Trento, approvato nuovo ddl per la promozione del bio

Approvato in aula il ddl Zanotelli per la promozione dell’agricoltura biologica in Trentino. Le minoranze (nove astenuti e tre non partecipanti al voto) avrebbero preferito un rinvio del provvedimento a dopo il referendum di settembre e per attendere la riforma nazionale in arrivo alla quale la Provincia dovrà adeguarsi.

Apprezzato però dalle opposizioni il confronto costruttivo con l’assessora, che ha migliorato il testo. Accolti tutti gli emendamenti concordati prima dall’assessora con i consiglieri di minoranza, che hanno permesso la rimozione delle proposte di modifica ostruzionistiche.

Fonte: Ansa

Preoccupa il calo di produzione del miele bio. Maffini: Attenti agli imbrogli

Quest’anno mancherà miele bio italiano e anche miele europeo. Lo rivela Nicoletta Maffini (in foto), direttore generale di CONAPI, primo produttore di miele bio in Italia e in Europa. I prezzi non riescono a remunerare la mancanza di prodotto e si va sottocosto anche del 15%.


Solo per il miele di acacia biologico, principale prodotto del settore organic, il
 Consorzio Nazionale degli Apicoltori lavora con circa 25 mila alveari dedicati, su un totale di 110 mila sia bio che convenzionali.

“Negli ultimi anni – spiega Maffini – abbiamo assistito ad una perdita di produttività degli alveari a causa del cambio climatico. Se la produzione media di un alveare, raccolto da acacia, è di circa 20 kg anno per unità, quest’anno abbiamo avuto un raccolto di circa un chilo e mezzo per alveare. L’anno scorso di otto chili.  In un solo anno, in pratica, la produzione di miele è crollata dell’82,5%, e rispetto alla produttività media ‘normale’, del 92,5%. Il calo drastico dei volumi è preoccupante perché l’apicoltura è una vera e propria sentinella ambientale, una cartina di tornasole che rispecchia in tempo reale la situazione climatica”.

Quest’anno, le api non hanno potuto lavorare per via delle gelate primaverili e delle condizioni meteo eccessivamente variabili di maggio e giugno che di fatto hanno danneggiato le fioriture di acacia e agrumi.

“Dubito che ci possa essere, entro la fine dell’anno, una ripresa – precisa Maffini -. Siamo quasi ad agosto ed i dati previsionali sulla raccolta autunnale per il miele di castagno, ci fanno aspettare una produttività di circa 12 chili per alveare. La stessa criticità produttiva la riscontriamo anche in altri Paesi europei come la Spagna, la Francia e perfino nei Paesi Oltreoceano. In questo contesto di vuoto di mercato, quello che preoccupa sono i prodotti fake che potranno maggiormente incunearsi a danno della filiera originale e dei consumatori”.

Prodotti fake, ad esempio, come il falso miele ottenuto con procedure non corrette. In pratica si toglie il prodotto dall’alveare prima che sia maturo per la lavorazione e lo si fa asciugare meccanicamente. In questo modo si spingono le api a lavorare di più per riempire di nuovo le arnie svuotate anzitempo.

“Ci sono anche dei prodotti sul mercato che rappresentano delle vere e proprie frodi – afferma Maffini – e che con il miele non hanno nulla a che vedere. Sono miscele alternative di zuccheri a cui vengono aggiunti i pollini del fiore da cui si vuole far derivare il miele. Per sopperire alla mancanza del miele di acacia italiano, di solito ci si approvvigiona in Ungheria, Romania e Serbia. In particolare CONAPI, per il marchio Mielizia, si rivolge alla filiera dei soci ungheresi”.

da Greeenplanet

Cinelli Colombini: in cantina serve creatività, la visita con degustazione non basta più

 “Siate creativi, non offrite tutte le stesse cose. La visita con degustazione non basta più ed essere sostenibili, biologici o biodinamici, sono di fatto ormai dei pre-requisiti, i visitatori lo danno per scontato”.

Per Donatella Cinelli Colombini (nella foto), presidente nazionale delle Donne del Vino e tra i fondatori del Movimento Turismo del Vino, argomento di cui è espertissima e sul quale ha scritto un libro a quattro mani con il senatore Dario Stefàno (“Turismo del vino in Italia. Storia, normative e buone pratiche”, pagg. 198, Edizioni Edagricole”), il 2021 sarà l’anno della ripartenza.

Senza numeri strabilianti come i 14-15 milioni di presenze toccate nell’era pre-Covid, inutile illudersi, ma il nuovo corso presenterà una nuova tipologia di clientela in visita alle cantine, aprendo a prospettive inedite di promuovere il vino italiano e l’enoturismo, corollario divertente e istruttivo dell’ars bibendi.
“Avremo una prevalenza di turismo italiano, con sposamenti se non proprio solo di prossimità, almeno di carattere regionale – preconizza Donatella Cinelli Colombini all’Ufficio Stampa di Vinitaly -. Il 2021 vedrà una prevalenza domestica di escursionismo di breve tratta, con un flusso maggiore per le cantine vicine alle località di villeggiatura e alle città d’arte”.

La minore presenza di stranieri nelle cantine della Penisola avrà conseguenze sulle vendite delle bottiglie, “dal momento che quando vengono dall’estero di solito i turisti portano sempre a casa almeno una o due bottiglie di vino”.

A bilanciare la presumibile cura dimagrante delle vendite agli stranieri, prosegue Cinelli Colombini, produttrice di vino a Trequanda e a Montalcino, nel Senese, “vi sarà il sempre maggiore interesse delle cosiddette esperienze, rappresentato prevalentemente dalle visite guidate con degustazione, sempre più richieste in tutto il mondo e non solo in Italia, con il fatturato derivante dagli intrattenimenti in crescita”.

Una dinamica, sottolinea l’imprenditrice, che tratteggia un altro elemento nuovo, intervenuto dopo la pandemia: l’evoluzione del turista del vino. “Sempre meno, infatti, risponde ai canoni per così dire classici, così come noi produttori lo avevamo conosciuto prima del Covid – spiega l’ideatrice di Cantine Aperte -. Oggi sono diminuiti gli enoturisti che dedicavano attenzione quasi esclusiva al vino, mentre sono cresciuti notevolmente proprio i visitatori in cerca di intrattenimento, ma sono anche aumentate le donne e si è abbassata l’età media dei visitatori, perché il turismo del vino si configura come un amusement, un divertimento che conquista il tempo libero”. Il soggiorno verde, in particolare, sta conquistando sempre più affezionati, forse anche come risposta al lockdown forzato, che ha costretto in molti a vivere nelle città.

Le nuove tecnologie aiutano vigneron e turisti a creare un legame duraturo, ben oltre il tempo dell’esperienza in cantina. “L’innovazione digitale aiuta il cliente a orientarsi, a informarsi, a conoscere la cantina prima ancora di esserci stato e a prenotare la visita – racconta Donatella Cinelli Colombini -. Le tecnologie satellitari lo guidano lungo il tragitto fino alla destinazione, tenuto conto che più della metà delle visite vengono prenotate quando il turista è sul posto. Soprattutto dall’anno scorso è aumentato moltissimo il follow-up successivo alla visita, con una percentuale di apertura delle newsletter superiore alla media, soprattutto per le piccole cantine”. 
“Questo significa – puntualizza l’imprenditrice – che toccare con mano le realtà aziendali crea un rapporto più forte fra cantina e turista, con quest’ultimo che vuole rimanere informato sulle novità e continua ad acquistare i prodotti che ha conosciuto direttamente nel luogo di produzione”.

