da: Associazione Rurale Italiana
Lo scorso 7 gennaio un cinghiale trovato morto tra i boschi di Ovada è risultato positivo alla peste suina africana (PSA), malattia virale che colpisce suini domestici e cinghiali selvatici, altamente contagiosa e spesso letale per gli animali ma non trasmissibile agli esseri umani.
Il 13 gennaio i ministri Speranza (Sanità) e Patuanelli (Agricoltura) hanno firmato un'ordinanza per cercare di frenare l'epidemia: in 114 comuni del Piemonte e della Liguria per i prossimi sei mesi non si potrà fare trekking, andare in mountain bike, raccogliere funghi e tartufi, pescare, cacciare. Disposizioni relative agli allevamenti di suini non confinati, agli spostamenti degli animali sono abituali in questi casi.
La zona interdetta comprende l’ovadese, l'acquese, Sassello, Albisola e Varazze, Gavi e Busalla - tanto per citare qualche comune - ed è evidente e intuitiva la portata di una "mazzata" per luoghi che vivono di accoglienza e turismo e che ora, improvvisamente, si trovano a dover impedire ai loro ospiti di muoversi liberamente tra sentieri e boschi. Ma evidenti e intuitive sono anche le privazioni per gli abitanti di un vasto territorio a cui viene vietato di godersi qualche sana "sorsata" di natura.
Ma quale sarà il destino dei piccoli allevamenti contadini dell’appenino Ligure e Piemontese che fanno della qualità e dell’allevamento allo stato semibrado un fiore all’occhiello? Sono allevamenti fondamentali nella costruzione del reddito familiare in aziende collocate in condizioni difficili.
La mancanza di armonizzazione fra le normative che si stanno abbattendo sulle aziende che ricadono su un territorio a cavallo fra 2 regioni (tocca 78 comuni nella provincia di Alessandria e 36 in Liguria) è impressionante e intollerabile.
Mentre nella zona rossa genovese gli allevatori hanno già ricevuto l’ordinanza di abbattere i capi di maiali allevati (assolutamente sani), ma non sanno come fare perché i macelli sono tutti in Piemonte, nell’alessandrino le notizie provenienti dagli organi competenti sono contraddittorie e si fa fatica a capire quale sia la strategia di contenimento del virus.
Per poter permettere di continuare ad esistere agli allevamenti del territorio interessato serve sia una valutazione seria del valore dei suini se dovessero essere costretti a macellare anzitempo o abbattere, che vista la qualità e la tipicità del modello zootecnico applicato non può essere quella indicata dai prezzi del mercato di carne suina all’ingrosso, ma va calibrata sul valore medio che negli anni gli allevatori hanno spuntato per il prodotto finito o trasformato in loco. La proliferazione fuori controllo degli ungulati che negli anni ha causato delle ingentissime perdite a una già fragile economia contadina, deve essere fermata con gli strumenti idonei frutto dell’esperienza scientifica maturata in migliaia di situazioni analoghe sparse per l’Italia e per il mondo. Date le caratteristiche biologiche del cinghiale, la predazione del lupo non è ritenuta un fattore di regolazione (ovvero in grado di mantenere la densità del cinghiale a valori inferiori rispetto a quelli che si osserverebbero in assenza di predazione) e il suo effetto è considerato essenzialmente compensatorio per la crescita della società civile, un'agricoltura contadina socialmente giusta ed un corretto utilizzo di tutte le risorse naturali rispettoso della biodiversità, attento ad una produzione ecologicamente durevole per la Sovranità Alimentare.
La caccia non accuratamente gestita e programmata ha un effetto drammatico: l’abbattimento delle prede più grandi (maschi) provoca l’aumentata mobilità degli individui e la destrutturazione delle popolazioni può influenzare la dinamica di trasmissione delle infezioni, favorendone il mantenimento nelle popolazioni di cinghiale o incrementandone diffusione (anche ai domestici e all’uomo).
Al momento non esiste un vaccino o una cura per la peste suina africana e, dunque, l'unica arma individuata per contenere il contagio è la prevenzione, MA AD OGGI NESSUN SUINO DOMESTICO E’ STATO COLPITO DALLA MALATTIA quindi non c’è nessun allarme sul cibo che consumiamo se non quello di non sprecarlo e di gestire gli scarti in modo che anche essi non diventino attraenti per i selvatici.
Così come non c’è nessun motivo per cui le carni provenienti dai territori interessati o dall’Italia siano rigettate o deprezzate.
Ci appelliamo ai consumatori perché contattino gli allevatori del territorio e acquistino queste carni super controllate e evitino cosi che contadini e i piccoli allevatori siano fra l’incudine delle conseguenze dello spopolamento dei territori marginali (proliferazione di ungulati) e il martello del danno economico derivato dalla cattiva gestione del territorio.
Chiediamo ai responsabili istituzionali di porre fine allo stillicidio di ordinanze incomprensibili e contrastanti fra loro e che le due regioni (Piemonte e Liguria) stabiliscano dei parametri identici volti alla difesa della salute pubblica e alla salvaguardia delle aziende agricole.
Chiediamo una ricerca approfondita sulla catena di diffusione del virus e la condivisione dei risultati con chiunque li chieda, allevatori in primis.
Poiché i danni della diffusione del virus sono già effettivi, per consentire una possibile ripresa degli allevamenti, chiediamo che alcune misure del PSR ancora in vigore, ad esempio la 21 per i ristori agli allevatori e alle imprese forestali e la 8 per gli interventi forestali, prevedano esplicite priorità per il inanziamento agli Enti Locali e alle imprese localizzati nella zona infetta, di iniziative finalizzate al miglioramento del livello qualitativo dei piccoli allevamenti zootecnici sia da latte che di carne (già alto), fornendo loro le strutture a livello comprensoriale adeguate alle loro esigenze.
Per dare sollievo immediato ai disagi provocati alle aziende coinvolte è indispensabile prevedere, oltre ai ristori, anche agevolazioni fiscali e stanziamenti con mutui agevolati.
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