conta sono i numeri, la situazione delle plastiche, le condizioni del mare. E sono numeri drammatici.
5250 miliardi di pezzi di plastica di varie dimensioni galleggiano nei mari di tutto il mondo. Nel 2050 si stima che il peso delle plastiche in mare sarà superiore a quello dei pesci. Usiamo plastica da 70 anni e il primo pezzo di plastica prodotto è probabilmente ancora lì che galleggia da qualche parte, ridotto certamente a nanoplastica. O forse è stato mangiato da un pesce e poi pescato da un pescatore e quindi mangiato da un uomo o da un bambino, per poi ricominciare il suo ciclo praticamente infinito, portandosi dietro continuamente sostanze tossiche da dissipare nel mare, nell’atmosfera, nei corpi con cui entra in contatto.
La parte più drammatica della faccenda è che usiamo plastica da 70 anni ed è ancora tutta lì, dispersa, abbandonata, magari riciclata e nuovamente utilizzata (la migliore delle ipotesi). Cosa succederà tra un secolo?
Occhio però, perchè il libro non vuole essere terrorismo, non vuole spaventare. Vuole però fare il punto, raccoglie un sacco di numeri e dati (altri ce ne saranno quando la ricerca sarà pubblicata), racconta la situazione e lo fa con passione assoluta.
Leggetelo come un romanzo, perchè è un viaggio appassionante, perchè ci porta a scoprire luoghi su cui in pochi hanno messo il piede. Leggetelo come un romanzo perchè ci regala colori, profumi, abitudini di vita, scorci di bellezza assoluta e assenze inquietanti (quello che spaventa è quello che non si vede, scrive Borgogno, non si vedono le nanoplastiche – che invece ci sono – e non si vede il ghiaccio – che invece non c’è davvero ma dovrebbe esserci). Leggetelo come un romanzo perchè ci fa conoscere comunità lontanissime dal nostro modo di vita. Leggetelo come un romanzo… ma ricordatevi sempre che è tutto vero.
Franco ha raccontato quel viaggio nel suo Un mare di plastica, Nutrimenti Edizioni. E lo ha fatto con il suo stile e la sua passione. Che tradotto vuol dire che è riuscito a raccontare una ricerca scientifica (con tutta la precisione dei numeri) come se fosse (ma in fondo lo è stata) una grande avventura, un diario di viaggio. Il libro racconta giorno per giorno l’impatto con un mondo altro, un mondo totalmente diverso da quello a cui siamo abituati e a cui anche Borgogno è abitutato. Un deserto bianco con pochissimi insediamenti umani nella prima parte e poi il nulla assoluto nella seconda parte del viaggio. Colori, profumi, sensazioni, orsi bianchi e balene, Inuit e cacciatori di foche, tutto è raccontato con passione e al lettore non non rimane che farsi trascinare, accompagnare mano nella mano in una grande avventura che sembra quasi un racconto di Verne. Solo che…
Solo che, in questa grande avventura (che non è un racconto di Verne e quindi è drammaticamente vera) quello che alla fine conta sono i numeri, la situazione delle plastiche, le condizioni del mare. E sono numeri drammatici.
5250 miliardi di pezzi di plastica di varie dimensioni galleggiano nei mari di tutto il mondo. Nel 2050 si stima che il peso delle plastiche in mare sarà superiore a quello dei pesci. Usiamo plastica da 70 anni e il primo pezzo di plastica prodotto è probabilmente ancora lì che galleggia da qualche parte, ridotto certamente a nanoplastica. O forse è stato mangiato da un pesce e poi pescato da un pescatore e quindi mangiato da un uomo o da un bambino, per poi ricominciare il suo ciclo praticamente infinito, portandosi dietro continuamente sostanze tossiche da dissipare nel mare, nell’atmosfera, nei corpi con cui entra in contatto.
La parte più drammatica della faccenda è che usiamo plastica da 70 anni ed è ancora tutta lì, dispersa, abbandonata, magari riciclata e nuovamente utilizzata (la migliore delle ipotesi). Cosa succederà tra un secolo?