I driver di scelta delle cantine non si limiteranno alle semplici visite e ora più che mai, è convinta Donatella Cinelli Colombini, “vincerà chi saprà adottare keyword vincenti e, come si dice, lunghe”. E così, spazio davvero alla fantasia, dai winery tour con picnic nella vigna, winery tour and trekking, winery tour and biking, e così via. “L’importante è essere creativi e studiare un’offerta che vada oltre la visita con degustazione”.

Ufficio stampa vinitaly

Pesticidi, due pesi e due misure

Pesticide Action Network denuncia l’inerzia del Consiglio Ue sulla tolleranza nei confronti dei residui di pesticidi negli alimenti importati

Ancora una volta l’Europa sembra essere vittima di sindrome bipolare. Dopo aver sostenuto l’impegno di Farm to Fork di rivedere le tolleranze relative ai residui di pesticidi contenuti nei cibi importati dai Paesi extracomunitari, il Consiglio europeo si sta allontanando dalla parola data.

La denuncia viene dall’organizzazione Pesticide Action Network (Pan), che in una lettera aperta mette in luce come sebbene la Commissione europea si sia impegnata a una politica di tolleranza zero sui residui di pesticidi nei cibi importati, il Consiglio di fatto non si sta muovendo in questa direzione.

Una situazione paradossale che penalizza gli agricoltori europei tenuti – giustamente – al rispetto di standard sanitari e ambientali più avanzati e danneggia i consumatori europei che si trovano a contatto con pesticidi vietati nel nostro continente. In un’indagine svolta nel 2020, il Pan ha trovato residui di 74 pesticidi il cui utilizzo è bandito nelle Ue in 5.811 campioni di alimenti importati.

“In un mondo globalizzato, l’impegno per garantire alimenti sani deve superare i confini nazionali ed europei per estendersi a tutte le produzioni che entrano nei nostri mercati”, ha dichiarato Andrea Michele Tiso, presidente nazionale Confeuro. “L’Unione europea dispone della forza e dell’autorevolezza necessarie per imporre precisi standard qualitativi ai grandi distributori che operano nei nostri mercati importando alimenti nel Vecchio continente. La scelta di non agire è quindi prettamente politica e si pone in aperto contrasto con la dichiarata volontà di riformare l’agricoltura europea per favorire una transizione verde”.

Il comportamento del Consiglio stupisce ancor più in quanto nessuno Stato membro si era finora opposto alla revisione delle tolleranze all’importazione durante le discussioni del Consiglio. E alcuni Paesi – come Austria, Danimarca, Francia, Paesi Bassi e Svezia – avevano apertamente sostenuto questo approccio.

I dati diffusi da Pan sono confermati da uno studio di Coldiretti – condotto sulla base dell’ultimo rapporto Efsa – che denuncia come i cibi e le bevande importate siano sei volte più pericolosi di quelli made in Italy. La percentuale di prodotti agroalimentari extracomunitari con residui chimici irregolari è risultata pari al 5,6% rispetto alla media Ue dell’1,3% e ad appena lo 0,9% dell’Italia.

tratto da: https://www.cambialaterra.it/2021/07/pesticidi-due-pesi-e-due-misure/?utm_source=Newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=NewsletterCLT

Un’alga per misurare il rischio pesticidi

Pesticidi

La sua risposta allo stress permette di rilevare il grado della minaccia

Le aree messe peggio sono quelle di Treviglio e Varese. Nelle acque della Roggia di Vignola il glifosato, il diserbante più usato in agricoltura, “arriva a sforare di otto volte i limiti previsti dalla legge”. Dove scorre il Seveso e l’Olona, l’ampa, un composto legato all’evoluzione del glifosato, si trova in concentrazioni “anche duecento volte superiori”. A disegnare una vera e propria mappa degli inquinanti che avvelenano i fiumi della Lombardia, ma soprattutto i loro cocktail, è stato un gruppo di lavoro interdisciplinare del dipartimento di Scienze e politiche ambientali e del dipartimento di Fisica dell’Università di Milano coordinato da Caterina La Porta, docente di Patologia generale ed esperta di salute digitale, e Stefano Bocchi, docente di Agronomia dello stesso dipartimento.

Lo studio, da poco pubblicato su Nature-Scientific reportper la prima volta analizza in modo concreto e dettagliato il livello di inquinamento delle acque superficiali e profonde dei fiumi della Lombardia”. I ricercatori sono partiti dai dati geolocalizzati Arpa (Agenzia regionale per la protezione ambientale) del 2018 relativi alle sostanze inquinati presenti nelle acque della Regione Lombardia e hanno individuato le più frequenti combinazioni (cocktail) di sostanze inquinanti (generalmente di origine agricola), alcune delle quali da tempo non più consentite (come gli erbicidi Dichlorophenol e Metolachlor), altre ancora diffusamente utilizzate come, ad esempio, il glifosato. Impiegato sia in agricoltura per il diserbo totale delle maggiori colture erbacee e arboree, sia nelle aree industriali e lungo le infrastrutture stradali.

Dalla geolocalizzazione è stata rilevata un’importante concentrazione del glifosato nella zona di Roggia Vignola e di ampa nella zona di Varese, dove ci sono diversi fumi inquinati come Seveso e Olona. Insetticidi sono stati individuati sia nelle zone alpine che nelle valli. Gli erbicidi si trovano maggiormente nel fondovalle e nelle pianure con zone ad agricoltura intensiva mentre i diserbanti sono in quantità maggiori nelle acque delle valli con zone a coltivazione come la Valtellina, ricca di alberi da frutto e vigneti. “Una zona che andrebbe monitorata in futuro”, avvertono gli studiosi.

I ricercatori, oltre ad aver trovato sostanze non più consentite, hanno misurato l’impatto ambientale di questi cocktail. Come? Attraverso un’alga che, in condizioni di stress, si comporta un po’ come gli umani quando devono proteggersi in una situazione di pericolo: “Se qualcosa non va stanno tutte vicine, si abbracciano, fanno massa critica per resistere meglio”, si legge nello studio. Un campanello di allarme per lo stato di salute delle acque, che di fronte a dosi crescenti di diverse sostanze combinate si accende.

“Non sappiamo che impatto abbia sull’uomo, noi vediamo l’impatto sull’ambiente. E quando si scopre che ci sono sostanze anche di 200 volte superiori ai limiti di legge qualcosa la farei”, commenta La Porta, sottolineando come questo studio possa fornire soprattutto un metodo da usare su larga scala per studiare i mix degli inquinanti, non solo in Lombardia. “Tutto questo si inquadra nella grande tematica della sostenibilità, specialmente ambientale – aggiunge Stefano Bocchi – e conferma la necessità di proseguire con la ricerca che possa portare a tecniche alternative più sostenibili anche nell’agricoltura”.

“L’Italia è il terzo Paese in Europa, dopo Francia e Spagna, per il consumo di pesticidi”, ricordano i ricercatori nel testo. La Lombardia è una delle aree con i più alti tassi di produzione agricola non solo in Italia ma a livello europeo. E “l’intenso sfruttamento dei suoli agricoli si accompagna anche a un largo uso di pesticidi”. Dato che emerge anche dalle analisi dei dati dell’Arpa, dimostrando come insetticidi e pesticidi siano un importante fattore inquinante per le acque superficiali e sotterranee della regione. “Abbiamo fatto un’analisi quantitativa oggettiva per capire dove e quante sono esattamente queste sostanze nei fiumi del territorio – spiega La Porta – ma soprattutto abbiamo identificato quali di queste si trovano insieme. Perché il problema sta soprattutto nel mix delle sostanze”.

tratto da: https://www.cambialaterra.it/2021/07/unalga-per-misurare-il-rischio-pesticidi/?utm_source=Newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=NewsletterCLT

Colline terrazzate della Valpolicella storica nel registro nazionale dei paesaggi rurali storici, soddisfazione di Cantina Valpolicella Negrar, capofila del progetto. Prossimo passo diventare sito GIAHS.

