Soldi a
università e centri di ricerca per studi non ostili. La responsabile della
divisione scientifica della società si è dimessa dopo un’inchiesta sui
tentativi di influenzare studi sugli effetti della bibita
La Coca-Cola
torna sotto i riflettori per uno scandalo.
Stavolta,
l’accusa riguarda i legami tra la multinazionale e il mondo della
ricerca, finanziato per svolgere studi favorevoli per l’immagine dell’azienda.
Travolta dagli
elementi emersi in diverse inchieste giornalistiche, il direttore della
divisione scientifica della Coca-Cola, Rhona Applebaum, è stata ora
costretta alle dimissioni.
Secondo le
inchieste condotte soprattutto dal «New York Times», la Coca-Cola ha
contributo a creare e finanziare nel 2014 il «Global Energy Balance
Network», una rete di studiosi sull’obesità e i problemi ad essa legati.
Il network
avrebbe diffuso presso l’opinione pubblica l’idea secondo cui l’obesità
epidemica nelle popolazioni occidentali non fosse dovuta all’eccessivo apporto
calorico dell’alimentazione, quanto alla mancanza di attività fisica.
Lo scandalo
dunque coinvolge anche diversi importanti accademici, a partire dai fondatori del «Global
Energy Balance Network» Steven Blair (università del South Carolina), James
Hill (Università del Colorado) e Gregory Hand (Università del West
Virginia). Dopo le inchieste, iniziate nell’estate di quest’anno, le
rispettive università hanno rivelato i notevoli finanziamenti ricevuti
dalla Coca-Cola ancor prima di fondare il «Global Energy Balance Network».
La Coca-Cola sosteneva le ricerche di Blair e Hand sin dal 2008, con quasi
4 milioni di dollari di finanziamenti. L’Università del Colorado, da parte
sua, dopo le inchieste ha deciso di restituire all’azienda il milione di
dollari ricevuto. Le inchieste della stampa hanno dimostrato che lo stesso
sito internet del «Global Energy Balance Network» era stato registrato
e amministrato dalla Coca-Cola.
L’azienda, rivela
uno scambio e-mail divulgato dalla Associated Press, offriva ai ricercatori
anche un programma di formazione per i rapporti con i media. In
seguito all’inchiesta, lo stesso amministratore delegato della Coca Cola aveva
ammesso che dal 2010 a oggi la Coca-Cola ha speso 120 milioni di euro
per finanziare la ricerca nel campo dell’obesità.
I soldi
dell’azienda erano arrivati anche all’«Accademia Americana di Pediatria» (3
milioni di dollari) e a quella di «Nutrizione e Dietetica» (1,7
milioni di dollari).
Dopo le
rivelazioni, entrambe le associazioni hanno troncato i rapporto con la
Coca-Cola.
Il tema
dell’obesità è molto sentito dall’opinione pubblica statunitense
e Coca-Cola e alle altre aziende produttrici di bevande gassate
e dolci ne stanno facendo le spese.
Il consumo di
bevande zuccherate è considerato uno dei principali fattori scatenanti
dell’obesità presso i giovani, sopratutto negli Stati Uniti, e le campagne di informazione hanno
pesantemente colpito le vendite di Coca-Cola. Negli Stati Uniti, il consumo
di Coca-Cola e altre bevande gassate è calato di circa il 25% negli
ultimi vent’anni, e da ormai un decennio la crisi riguarda anche le
versioni «Diet». Anche se in Asia e America Latina le vendite continuano
a crescere, i mercati occidentali forniscono tuttora oltre i due
terzi dei ricavi della Coca-Cola.
Negli ultimi
anni, per frenare l’introduzione di «soda tax» e altri provvedimenti
legislativi volti a ridurre il consumo di calorie degli americani, la
lobby statunitense del Food & Beverage finanzia i parlamentari
statunitensi con circa 30 milioni di dollari l’anno. 7 di questi
provengono dalla sola Coca-Cola, la più impegnata nel settore. Come
raccontano le inchieste che hanno portato alle dimissioni di Applebaum, il
«supporto» ai ricercatori era ancora più elevato.
I legami tra la
lobby dello zucchero e la comunità scientifica non sono un’esclusiva
statunitense. Nel febbraio di quest’anno, la rivista scientifica British
Medical Journal aveva rivelato la rete di ricercatori inglesi che avevano
ricevuto finanziamenti diretti e indiretti da aziende come Coca-Cola, Mars
o Nestlé. Tra i ricercatori coinvolti dall’inchiesta figuravano diversi
membri del «Scientific Advisory Committee on Nutrition» e il «Medical
Research Council», due enti governativi incaricati di vigilare sulla salute
e l’alimentazione della popolazione inglese.