Occhio però, perchè il libro non vuole essere terrorismo, non vuole spaventare. Vuole però fare il punto, raccoglie un sacco di numeri e dati (altri ce ne saranno quando la ricerca sarà pubblicata), racconta la situazione e lo fa con passione assoluta.
Leggetelo come un romanzo, perchè è un viaggio appassionante, perchè ci porta a scoprire luoghi su cui in pochi hanno messo il piede. Leggetelo come un romanzo perchè ci regala colori, profumi, abitudini di vita, scorci di bellezza assoluta e assenze inquietanti (quello che spaventa è quello che non si vede, scrive Borgogno, non si vedono le nanoplastiche – che invece ci sono – e non si vede il ghiaccio – che invece non c’è davvero ma dovrebbe esserci). Leggetelo come un romanzo perchè ci fa conoscere comunità lontanissime dal nostro modo di vita. Leggetelo come un romanzo… ma ricordatevi sempre che è tutto vero.
GITA in VAIO BORAGO e MONTE ONGARINE domenica 25 Novembre con il WWF
GITA con il WWF Veronese.
Domenica 25 novembe 2018
GITA in VAIO BORAGO e MONTE ONGARINE
Domenica 25 novembe 2018
GITA in VAIO BORAGO e MONTE ONGARINE
Il WWF Veronese propone domenica 25/11 una gita naturalistica in Vaio Borago e Monte Ongarine
all'interno della ZSC (SIC) Val Gallina-Vaio Borago.
Ritrovo 9h15 a Avesa - alla Fontana del Leon - con partenza alle 9h30. Ritorno 15h30m-16.00. Pranzo a sacco. 10 km circa, 250 m dislivello.
Si percorrerà un tratto dell'ambiente di forra tipico della collina veronese, ricco di felci e dove si verifica il fenomeno
dell'inversione termica. Si salirà quindi sul Monte Ongarine, da cui si può ammirare un bel panorama sulla
città di Verona. Il Monte Ongarine, rimboscato negli anni 50 del secolo scorso, presenta comunque degli ambienti xerotermici
(aridi) e a prato dove in primavera si può assistere ad un'interessante fioritura di orchidee selvatiche.
all'interno della ZSC (SIC) Val Gallina-Vaio Borago.
Ritrovo 9h15 a Avesa - alla Fontana del Leon - con partenza alle 9h30. Ritorno 15h30m-16.00. Pranzo a sacco. 10 km circa, 250 m dislivello.
Si percorrerà un tratto dell'ambiente di forra tipico della collina veronese, ricco di felci e dove si verifica il fenomeno
dell'inversione termica. Si salirà quindi sul Monte Ongarine, da cui si può ammirare un bel panorama sulla
città di Verona. Il Monte Ongarine, rimboscato negli anni 50 del secolo scorso, presenta comunque degli ambienti xerotermici
Juri Chiotti, lo chef stellato che ha cambiato vita per la montagna
Uno chef stellato Michelin decide di cambiare vita e molla il suo lavoro per trasferirsi a duemila metri di altitudine, per gestire un rifugio tra le montagne in cui è nato. Dopodiché apre un agriturismo e un ristorante, REIS Cibo Libero di Montagna, con l’obiettivo di recuperare e rivalorizzare un borgo semi-abbandonato.
Non è la trama di un romanzo d’avventura e nemmeno le gesta di un supereroe, ma parte della storia di Juri Chiotti, che incontriamo a Frassino in piena Valle Varaita in provincia di Cuneo, nel suo “REIS Cibo libero di Montagna”, un agriturismo e ristorante dove Juri sta cercando di portare avanti il suo percorso: avvicinare sempre di più la cucina all’agricoltura e all’allevamento per valorizzare le proprie origini e la montagna.