Adesso è ufficiale. A circa 10 mesi dalla presentazione della candidatura, dopo circa quattro anni di lavoro, le colline terrazzate della Valpolicella storica, che accomunano un paesaggio formato da coltivazioni di vite secondo pratiche tradizionali, coltivazioni di olivo e ciliegio, prati arborati, contrade e borghi, oltre 100 ville venete e pievi antiche, sono state iscritte dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali nel registro nazionale dei paesaggi rurali storici, con decreto n. 328704 del 16 luglio 2021. Alla notizia dell’iscrizione, grande l’entusiasmo espresso da Renzo Bighignoli, presidente di Cantina Valpolicella Negrar, capofila del progetto di candidatura, che ha visto partecipi i Comuni di Negrar, MaranoFumaneSan Pietro e Sant’Ambrogio, il Dipartimento di Economia Aziendale dell’l’Università di Verona e il GAL Baldo Lessinia

Il sopralluogo. L’iscrizione era stata preannunciata informalmente in occasione della presentazione on line avvenuta lunedì 31 maggio scorso alla presenza del Ministro all’Agricoltura Stefano Patuanelli e curata dall’architetto Chiara Zanoni, coordinatrice del progetto, dallo storico Giovanni Viviani e da Marina Valenti, che ha seguito per la cantina cooperativa negrarese le varie fasi progettuali. L’impegno della cantina nel raggiungere l’importante traguardo è stato sostanziale, non ultima l’organizzazione del sopralluogo che ha avvallato l’iscrizione, avvenuto lo scorso 28 maggio e che ha visto la partecipazione degli ispettori incaricati dal Mipaaf per la verifica del sito, il professor Tiziano Tempesta, componente del comitato tecnico scientifico dell’Osservatorio nazionale paesaggi rurali storici e Costanzo Massari della Direzione generale dello Sviluppo rurale del Mipaaf, accompagnati dall’architetto Chiara Zanoni, Marina Valenti, il vice sindaco di Negrar Fausto Rossignoli, Giovanni Viviani e Daniele Accordini, dg ed enologo di Cantina Valpolicella Negrar. La piccola compagine ha visitato i luoghi contraddistinti dalle peculiarità della zona, come le marogne a lisca di pesce, gli uliveti e la pieve di San Giorgio (VIII sec.) nel comune di Sant’Ambrogio, le colline coltivate a vigneti allevati a pergola veronese, tra cui si celano le ville storiche. Una volta proiettata la presentazione tecnica in cantina a Negrar alla presenza dei sindaci, il gruppo si è mosso verso il vigneto sperimentale di Jago che raccoglie i vitigni autoctoni, e poi verso Torbe Santa Maria Valverde. Nel dossier di presentazione alla candidatura, sono state stilate anche le raccomandazioni inerenti all’importanza di contrastare nel territorio oggetto d’iscrizione a paesaggio rurale storico fenomeni di urbanizzazione e di modifica della forma di allevamento della vite, oltre a preservare le antiche pratiche di manutenzione delle marogne, perorando azioni e incentivi per la conservazione delle marogne stesse e per il mantenimento delle coltivazioni di olivo e ciliegio.

Iscritta la Valpolicella storica. Al riguardo, Accordini riferisce: Il territorio iscritto dal Mipaaf, la cui commissione ha confrontato i dati dell’uso del suolo in Valpolicella nell’arco di 64 anni, dal 1954 al 2018, corrisponde al 66,75 per cento della Valpolicella classica, che coincide, in pratica, con la Valpolicella storica, in cui il paesaggio, dietro cui non c’è solo un valore economico ma bellezza, la fa da padrone. E dietro a un bel paesaggio, ci sono buon vino e buoni stili di vita, cose che tutti noi cerchiamo

Prossimo passo. “Raggiunto questo importante traguardo, il prossimo passo sarà quello di candidare la Valpolicella storica a sito patrimonio mondiale dell’agricoltura secondo il programma GIAHS (Globally Important Agricultural Heritage Systems) avviato dalla FAO”, dichiara Bighignoli, presidente di Cantina Valpolicella Negrar. 

Ufficio stampa della Cantina Sociale di Negrar

Cibo e comunità oltre la crescita

I sistemi alimentari prevalenti sono i maggiori fattori di superamento dei limiti planetari ecologici e sociali. Non possiamo che ripartire dalle piccole comunità virtuose e cambiare radicalmente l’idea di progresso. È necessario fornire risorse per permettere la protezione e la rigenerazione della biodiversità, eliminando i sussidi dannosi e riconoscendo al contempo la fallacia della creazione di nuova crescita economica basata su servizi e mercati finanziari della biodiversità, comprese le cosiddette compensazioni per la distruzione del cosiddetto “capitale naturale” o il finanziamento di progetti rischiosi o dannosi come le forestazioni di piantagioni monoculturali.

In Europa la crescita economica, strettamente dipendente dall’aumento di produzione e dal consumo delle risorse, ha generato e continua a generare effetti dannosi sull’ambiente naturale, erodendo la biodiversità, alterando la stabilità climatica, la salute e il benessere umano. Gli attuali modelli prevalenti di produzione e consumo non sono più sostenibili.

Sono questi alcuni dei messaggi chiave che emergono dal rapporto dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) “Crescita senza crescita economica” pubblicato nel 2021. Messaggi molto rilevanti poiché per la prima volta un’istituzione europea conferma che non possiamo avere una crescita senza fine in un pianeta finito ovvero con risorse limitate. 

L’unica soluzione a disposizione dei decisori politici è ripensare e immaginare un’idea nuova di progresso. Partendo da questa convinzione, l’EEA ha avviato un insieme di studi prospettici sui fattori di transizione e le narrative per il cambiamento.

Nel dibattito online svoltosi il 22 febbraio scorso si sono riuniti responsabili politici, ricercatori e organizzazioni della società civile per discutere i risultati del rapporto dell’EEA. Al dibattito, tra gli altri, hanno partecipato Hans Bruyninckx, Direttore dell’EEA e il consigliere di Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione Europea, nonché vicepresidente esecutivo per il Green Deal europeo e il contrasto ai cambiamenti climatici. 

Nel corso del dibattito sono stati presentati i principali risultati scientifici di questo studio di briefing e si è discusso di come questi possono o dovrebbero contribuire a plasmare le decisioni prese a livello dell’UE e degli Stati membri. I messaggi chiave del Rapporto dell’EEA sono i seguenti.

  • È in corso la ‘Grande Accelerazione’ della perdita di biodiversità, del cambiamento climatico e delle varie forme di consumo di risorse e inquinamento. Essa è strettamente collegata alle attività economiche e alla crescita economica ed è quindi di natura totalmente antropica.
  • Numerose evidenze scientifiche dimostrano, con studi globali su decenni, che il cosiddetto “disaccoppiamento” completo e durevole tra crescita economica e consumo di risorse/inquinamento non sarebbe possibile, nonostante esso costituisca il quadro di riferimento principale delle politiche ambientali europee e internazionali (Wiedmannet al., 2015; Magee e Devezas, 2016; Ward et al., 2016; Schandl et al., 2017; Hickel e Kallis, 2019; EEB, 2019; Vadén et al., 2020).
  • La circolarità dell’economia al 100% è fisicamente impossibile, si può parlare al più di “quasi-circolarità”. L’economia “circolare” potrebbe non portare verso la sostenibilità se le misure di circolarità continueranno ad alimentare la crescita economica portando all’aumento del consumo complessivo di materiali.
  • L’economia della ciambella (Raworth, 2017), del benessere (Fioramonti, 2016), della semplicità e sufficienza (Alexander, 2015; Trainer, 2020), la post-crescita (Daly, 2014; Jackson, 2021), la decrescita (Demaria et al., 2013) sono alcune delle alternative alle concezioni economiche più comuni e preponderanti fondate sulla crescita e offrono preziose interpretazioni e intuizioni per ripensare e riorganizzare il progresso.
  • Il Green Deal europeo e altre iniziative politiche per un futuro sostenibile richiedono non tanto soluzioni tecnologiche che aumentano il consumo di risorse, ma soprattutto cambiamenti nelle pratiche sociali e nei modelli di produzione e consumo.
  • La crescita è radicata culturalmente, politicamente e istituzionalmente (la fede e la dipendenza da essa sembra tutt’altro che scalfita anche dalla crisi del Covid-19). Il cambiamento richiede di affrontare queste barriere in modo democratico. In questo senso le tante comunità che vivono in modo semplice offrono ispirazione per l’innovazione sociale.

I nuovi studi prospettici dell’EEA evidenziano come sia prioritario affrontare il cambiamento con un approccio olistico che adotti la scienza della complessità, la prevenzione, la transizione e trasformazione strutturale, l’ecosystem based management (EEA, 2017, 2018, 2019, 2020a, 2020b)

Tra gli studi prospettici in cantiere, uno di prossima pubblicazione, denominato “Agriculture as care”, riguarda i sistemi alimentari, basi di ogni attività economica. Questi risultati europei trovano ottima assonanza con gli studi che anche in Italia si stanno conducendo dal 2017 sulla resilienza dei sistemi alimentari secondo il paradigma socioecologico e transdisciplinare tratteggiato ora anche dalle analisi prospettiche dell’EEA, andando oltre i singoli schemi: quello dell’uso efficiente di risorse e quello della sicurezza alimentare. 

In particolare lo studio sistemico dello spreco alimentare individua proprio nei modelli di sovrapproduzione economica (EU DG Research, 2020; EEA, 2021) e nelle disuguaglianze (EEA, 2019; 2020a) le cause primarie dei suoi enormi impatti ambientali, sociali e sulla sicurezza alimentare (Moore, 2010; Hickey e Ozbay, 2014).

Cooperativa Agricola Coraggio

SISTEMI ALIMENTARI OPPRESSIVI E FRAGILI

I sistemi alimentari odierni determinano infatti enormi pressioni su tutte le sfere ambientali e in particolare sulla biosfera, da cui dipende il loro funzionamento. 

I sistemi alimentari industriali guidati dai modelli economici prevalenti (e dalla disponibilità di combustibili fossili a prezzo relativamente basso) sono i maggiori fattori di superamento dei limiti ecologici planetari e delle relative soglie di sicurezza, con le attività legate alla zootecnia intensiva come principale determinante delle diverse tipologie d’impatto (Steffen et al., 2015; Willett et al. 2019; Rockströmet al., 2020). I

l superamento di questi limiti comporta forti instabilità sociali ed economiche. Per la perdita di integrità biologica (stimata sulla base della velocità di estinzione delle specie) potrebbe già largamente essere avvenuto il superamento sia della soglia di sicurezza che dell’ancor più allarmante soglia di incertezza e forse di non ritorno. 

I sistemi alimentari sono i principali responsabili di superamento della maggior parte dei limiti planetari (Campbell et al., 2017; Gordon et al., 2017) quali l’alterazione dei cicli naturali dei nutrienti-fertilizzanti azoto, fosforo e potassio, il consumo eccessivo di suolo (per la cui gestione è urgente un’equa regolamentazione) e di acqua (per cui le previsioni di disponibilità sono inquietanti), mentre il loro contributo al cambiamento climatico arriva fino a circa un terzo del totale, considerando anche gli effetti indiretti (IPPC, 2019; Crippa et al., 2021) e con fabbisogni energetici crescenti. 

I sistemi alimentari incidono per circa un terzo sull’impronta ecologica mondiale che è di circa 2,8 ettari globali pro capite ovvero 1,6 volte la biocapacità disponibile sul pianeta (GFN, 2021), con grandi squilibri (per esempio gli USA hanno un’impronta pro capite 10 contro 1 dell’India). 

I sistemi alimentari impegnano da soli circa metà della biocapacità globale. In parallelo i sistemi alimentari sono tra i maggiori imputati dello sviluppo di epidemie zoonotiche tramite i loro impatti sugli ecosistemi (IPBES, 2020; Di Marco et al., 2020; Wallace, 2016, 2020) e co-fattori di più ampie sindemie (Horton, 2020) essendo responsabili di gravissimi squilibri sanitari che coinvolgono la maggior parte delle persone nel mondo, molto spesso associati a guerre e migrazioni. Incrociando infatti i dati delle organizzazioni delle Nazioni Unite (FAO, IFAD, UNICEF, WFP e WHO) emerge come circa due terzi della popolazione mondiale soffra di gravi e spesso opposti squilibri nutrizionali: 12% denutrito, 27% malnutrito, 27% sovralimentato e malnutrito.

Inoltre meno del 33% della popolazione mondiale è attualmente autosufficiente grazie a cibo locale (Kinnunen et al., 2020) e in Italia l’autosufficienza è sotto l’80%. Al contempo nel sistema alimentare globale si spreca almeno il 50% delle calorie prodotte (in Italia almeno il 60%), considerando oltre a perdite e rifiuti anche la sovralimentazione (dovuta spesso a prodotti industriali iper trasformati) e soprattutto la perdita netta nella conversione di risorse edibili operata dagli allevamenti animali (Vulcano e Ciccarese, 2019; ADA, 2020). 

Questo spreco impegna da solo circa un terzo della biocapacità globale, senza considerare anche altre forme di spreco quali gli usi non alimentari di prodotti edibili, le perdite prima dei raccolti, le perdite di acqua potabile. L’impronta ecologica dello spreco alimentare sistemico in Italia (e in Europa) arriva ad almeno il 50% della biocapacità ed è in buona parte collegato alle importazioni (soprattutto frumento, soia, mais per i mangimi o olio di palma, ma ormai anche frutta e verdura in parte non trascurabile).

La sovrapproduzione di surplus alimentari è talmente alta da eccedere anche il tasso di aumento della popolazione e dei fabbisogni mondiali, tanto che il cibo prodotto (a scapito dell’ambiente) basterebbe ampiamente per tutti, ma i meccanismi economici prevalenti determinano una distribuzione fortemente ineguale delle risorse. Nonostante l’aumento globale di produzione, negli ultimi 50 anni la biocapacità disponibile pro capite si è comunque mediamente dimezzata (WWF, 2020). Pur essendo le previsioni di aumento demografico tendenzialmente in alleggerimento, le dinamiche economiche hanno portato negli ultimi decenni all’urbanizzazione e a una pressione demografica globale insostenibile. 

Ciò sia nel Sud del mondo sia tanto più nel Nord dove i dati (quali limiti ecologici planetari, biocapacità disponibile e impronta ecologica) mostrano che la saturazione delle potenzialità naturali locali è per lo più avvenuta da tempo e i consumi ordinari si basano in buona parte sulle risorse del Sud globale, oltre che sulla degradazione del proprio ambiente ecologico e sociale. 

Ciò è riconosciuto dall’Agenda di sviluppo sostenibile ONU 2030 con gli obiettivi globali di salute e pianificazione riproduttiva. Agenda che però richiama ancora obiettivi di crescita economica, causa delle enormi distanze attuali nel raggiungimento di tutti gli altri obiettivi (O’Neill et al., 2018). Come la crescita economica anche quella demografica oltre un certo livello risulta contro-producente per la qualità della vita e per la biodiversità.