Al nostro arrivo a REIS ci colpisce una bandiera: “Ti posso chiedere un favore? Riprendila con la videocamera. Ne vado fiero”. Si tratta della bandiera dell’Occitania, un’area storico-geografica che comprende diverse vallate alpine piemontesi, liguri e francesi: una di queste è la Valle Varaita, dove ci troviamo. Juri ha quasi trentatré anni ed un percorso di vita già caratterizzato da traguardi importanti. Di professione nasce cuoco ed esercita in diversi ristoranti in giro per l’Italia e nel mondo, ed a venticinque anni raggiunge l’importante traguardo della Stella Michelin, per due anni di fila, mentre lavora in un ristorante di Cuneo. Ma non era quello il mondo dove Juri voleva vivere e lavorare: “Non posso essere ipocrita, per me è stato un traguardo importante e l’esperienza nei vari ristoranti mi ha formato tantissimo. Ma volevo qualcos’altro: già allora, nel ristorante, cominciavo a sperimentare e a proporre piatti tipici provenienti dalle mie montagne e il richiamo si faceva sempre più forte”.
Da qui la decisione di lasciare il lavoro come cuoco e accettare una sfida importante: gestire il rifugio Meira Garneri, nel comune di Sampeyre in provincia di Cuneo, a pochi passi da casa sua, accessibile nei mesi invernali solamente in motoslitta. “Il rifugio si trova a milleottocentocinquanta metri e sono rimasto lì quattro anni. Un’esperienza che mi ha donato tantissimo e che considero l’inizio del mio percorso che mi ha condotto fino a qua. Innanzitutto tramite questa esperienza sono tornato a casa, e poi ho capito ciò che amavo veramente: mettere al servizio del territorio il mio lavoro e la mia esperienza, realizzare qui in montagna qualcosa di significativo. Non poteva esistere Reis senza questo passaggio”.
REIS: cibo libero di montagna
Nel novembre 2016 Juri ha lasciato il rifugio. Uno dei motivi è la nascita delle sue due figlie (“logisticamente si faceva davvero difficile…”), ma l’altro motivo era la voglia di ricominciare con un nuovo progetto personale legato alla sua professione di cuoco. Viene così a conoscenza di una baita di mezza montagna nel comune di Frassino e se ne innamora: “In più di un mese mi sono concentrato nella pulizia e nelle migliorie del luogo e nell’aprile del 2017 siamo partiti”.
REIS Cibo Libero di Montagna è oggi un agriturismo con un ristorante di trenta posti, l’orto, un pollaio e un gregge di circa trenta ovini (capre e pecore), che si pone l’obiettivo di far avvicinare i mondi della cucina, dell’allevamento e dell’agricoltura, che secondo Juri si sono allontanati negli ultimi decenni: “Ho fatto in modo che si realizzasse l’ambizione di fare ciò che mi riusciva meglio, cioè cucinare, in un luogo che conoscevo come le mie tasche. Qui so dove andare a cogliere le erbe spontanee nei campi, i boschi dove raccogliere i funghi, i fornitori e i produttori affidabili. In questa maniera riesco a vivere direttamente tutto il processo legato al cibo, non a vivere la cucina come un ambiente distaccato dalle materie prime che utilizza”.
La paura di aprire un’attività in un posto più isolato rispetto alla città non gli ha impedito di tentare il rischio: “Sono soddisfatto: è logico che aprire un ristorante in una valle a novecento metri di altezza non è la stessa cosa che aprirlo nel centro di una città, per quanto riguarda il bacino d’utenza. Però sono sempre stato convinto della bontà delle mie idee, la mia cucina piace, le persone arrivano e soprattutto non vivo solamente in cucina ma sto riscoprendo l’esterno, il mondo che ruota attorno ad essa e che ne è parte integrante allo stesso tempo.
La cucina non è solo il piatto che ti porto, esiste tutto il discorso della filiera che è fondamentale ed è necessario ed importante che le persone siano consapevoli: ogni giorno miliardi di persone fanno scelte sul cibo che sono fondamentali per il nostro presente e il nostro futuro. È per questo che REIS,in futuro, avrà un occhio di riguardo sempre maggiore per la cucina vegetale: serviremo anche prodotti di origine animale, come facciamo ora, ma saranno sempre più da contorno e ulteriormente selezionati in base all’etica con la quale vengono prodotti. Sto capendo poi che bisogna collaborare, bisogna essere più soggetti per poter creare un’azienda sana in montagna”.
Il Borgo Chiot Martin
Chiot Martin è un borgo di montagna che si trova a circa quindici chilometri da Frassino, nel vallone di Valmala, ed è il luogo di nascita del papà di Juri. Il futuro di Reis si intreccia al progetto dello chef di recuperare questo luogo e rivalorizzare le abitazioni presenti. Con un nuovo spazio anche per Reis.. ed un nuovo socio: “Stiamo lavorando ad uno spazio nuovo per Reis, che si lega al recupero del borgo di Chiot Martin. Un mio amico allevatore, Gian Vittorio Porasso, si sta unendo al progetto per fare di Reis uno spazio sempre più connesso all’ecosistema che ha intorno”. Gian Vittorio è un allevatore, con un centinaio di capre tenute a pascolo, ed un produttore di formaggi realizzati solo con latte crudo. Trasferirà il suo pascolo e la produzione a Chiot Martin, che diventerà parte integrante di Reis e del progetto di ristorazione.
“Per reperire il terreno necessario ad allevare le capre stiamo cercando di creare un’associazione fondiaria, con l’aiuto del Professor Cavallero. Ci siamo inoltre rivolti, per il recupero degli abitati e la creazione del nuovo ristorante, ad uno sportello a Torino che si chiama ‘Vado a vivere in montagna’ e che si occupa di rendere sostenibili delle idee di ritorno in montagna, con la possibilità di accedere a finanziamenti agevolati. Abbiamo presentato il progetto e cercheremo di reperire i fondi per fare tutto quello che è necessario per rendere reale il progetto, che ha come pilastro principale non solo il recupero di una borgata ma quello di un intero ecosistema, rivalorizzato grazie all’allevamento sostenibile e alla valorizzazione dei boschi. Un ritorno alla simbiosi tra natura e uomo, che un tempo qui in montagna si respirava a pieni polmoni”.
tratto da:
Tumori, a Brescia è record italiano. L’epidemiologo: “Ora via i vertici dell’Asl”
A Brescia ci si ammala di tumore più che nel resto d’Italia. E c’è una correlazione diretta tra i Pcb e le diossine, i veleni dell’industria chimica che hanno devastato il territorio, e l’aumento delle neoplasie. Lo certifica il nuovo rapporto “Sentieri” dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’Airtum, l’Associazione italiana registri tumori, che ha confermato l’eccesso di tumori nella popolazione del sito Brescia-Caffaro rispetto al resto del nord Italia, smentendo le autorità sanitarie locali. L’Asl di Brescia infatti, fino a pochi mesi fa aveva sostenuto che i dati sull’incidenza dei tumori “non evidenziano discrepanze significative con il Nord Italia”. Il marchio impresso dai veleni sulla popolazione di Brescia, come emerge invece dal rapporto Sentieri, è fin troppo evidente: “In entrambi i generi – si legge nello studio Iss-Airtum – si osservano eccessi (uomini +10%, donne + 14%) in tutti i tumori e dei tumori epatici, laringei, renali e tiroidei”. Ma la “firma” dell’inquinamento si trova, secondo i ricercatori, soprattutto in tre tipologie di tumore direttamente riconducibili a Pcb e diossine, per i quali si registra un’incidenza record: i melanomi cutanei (uomini + 27%, donne + 19%), i linfomi non-Hodgkin (uomini + 14%, donne + 25%) e i tumori della mammella (donne + 25%).