Cooperativa Agricola Coraggio

 La veloce diffusione di pandemie è esemplificativa di questa fase e direttamente connessa oltre che al sovrasfruttamento delle risorse ecologiche anche alla densità della popolazione e dei traffici. Purtroppo nel dibattito pubblico la questione demografica viene negletta e non compresa nella sua rilevanza, per via di interessi opposti che si trovano a convergere diventando una posizione prevalente su questo tema. 

Insieme a quello del produttivismo-consumismo e dell’esasperazione tecnologica, quello demografico è un fattore interdipendente, fondamentale e ineludibile (Chertow, 2008) di questa necessaria e urgente trasformazione culturale. Trasformazione secondo cui l’umanità è chiamata a comprendere il proprio impatto e prima di tutto ad accettare e a rispettare, più che guidare e gestire (stewardship) lo spazio vitale di tutte le altre comunità ecosistemiche e i limiti comuni di equilibrio (Kallis, 2019). 

Sarebbe opportuno trattare il tema in modo il più possibile informato, consapevole e condiviso piuttosto che trovarsi a doverlo affrontare in modo forzato dall’urto con i limiti naturali o imposto da politiche autoritarie.

Per affrontare la pressione demografica sono necessarie formazione scolastica, salute riproduttiva, uguaglianza di genere, potenziamento e difesa dell’educazione delle donne e dei diritti al controllo del proprio corpo, redistribuzione equa della ricchezza e giustizia sociale, pensioni e sanità pubblica, promozione culturale e cambiamenti nello stile di vita.

PROTEZIONE CONVIVIALE DELLA BIODIVERSITÁ

Come conseguenza delle pressioni economiche esercitate sugli ecosistemi, la Terra sta infatti subendo una perdita di biodiversità eccezionalmente rapida e sempre più specie vegetali e animali sono minacciate di estinzione e ancor più in cattivo stato di conservazione, ora più che in qualsiasi altro periodo della storia umana. Si stima che quelle a rischio di estinzione potrebbero essere circa 1 milione, un quarto di tutte quelle accertate (IPBES, 2019; IUCN, 2019). L’indice del pianeta vivente (abbondanza delle popolazioni) segna un preoccupante calo del 70% in media negli ultimi 50 anni (WWF, 2020). 

Le estinzioni di specie animali documentate finora sono 765, di cui 79 mammiferi, 145 uccelli, 36 anfibi. Secondo la “lista rossa” dell’Unione internazionale per la conservazione della natura 1.199 mammiferi (il 26% delle specie descritte), 1.957 anfibi (41%), 1.373 uccelli (13%) e 993 insetti (0,5%) sono minacciati di estinzione; così come il 42% degli invertebrati terrestri, il 34% degli invertebrati di acqua dolce e il 25% degli invertebrati marini sono considerati a rischio di estinzione. 

In Italia le specie animali minacciate di estinzione sono 161 (138 terrestri e 23 marine), pari al 28% delle specie valutate, tra cui circa il 31% dei vertebrati (ADA, 2020). Circa il 90% del sovrasfruttamento globale di specie ittiche, almeno il 30% della degradazione della sostanza biologica nei suoli e circa il 70% della perdita mondiale di habitat è riconducibile alle attività antropiche alimentari nel loro complesso, tra cui spicca la deforestazione per allevamenti animali intensivi (Campbell et al., 2017; Gordon et al., 2017). 

Il sistema alimentare globale è quindi il fattore principale di erosione della biodiversità, con l’agricoltura industriale che da sola rappresenta la minaccia per 24.000 (86%) delle 28.000 specie fin qui accertate come a rischio di estinzione (UNEP-Chatam House, 2021). I principali tipi di processi attraverso cui avviene questa degradazione sono il cambio di uso del suolo, l’estrazione diretta di biodiversità, l’inquinamento, il cambiamento climatico e l’immissione di specie aliene invasive. 

Inoltre la FAO stima che negli ultimi cento anni si sia verificata una perdita enorme di agrobiodiversità: quasi il 75% della diversità genetica di specie coltivate e allevate è andato perso e l’alimentazione umana oggi si basa per il 75% solo su 12 specie vegetali e 5 animali (FAO, 2019). Le api domestiche e gli apoidei selvatici impollinano circa il 90% delle specie vegetali presenti sul pianeta (75% di quelle di interesse alimentare), garantendo circa il 35% della produzione agroalimentare. 

Oltre il 40% delle specie di invertebrati, in particolare api e farfalle che garantiscono l’impollinazione, sono a rischio di estinzione, causa principalmente dei sistemi di produzione agroindustriale (FAO, 2019). Le meta-analisi scientifiche mostrano che le aziende agricole più piccole, in media, hanno rese più elevate e ospitano una maggiore biodiversità sia colturale che non, sia a scala agricola che paesaggistica, rispetto alle aziende agricole più grandi (Ricciardi et al., 2021). 

Altre meta-analisi hanno dimostrato gli enormi benefici per la biodiversità portati dai metodi di coltura agroecologici (Reganold e Wachter, 2016; IPES-Food, 2016). Si consideri poi che la protezione della biodiversità globale e locale è di importanza fondamentale per contrastare i cambiamenti climatici in atto, i quali a loro volta stanno mettendo in forte pericolo la sicurezza alimentare e idrica (Ortiz-Bobea et al., 2021). 

Cambiamenti climatici che potrebbero anche essi venire affrontati molto più efficacemente con approcci di decrescita economica (Keyßer e Lenzen, 2021) riducendo i fabbisogni energetici e incrementando il benessere generale, partendo dalla democratizzazione, dalla qualità del servizio pubblico e dalla redistribuzione equa dei redditi e delle condizioni di accesso ai servizi (Vogel et al., 2021; D’Alessandro. et al, 2020). OECD – agenzia tedesca

Le politiche e le misure di protezione, rigenerazione e valorizzazione della biodiversità (come le nature based solutions di cui molto si discute) dovrebbero andare oltre il paradigma della crescita economica, migliorando al contempo la prosperità e il benessere generali (IPBES, 2019; IPBES-IPCC, 2021). 

Le soluzioni basate sulla natura: non sono un’alternativa alla necessaria decarbonizzazione, anche perché i tempi naturali di assorbimento dei gas serra sono molto lunghi; esse devono coinvolgere una gamma sufficientemente ampia di diversi ecosistemi; dovrebbero essere progettate in collaborazione con le comunità locali nel rispetto delle popolazioni indigene e di tutti i diritti sociali; infine, devono essere di supporto alla protezione della biodiversità, dal livello del gene a quello dell’ecosistema, senza interventi che alterino le reti trofiche e gli equilibri ecologici (Girardin et al., 2021). 

Alterazioni ecologiche che vanno evitate anche per quanto riguarda quelle che possono derivare anche dalla replicazione digitale e proprietaria dei genomi dell’agrobiodiversità per sviluppi agroindustriali o da vari tipi di nuove tecnologie genetiche che vengono rilasciate nell’ambiente naturale (gene editing, gene drive).

In questo processo dovrebbero essere considerate anche le responsabilità passate e presenti nella delocalizzazione globale degli impatti (CBD, 2021; Marques et al., 2019) come quelli derivanti dal sovrasfruttamento europeo e italiano di risorse alimentari importate. Responsabilità che si ripercuotono nell’accrescimento delle disuguaglianze e dei debiti che costringono i paesi del Sud globale a sfruttare la biodiversità per la sopravvivenza (Dempsey et al., 2021). 