L’EPIDEMIOLOGO PAOLO RICCI: “VIA I VERTICI DELL’ASL”
L’epidemiologo Paolo Ricci, responsabile dell’Osservatorio epidemiologico di Mantova e coordinatore, con Pietro Combadell’Iss, del progetto di monitoraggio dei 44 siti inquinati di interesse nazionale italiani, dopo aver firmato insieme ad altri ricercatori il terzo rapporto dello studio Sentieri lancia un appello clamoroso: “E’ ora che i vertici dell’Asl di Brescia facciano un passo indietro. So di spingermi oltre un contributo scientifico puro – spiega il professor Ricci a ilfattoquotidiano.it – ma penso che la ricerca debba avere anche una ricaduta sociale sulla salute delle persone. Chi ha avuto a che fare fino ad ora con la gestione della situazione sanitaria e ambientale di Brescia sul caso Caffaro dovrebbe lasciare il posto ad altri”. A chiedere la sostituzione del direttore generale dell’Asl, Carmelo Scarcella, e della direzione dell’azienda sanitaria di Brescia erano stati finora i comitati ambientalisti: il 30 aprile un gruppo di attivisti ha occupato l’ufficio del dirigente – ai vertici dell’Asl bresciana da 15 anni – chiedendo le sue dimissioni “per aver negato le conseguenze sanitarie dell’inquinamento da diossine”.
L’epidemiologo Paolo Ricci, responsabile dell’Osservatorio epidemiologico di Mantova e coordinatore, con Pietro Combadell’Iss, del progetto di monitoraggio dei 44 siti inquinati di interesse nazionale italiani, dopo aver firmato insieme ad altri ricercatori il terzo rapporto dello studio Sentieri lancia un appello clamoroso: “E’ ora che i vertici dell’Asl di Brescia facciano un passo indietro. So di spingermi oltre un contributo scientifico puro – spiega il professor Ricci a ilfattoquotidiano.it – ma penso che la ricerca debba avere anche una ricaduta sociale sulla salute delle persone. Chi ha avuto a che fare fino ad ora con la gestione della situazione sanitaria e ambientale di Brescia sul caso Caffaro dovrebbe lasciare il posto ad altri”. A chiedere la sostituzione del direttore generale dell’Asl, Carmelo Scarcella, e della direzione dell’azienda sanitaria di Brescia erano stati finora i comitati ambientalisti: il 30 aprile un gruppo di attivisti ha occupato l’ufficio del dirigente – ai vertici dell’Asl bresciana da 15 anni – chiedendo le sue dimissioni “per aver negato le conseguenze sanitarie dell’inquinamento da diossine”.
Ora l’appello arriva anche da un autorevole esponente della comunità scientifica. Che sottolinea la gravità della situazione del sito Caffaro di Brescia. Quasi un secolo di produzione di Pcb (dal 1936 al 1984). Oltre 200 ettari di area a sud della Caffaro gravemente inquinata da policloro bifenili e diossine. Più di dieci anni di inserimento (dal 2002) tra i siti inquinati di interesse nazionale, e finora nessuna bonifica. Gli effetti di un simile inquinamento (definito da Ricci “più grave di quello di Seveso”) non poteva non interessare la popolazione. Ma le autorità sanitarie locali sembrano non essersi ancora accorte della gravità del caso bresciano. I dati preoccupanti sui tumori nel Sin Brescia-Caffaro erano stati anticipati proprio dal professor Ricci – i dati erano in attesa della conferma definitiva – alla trasmissione di RaitrePresaDiretta nel marzo del 2013. Come emerso in diversi studi pubblicati su importanti riviste scientifiche, i livelli di Pcb e diossine nel sangue della popolazione bresciana sono “fra i più elevati osservati a livello internazionale”. Perché l’Asl continua a sostenere che non vi sia correlazione certa tra queste sostanze, classificate come “cancerogeni certi” dallo Iarc, e l’incidenza anomala dei tumori? “Non lo so – prosegue Ricci – Posso dire che se fino al 2001 quando è scoppiato il ‘caso Caffaro’ potevamo pensare che errare è umano. Continuare su quella strada dopo dieci anni è diabolico”.
LA DIREZIONE DELL’ASL SI DIFENDE: “STUDI CONTRASTANTI”
Contattato da ilfattoquotidiano.it, il direttore generale dell’Asl di Brescia Carmelo Scarcella non ha voluto rilasciare dichiarazioni. La direzione dell’azienda sanitaria locale ha però diffuso le considerazioni del responsabile dell’Osservatorio epidemiologico dell’Asl di Brescia, Michele Magoni: “I Pcb sono sostanze tossiche – spiega il dottor Magoni – la loro definizione come cancerogeni è invece più controversa ed è nel 2013 che la Iarc (l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, ndr) li ha classificati come cancerogeni certi per il melanoma; permangono quali probabili cancerogeni per il linfoma-NH e per il tumore della mammella”. Gli studi sulla correlazione tra Pcb e tumori, assicura l’Asl di Brescia, sono “contrastanti”. Tuttavia la direzione generale tiene a sottolineare che “sono state prese, anche in passato, tutte le misure per prevenire l’assorbimento dei Pcb da parte dei cittadini”. E che “i livelli di Pcb sierici (nel sangue, ndr) negli ultimi dieci anni si sono dimezzati”. “L’Asl non intende certo negare l’effetto dei Pcb – afferma il responsabile dell’Osservatorio locale – ma neppure può affermare di aver trovato tali effetti quando ciò non corrisponde alla realtà”. I risultati dello studio Sentieri, insomma, non sarebbero in contrapposizione con quanto sostenuto dall’Asl di Brescia: “Al tempo stesso bisogna essere consci dei limiti degli studi e il non aver trovato un’associazione non significa che questa associazione non vi sia”, conclude Magoni.
Contattato da ilfattoquotidiano.it, il direttore generale dell’Asl di Brescia Carmelo Scarcella non ha voluto rilasciare dichiarazioni. La direzione dell’azienda sanitaria locale ha però diffuso le considerazioni del responsabile dell’Osservatorio epidemiologico dell’Asl di Brescia, Michele Magoni: “I Pcb sono sostanze tossiche – spiega il dottor Magoni – la loro definizione come cancerogeni è invece più controversa ed è nel 2013 che la Iarc (l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, ndr) li ha classificati come cancerogeni certi per il melanoma; permangono quali probabili cancerogeni per il linfoma-NH e per il tumore della mammella”. Gli studi sulla correlazione tra Pcb e tumori, assicura l’Asl di Brescia, sono “contrastanti”. Tuttavia la direzione generale tiene a sottolineare che “sono state prese, anche in passato, tutte le misure per prevenire l’assorbimento dei Pcb da parte dei cittadini”. E che “i livelli di Pcb sierici (nel sangue, ndr) negli ultimi dieci anni si sono dimezzati”. “L’Asl non intende certo negare l’effetto dei Pcb – afferma il responsabile dell’Osservatorio locale – ma neppure può affermare di aver trovato tali effetti quando ciò non corrisponde alla realtà”. I risultati dello studio Sentieri, insomma, non sarebbero in contrapposizione con quanto sostenuto dall’Asl di Brescia: “Al tempo stesso bisogna essere consci dei limiti degli studi e il non aver trovato un’associazione non significa che questa associazione non vi sia”, conclude Magoni.