È necessario fornire risorse per permettere la protezione e la rigenerazione della biodiversità, eliminando i sussidi dannosi e riconoscendo al contempo la fallacia della creazione di nuova crescita economica basata su servizi e mercati finanziari della biodiversità, comprese le cosiddette compensazioni per la distruzione del cosiddetto “capitale naturale” (Heinrich Böll Foundation, 2014-2021) o il finanziamento di progetti dannosi come le forestazioni di piantagioni monoculturali o rischiosi come le afforestazioni (IPBES-IPCC, 2021 per le colture bioenergetiche). Ciò comporta preferire l’uso di lessico e metriche biofisiche, ecosistemiche e di benessere, tutelando, se necessario anche giuridicamente, l’esistenza di valori e benefici incommensurabili, non intercambiabili, altamente dipendenti dal contesto e a uso non esclusivo. Comporta inoltre esplorare traiettorie partecipative, conviviali e condivise nell’attuale formazione di scenari e quadri di riferimento internazionali per azioni che siano effettivamente a protezione della biodiversità e dei sistemi socioecologici congiunti (de Boef et al., 2013; Heinrich Böll Foundation 2014-2021; Buscher e Fletcher, 2019; Otero et al., 2020; Frainer et al., 2020). Ciò permetterebbe inoltre di superare la contrapposizione tra land sparing e land sharing integrando nelle classiche misure di protezione della biodiversità una visione dinamica e proporzionata alla scala locale, tutelando comunque le aree di riserva ad alto valore naturale e aumentando la connettività delle reti ecologiche di conservazione globale. 

Le analisi integrate energia–informazione-struttura-biodiversità applicate agli agroecosistemi confermano come i mosaici complessi dei paesaggi agroecologici tradizionali continuano a garantire un’elevatissima conservazione della biodiversità e mettono in luce le potenti sinergie tra metabolismo sociale, ecologia del paesaggio e proliferazione della biodiversità (Marull et al., 2020).

BIOECONOMIA QUASI-CIRCOLARE FUORI DALLA CRESCITA

Ultimamente l’utilizzo economico delle biomasse (cosiddetta “bioeconomia”) è in aumento per via dello sfruttamento o della coltivazione, oltre che per gli scopi tradizionali, anche come materie prime alternative a quelle fossili e minerali o per processi di assorbimento delle emissioni serra. 

Come già avvenuto nel recente passato, ciò può portare a concorrenza nell’uso di risorse già scarse come l’acqua e il suolo (naturale e agricolo produttivo), nonché ad aumenti della perdita di biodiversità, delle speculazioni finanziarie, dei prezzi e dell’insicurezza alimentare (Vulcano e Ciccarese, 2019; EEA, 2020a; Stenzel et al., 2021). 

È indispensabile prima di tutto affrontare la questione in un’ottica termodinamica prima che econometrica, tornando quindi alla definizione originale di bioeconomia come economia basata sull’aderenza ai principi biofisici (Georgescu-Roegen, 1971, 2003). 

In questo senso le evidenze scientifiche mostrano che per garantire sicurezza alimentare e ambientale è necessario accordare priorità alle misure trasformative di prevenzione strutturale degli sprechi sistemici (vedi in seguito) rispetto a quelle di bioeconomia “circolare” quali riciclo e recupero degli scarti (Vulcano e Ciccarese, 2019). 

Queste ultime possono essere utili se adeguatamente calibrate, ma non sono sufficienti e un’eccessiva attenzione su di esse rischia di essere contro-producente, oltre che di coprire e ritardare l’attuazione di interventi di prevenzione strutturale. 

Le azioni di prevenzione non strutturale dei rifiuti alimentari sono invece fondate soprattutto sull’introduzione di nuove tecnologie. Questi interventi aumentano l’efficienza dei processi industriali nel breve periodo, evitando gli effetti negativi dello smaltimento, ma creandone di ulteriori per la loro applicazione, per lo più delocalizzati (Brand e Wissen, 2013). 

Parallelamente essi aumentano i costi, diminuiscono il senso di responsabilità dei cittadini nei confronti dello spreco e del valore del cibo e tendono ad aumentare complessivamente il consumo di risorse e gli effetti negativi (paradosso di Jevons). Studi approfonditi dimostrano che così si possono vanificare i vantaggi del riciclo in termini di impatti negativi totali, i quali possono addirittura aumentare in particolare quando mancano appropriate misure di regolamentazione del settore privato (Valenzuela e Böhm, 2017; Zink e Geyer, 2017). 

In generale i processi bioeconomici dovrebbero almeno essere realmente sostitutivi e non aggiungersi a quelli già esistenti, incrementando così la domanda di risorse e le dimensioni economiche complessive. Se resta inalterato il paradigma di crescita i processi di recupero e riciclo alimentare hanno bisogno della sovrapproduzione e sovraofferta di eccedenze per svilupparsi, espandendo i confini della mercificazione (Krones, 2019) e accelerando (Valenzuela e Bohm, 2017) o essendo ancillari (Lindenbaum, 2016) al medesimo sistema di mercato. 

Un meccanismo basato su estrazione di profitto economico da ogni processo biofisico e non, produttività unitaria, competizione, concentrazione e stimoli al consumo. La priorità per prevenire lo spreco deve andare alla prevenzione delle eccedenze. Quindi i processi sostitutivi nell’uso delle eccedenze dovrebbero comunque essere limitati e orientati verso il più completo livello di rinnovabilità delle risorse (Hausknost et al., 2017). 

Per esempio le nuove iniziative di bioeconomia non dovrebbero portare all’estrazione di residui colturali che altrimenti contribuirebbero alla materia organica del suolo e quindi alla sua fertilità alimentare (Holmatov et al., 2019). Per garantire la rinnovabilità delle risorse alimentari è necessario ridurre la produzione di eccedenze e la densità dei fabbisogni a limiti minimi “fisiologici” determinati in base alle capacità naturali locali e ai metodi agroecologici di rigenerazione quasi-circolare e di sufficienza, che usano più parsimoniosamente le risorse, proteggono e valorizzano la diversità biologica e la pluralità culturale (visione bioregionale olistica). 

Questi metodi già dal breve periodo mostrano numerosi vantaggi socio-ecologici e rese comparabili ai modi industriali che a fronte di elevate rese immediate tendono a depauperare velocemente le risorse, mentre nel medio-lungo periodo o già in situazioni critiche le rese agroecologiche possono essere maggiori (IPES-FOOD, 2016; Schrama et al., 2018; Eyhorn  et al., 2019; Lowder et al., 2021). Inoltre i bassi tassi attuali di circolarità dovuti all’impiego di complesse infrastrutture industriali confermano che minore è la scala e maggiore è l’efficacia dei processi di riciclo/rigenerazione e delle connesse reti di innovazione sociale (Garnett et al., 2015; Piques e Rizos, 2017; EEA, 2021).

Facilitando questi approcci si permetterebbe a una bioeconomia realmente quasi-circolare di non produrre vari tipi di effetti complessi di retroazione sistemica (EEB, 2019) che rendono improbabile il “disaccoppiamento” completo, ostacolano l’efficacia delle politiche in atto e bloccano il cambiamento (EEA, 2021). Queste retroazioni sono interconnesse e si autorafforzano in spirali perverse, apparentemente in modo controintuitivo. 