L’ASL HA SEMPRE NEGATO IL NESSO PCB-TUMORI
Carmelo Scarcella, alla guida dell’Asl di Brescia dal 2003, è lo stesso dirigente che ricopriva il ruolo di direttore sanitario nel 2001, quando il caso Caffaro “è stato scoperto un po’ per caso – spiega il professor Ricci – e non certo grazie al contributo delle autorità sanitarie. Non ci sarebbe stato se non grazie alla pubblicazione di una ricerca storica. Un vero paradosso”. L’autore del libro che ha denunciato il grave inquinamento, lo storico Marino Ruzzenenti(Un secolo di cloro…e Pcb. Storia delle industrie Caffaro di Brescia) ha conservato negli anni tutte le dichiarazioni rilasciate dal direttore dell’Asl di Brescia sull’inquinamento Caffaro. Affermazioni pubblicate sui giornali e finora mai smentite dal dottor Scarcella, che lo storico ha ricordato al direttore generalenel corso di un incontro avvenuto all’inizio di maggio negli uffici dell’Asl: “Non esiste cura per la presenza nel sangue di una sostanza [il Pcb, ndr] che statisticamente non determina danni per la salute, sosteneva ad esempio Carmelo Scarcella sul Giornale di Bresciail 9 giugno 2004” spiega Ruzzenenti.
Carmelo Scarcella, alla guida dell’Asl di Brescia dal 2003, è lo stesso dirigente che ricopriva il ruolo di direttore sanitario nel 2001, quando il caso Caffaro “è stato scoperto un po’ per caso – spiega il professor Ricci – e non certo grazie al contributo delle autorità sanitarie. Non ci sarebbe stato se non grazie alla pubblicazione di una ricerca storica. Un vero paradosso”. L’autore del libro che ha denunciato il grave inquinamento, lo storico Marino Ruzzenenti(Un secolo di cloro…e Pcb. Storia delle industrie Caffaro di Brescia) ha conservato negli anni tutte le dichiarazioni rilasciate dal direttore dell’Asl di Brescia sull’inquinamento Caffaro. Affermazioni pubblicate sui giornali e finora mai smentite dal dottor Scarcella, che lo storico ha ricordato al direttore generalenel corso di un incontro avvenuto all’inizio di maggio negli uffici dell’Asl: “Non esiste cura per la presenza nel sangue di una sostanza [il Pcb, ndr] che statisticamente non determina danni per la salute, sosteneva ad esempio Carmelo Scarcella sul Giornale di Bresciail 9 giugno 2004” spiega Ruzzenenti.
27 Novembre a Roma
Con Maria Grazia Mammuccini, FederBio; Daniela Sciarra, Legambiente Onlus; Franco Manzato, sottosegretario Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo; Susanna Cenni, Filippo Gallinella.
Con: ISDE - Associazione Medici per l'Ambiente, Legambiente Onlus, LIPU, WWF Italia
Con il sostegno di Aboca, Germinal Bio, NaturaSì, Pizzi Osvaldo, Probios
4 arresti nel Basso Veronese per la comercializzazione di falsi prodotti biologici
Al centro dell’indagine l’azienda di Roverchiara Top Agri.
Frode in commercio l’accusa con la quale il gip Raffaele Ferraro ha disposto gli arresti per Marzio Soave, 58 anni, socio di maggioranza e di fatto amministratore della Soave Holding oltre che legale rappresentante delle società che fanno parte del gruppo Top Agri; per Silvia Pettenella, 44 anni, impiegata e persona di fiducia di Soave, per il marito Andrea Veronese, 44 anni,che si occupa delle pratiche relative alla conduzione dei terreni, dalla semina alla trebbiatura, e infine per Elia Zeminiani, 25 anni, responsabile della qualità nella Top Agri Spa.
Questi, tutti assistiti dall’avvocato Marco Pezzotti si sono avvalsi della facoltà di non rispondere davanti al gip Ferraro e restano quindi ai domiciliari.
Secondo quanto riferito dagli investigatori, al termine dell’attività durata circa 2 anni, l’azienda di Roverchiara avrebbe commercializzato prodotti coltivati in maniera convenzionale, con fitofarmaci e concimi non previsti nell’agricoltura biologica, e poi spacciati come “bio”.
In particolare le attenzioni degli investigatori si sono concentrate sulle aziende del Gruppo, sempre di Rovechiara, che risultano proprietarie di numerosi terreni in Italia e all’estero.
I loro prodotti cerealicoli però sarebbero stati “bio” solamente in apparenza, in quanto avrebbero usato dei prodotti fitofamarmaci, concimi, erbicidi, non conformi alla regolamentazione per aumentare la produttività, aggirando lo scoglio delle analisi con la cosidetta “miscelazione”, ovvero la mescolatura di granaglie che presentavano residui di fitofarmaci con altre partite a “residuo zero” con lo scopo di abbassare la quantità di sostanze non ammesse al di sotto del limite previsto.
Secondo gli inquirenti, l’azienda aveva pianificato la semina nei terreni distinguendo le zone coltivate normalmente con quelle a “residuo zero”, utili appunto per la miscelazione.
Una programmazione che avrebbe coinvolto anche le aziende produttrici di fitofarmaci e concimi: gli acquisti infatti sarebbero stati fatti sempre in “nero”, proprio per nascondere questo modus operandi.
Sarebbe stato il gruppo Manara di Ca’ degli Oppi di Oppeano il cui presidente Fabio Manara e il fratello Luciano sono indagati e colpiti da un’interdittiva di sei mesi dall’attività direttiva, a fornire i prodotti chimici per concimare.
Sarebbero state distrutte inoltre anche le bolle di trasporto di tali prodotti, per celare il più possibile la frode, mentre dall’estero alcune segnalazioni avrebbero indicato la presenza di sostanze “proibite” nella merce.
Il tutto sarebbe sempre sembrato in regola, viste le certificazioni in possesso delle aziende coinvolte, e durante la conferenza Biagio Morana ha fatto riferimento proprio a questo, sottolineando l’importanza dell’operazione proprio per la complessità della frode ipotizzata.
È una maxi-frode da almeno tre milioni di euro quella portata alla luce al termine di due anni di indagini dai carabinieri del nucleo tutela agroalimentare di Padova con la collaborazione dell’ufficio provinciale dell’Ispettorato Centrale Repressioni Frodi. «Ma non vi sono rischi per la salute» hanno tenuto a precisare.
Due gruppi leader sui rispettivi mercati, la Top Agri e la Manara che avrebbero creato una frode vorticosa, da almeno tre milioni di euro.
Con il primo che nel giro di tre decenni si è espanso dalle campagne del Basso Veronese, nei campi di mezzo mondo, dalla Romania al Marocco. Mille gli ettari coltivati sul suolo natìo, 10 mila quelli all’estero, in tutto 23,500 ettari tra quelli di proprietà e quelli in filiera, 50 i dipendenti, 4 terminal logistici.
E il secondo, il gruppo Manara, con un fatturato da 65 milioni e con Fabio Manara presidente anche della Compag, la federazione nazionale commercianti di prodotti per l’agricoltura.
È stata commentata anche dal ministro delle Politiche Agricole e Alimentari Gian Marco Centinaio, l’operazione contro il falso bio.
«Il nostro Paese è tra i leader europei del settore – ha detto – e sono sempre di più le persone che scelgono i prodotti biologici nelle loro case. È fondamentale quindi tutelare un comparto in continua crescita. Siamo al fianco delle imprese oneste e dei consumatori con controlli serrati. Questa operazione è un altro tassello che si aggiunge al grande lavoro quotidiano dei carabinieri del nucleo tutela agroalimentare e degli ispettori dell’Icqrf. Continuiamo su questa strada e non abbassiamo la guardia».
Foto: in alto, la sede di Top Agri a Roverchiara, in basso a sinistra Marzio Soave, socio di maggioranza e di fatto amministratore della Soave Holding; a destra la conferenza stampa tenutasi presso la caserma dei Carabinieri alla quale hanno partecipato il Maggiore Livio Propato e Biagio Morana.
tratto da:
https://www.ilnuovogiornaleweb.it/2018/11/19/roverchiara-falsi-prodotti-bio-e-una-frode-di-3-milioni-laccusa-per-la-top-agri-nessun-rischio-per-la-salute/?fbclid=IwAR2PK10g2xJ4y8tByhGvN_V5a3qMsmPivvXa6-orLqiXGV9zw9JfI5NmJEY
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