Storicamente lo sviluppo di nuove tecnologie sempre più elaborate, specie quelle proprietarie o che sono state sussunte al lavoro collettivo, è diventato il principale fulcro nell’estrazione di nuova crescita economica e finanziaria (Bakker et al., 2017). Esso ha quindi sorpassato gli altri fattori che si inter alimentano: l’espansione demografica, il sovrasfruttamento e impoverimento della forza lavoro, produttiva e riproduttiva (Griffith et al., 2018); fattori che restano comunque tuttora attivi in proporzioni e distribuzioni diverse tra il Nord e il Sud Globale. Al raggiungimento di eccessive complessità di scala, le necessità esponenziali di risorse e la saturazione della domanda portano alla diminuzione dei margini di produttività, a cui i modelli prevalenti rispondono usualmente con l’indebitamento e l’aumento di efficienza tecnologica di alcuni settori nell’uso unitario delle risorse. 

Ciò genera il cosiddetto effetto “rimbalzo” (Glansdorff e Prigogine, 1971; Polimeni et al., 2007). L’efficienza favorisce l’aumento di scala dei processi, la diminuzione dei costi unitari e di conseguenza aumenta la promozione e la domanda fino a generare aumenti netti dei consumi di risorse e degli impatti negativi, molto spesso delocalizzati globalmente o in altri settori economici (UNEP, 2018; IPBES, 2019; EEA, 2020b, 2021; ISTAT, 2021). In parallelo avviene la valorizzazione dello status posizionale delle merci che allarga le disuguaglianze nella società e soggioga con l’illusione che la ricchezza filtri dall’alto verso il basso. 

Ciò prosegue finché vi sono risorse disponibili a un costo che ne renda conveniente l’utilizzo, poi l’innovazione tecnologica produce un nuovo salto in avanti esasperando consumi e impatti complessivi. Tali cicli di amplificazione rendono il sistema globale sempre più dissipativo, fragile e instabile per minimi disturbi non riconosciuti, predisposto a subire traumi e crisi repentine (come nel caso del Covid-19).

Essendo attualmente l’espansione della società limitata da vincoli biofisici esterni, i miglioramenti dell’efficienza potrebbero essere invece utilizzati per esplorare insiemi alternativi di comportamenti più compatibili con tali limiti, contenendo la perdita di diversità; la società dovrà così negoziare nuove definizioni di desiderabilità attraverso adeguamenti culturali e politici che portino a nuovi modi accettabili di vita (Giampietro e Mayumi, 2018). I miglioramenti dell’efficienza potrebbero derivare da un “effetto rimbalzo” positivo generato da processi bioeconomici e culturali orientati al principio di sufficienza (Alexander, 2015).

QUALE RESILIENZA

La complicata sfida di proteggere gli ecosistemi e al tempo stesso garantire la sicurezza alimentare della popolazione globale in modo “sostenibile” ha attirato una crescente attenzione da parte delle principali istituzioni ambientali e dei governi. Negli ultimi anni il discorso si è spostato dalla “produzione rispettosa dell’ambiente” alla “sostenibilità del sistema alimentare”. 

Ciò dovrebbe considerare e migliorare la “resilienza” dell’intero sistema per riportarlo entro i limiti. Questa resilienza, troppo spesso definita e richiamata in senso superficiale o strumentale, è però una caratteristica indispensabile per il futuro sistema alimentare e più in generale, soprattutto in un contesto di crescenti incertezze dovute ai cambiamenti ambientali e alla variabilità che supera le abilità previsionali e gestionali. 

In sintesi essa può essere vista come la capacità biologica, ecologica e sociale di confrontarsi e adattarsi ai cambiamenti e ai disturbi, resistendo anche a quelli imprevisti o potenzialmente destabilizzanti, tramite processi ciclici di individuazione contingente, di autorganizzazione e di convergenza tra scale diverse (Holling e Gunderson, 2001; Kupiec, 2019). Essa fonda il suo potenziale rigenerativo sull’omogenea distribuzione dei benefici derivanti dall’interconnessione tra un’elevata diversità di “agenti” (biologici, sociali, …) e sull’osmosi con l’ambiente esterno. 

Ciò può garantire lo scambio reciproco di caratteristiche multifunzionali essenziali per far sì che l’intero sistema possa adattarsi ai cambiamenti o creare le necessarie trasformazioni, specie in situazioni critiche. Si riferisce perciò anche alla capacità di mutazione profonda di un sistema non più sostenibile e instabile verso nuovi livelli di equilibrio. 

Per raggiungere questi obiettivi ecologici e sociali occorre non solo ridurre le pressioni derivanti dalla produzione, ma attuare una serie di sostanziali cambiamenti economici e culturali, a partire da un immaginario estetico e creativo che sappia elaborare positivamente le sensazioni oltre che la razionalità, consapevole delle inerzie presenti come delle potenzialità che possono essere sbloccate, prendendo spunto anche da visioni e prospettive relazionali indigene e apparentemente minoritarie. 

I mutamenti necessari, avviati in parallelo, si potenzierebbero sinergicamente a vicenda. Essi riguardano, tra le altre cose: la struttura delle intera filiera e il ruolo non più centrale del consumo individuale, della competizione, del lavoro retribuito, del valore monetario e del profitto privato nella società, penalizzando le attività che consumano più risorse naturali e incentivando la redistribuzione della ricchezza; una partecipazione paritaria e solidale delle persone basata sulla valorizzazione sociale delle minoranze e delle innovazioni che vengono dai margini, lo sviluppo di capacità relazionali, abilitanti e di autonomia più che su istruzione, controllo e assistenza; sistemi collettivi di tutela, credito e scambio che riconoscano equamente il valore della vita e del lavoro consapevole di cura dell’ambiente e delle persone; conversione dei sistemi militari in servizi collettivi di autodifesa dei beni comuni. In queste direzioni serve inter e post disciplinarietà nell’educazione, nella formazione e nella ricerca-azione. ... il resto dell'articolo lo trovi su: https://comune-info.net/cibo-e-comunita-oltre-la-crescita/?utm_source=mailpoet&utm_medium=email&utm_campaign=Forza+e+debolezza

Associazione per la promozione e la tutela della Pecora Brogna

Nuovo presidente e nuovi consiglieri per l’Associazione per la promozione e la tutela della pecora Brogna, l’ultima razza ovina originaria della Lessinia. Il 24 giugno scorso i 49 soci – tra cui 33 allevatori, ristoratori, artigiani, macellai, tecnici agrari e medici veterinari distribuiti tra le province di Verona, Vicenza, Padova, Mantova e una magliaia di Torino – si sono riuniti e hanno nominato il direttivo per il triennio 2021-2023.


Presidente per i prossimi tre anni sarà Cristina Ferrarini, 51 anni, perito agrario, nata a Verona e trasferitasi nel 2009 a Ceredo, frazione di Sant’Anna d’Alfaedo (dopo una parentesi di 15 anni a Bolzano) per aprire la sua azienda di allevamento di pecore e alpaca.

Già consigliere dell’Associazione dal 2015, Ferrarini prende il posto di Lorenzo Erbisti, che rimane comunque consigliere in questo nuovo corso. Gli altri nomi del direttivo sono Giovanni Caltagirone, vicepresidente; Marco Beccherle, tesoriere; Isabella Bortoli, segretario; Aurora Manani, Giuseppe Volpiana, Elisa Carpene, Mattia Cacciatori, consiglieri.
«L’associazione per la promozione e la tutela della pecora Brogna nasce nel maggio 2012, riunendo allevatori, tecnici del settore, ristoratori e trasformatori, con lo scopo di evitare l’estinzione di una razza autoctona, patrimonio di biodiversità culturale della Lessinia. – spiega Ferrarini – Il suo intento è quello di promuovere la valorizzazione dei prodotti ottenuti da questo prezioso animale, per consentire agli allevatori di continuare a presidiare il territorio, ritornando a dare così a questa zootecnia di montagna quel ruolo fondamentale di custode dell’ambiente che già ricopre da centinaia di anni e che è stato certificato recentemente anche dal Ministero delle Politiche agricole e forestali con l’inserimento degli Alti Pascoli della Lessinia nel Registro dei Paesaggi rurali di interesse storico».
«L’associazione ha anche l’obiettivo di creare e diversificare le potenzialità della pecora Brogna, ad esempio individuando e seguendo le filiere di latte, carne e lana. Proprio parlando di lana, siamo arrivati all’ottavo anno consecutivo di raccolta» sottolinea la neo presidente, che da poco ha aperto un laboratorio di tintura naturale della lana di pecora Brogna e alpaca, con vendita di prodotti filati e lavorati, a Molina, piccolo centro montano nel Comune di Fumane.
«Quello su cui cercheremo di puntare in particolare nel prossimo triennio è la capitalizzazione di un riconoscimento importante che abbiamo ottenuto lo scorso dicembre, ovvero l’ingresso della Pecora Brogna nell’elenco dei Presidi Slow Food. Un terzo riconoscimento per le tipicità del territorio della Lessinia (le altre due sono Monte Veronese di malga e Pero misso) che ci consente di salvaguardare ulteriormente un patrimonio della biodiversità che fino a pochi anni fa era a rischio estinzione» conclude Cristina Ferrarini.

MERCATO COPERTO DI CAMPAGNA AMICA VERONA

 


ANCHE GLI APPUNTAMENTI ESTIVI 2021 SONO RIMANDATI AL 2022

Ad oggi, salvo ripensamenti o evoluzioni favorevoli delle condizioni sanitarie e conseguenti allentamenti delle stringenti normative in materia di COVID La Pro Loco di Breonio ed il Comitato Festa del Reguso di Gorgusello confermano di non essere in grado di organizzare le edizioni 2021 delle locali Festa del Ciclamino e Festa del Reguso. Crediamo che la scelta sospendere momentaneamente i nostri appuntamenti sia da considerare come la più responsabile per tutelare la sicurezza di pubblico e volontari, oltre che per sollevare gli organizzatori da responsabilità insostenibili.

 Confidiamo nella speranza che l'entusiasmo, l'impegno e la voglia di stare insieme che ci hanno accompagnati per tutti questi anni non ci abbandonino ed anzi, tornino forti e rinnovati quando sarà terminato questo brutto periodo di incertezze e difficoltà dovute all'emergenza sanitaria.

Sambuco: raccolta e preparazioni - domenica 1 agosto a Roverchiara



Al mattino passeggiata lungo il fiume Adige alla raccolta delle bacche di Sambuco, ospiti dell'Associazione "Radici in Movimento".

Pranzo con picnic nel prato e all'ombra degli alberi (da portarsi da casa)

Nel pomeriggio sgraneremo le bacche e insieme prepareremo la marmellata, che ognuno poi si porterà a casa, e se rimane del tempo sperimenteremo anche il succo.

Cenni delle tradizioni e simbologia di questa pianta, sulle proprietà curative delle varie parti del sambuco e ricette culinarie.


Ci troviamo: 

Roverchiara c/o Associazione Radici in Movimento

via Anesi,27 - dalle ore 10 alle 18

Assobio: “momento favorevole per il biologico”

Dopo il boom del 2020, la crescita del biologico continua e si consolida. Questo il giudizio espresso da Assobio, l’associazione nazionale delle imprese di trasformazione e distribuzione dei prodotti biologici e naturali, a commento degli ultimi dati forniti da Nielsen, secondo i quali nel primo trimestre del 2021 il valore tendenziale del settore ha fatto registrare una crescita dello 0,9% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, arrivando ad attestarsi a un’incidenza del 3,2% sull’intero settore alimentare. A trainare il trend di crescita e consolidamento, con picchi positivi che talvolta superano anche la soglia del 40%, sono fuori pasto salati, champagne, spumanti e vini, preparati per bevande calde, bevande piatte, conserve animali, gastronomia vegetale e altre categorie, tra cui ad esempio pane e sostitutivi e prodotti da forno e cereali. Per ciò che concerne i canali distributivi, sono l’e-commerce, con un +79% di vendite registrate nei primi 3 mesi dell’anno, e i discount, con un incremento del 10,5%, a far registrare gli andamenti più positivi.

“I dati dimostrano che il biologico non è una nicchia e il potenziale per un aumento dei consumi interni c’è – dice Roberto Zanoni, presidente di Assobio – Va comunicato il suo valore reale”.

La 33esima edizione di SANA, il Salone internazionale del biologico e del naturale, in programma dal 9 al 12 settembre presso il Quartiere fieristico di Bologna, permetterà alla business community e a tutti i portatori di interesse di fare il punto sul momento positivo del settore biologico e sulle azioni da mettere in campo per dare ancora più spinta alle dinamiche di crescita e consolidamento che lo interessano.

 

La Scuola nel Vigneto, premiati in presenza gli studenti vincitori dell’edizione 2019/20

Negrar di Valpolicella (VR), 16 luglio 2021

Dopo la proclamazione degli studenti vincitori avvenuta per lettera, causa la pandemia, a dicembre 2020, con la fine dell’anno scolastico a giugno scorso sono stati finalmente consegnati in presenza, seguendo sempre le norme anti-Covid, i diplomi di partecipazione ai 40 alunni dell’Istituto Comprensivo di Negrarche hanno partecipato all’edizione 2019/20 de “La Scuola nel Vigneto”. Il progetto didattico sociale, ideato e promosso dal 2012 da Cantina Valpolicella Negrar in collaborazione con la scuola a indirizzo musicale E. Salgari, il patrocinio di Comune di Negrar, Ordine degli Architetti di Verona e il sostegno di Valpolicella Benaco Banca, ha coinvolto in otto edizioni 800 studenti. 

Renzo Bighignoli e Marina Valenti, rispettivamente presidente di Cantina Valpolicella Negrar e responsabile del progetto per la cantina, insieme alla preside dell’istituto scolastico Angela Surace, hanno consegnato anche i premi – un kit da disegno ciascuno più un tablet alla prima classificata – al podio vincitore del concorso artistico “Il paesaggio della Valpolicella: particolarità e particolari organizzato in seno al progetto. Insieme alla prima classificata Sofia Piovesan (II D), che ha realizzato la sua opera con la tecnica del mosaico, sono state premiati Sofia Coato (secondo posto) e Alessando Nicolis (terzo posto), entrambi della classe II B. Il tema proposto per l’Etichetta dell’anno 2019/20era stato “Colori e suoni del territorio, per cui il paesaggio sonoro è stato il protagonista delle opere presentate dai ragazzi, che hanno colto e rappresentato con originalità e creatività inedite connessioni con la natura, aspetti del paesaggio legati a memorie personali, la poesia della flora e della fauna insieme ai rumori delle più diverse attività agricole e tradizionali. I lavori degli studenti erano stati selezionati dalla commissione artistica, presieduta da Anna Lonardi (Grafical di Marano di Valpolicella) e composta dall’artista Agron Hoti, dalla grafic designer Ilaria Bontempo, dal fotografo e artista Marco Ambrosi, da Paola Ravanello (Ordine Architetti di Verona), dal grafico Emanuele Gipponi (Duemaninonbastano di Milano) e da Stefano Pistoni (Business Development Manager di UPM Raflatac).


Spesso attraversiamo o viviamo in un luogo senza vederlo, con “La Scuola nel Vigneto” intendiamo coinvolgere le giovani generazioni per favorire in loro una maggior consapevolezza e attenzione insieme all’osservazione e all’ascolto e quindi più in generale la conoscenza del paesaggio in cui vivono con le sue tradizioni locali”, ha commentato Bighignoli durante la premiazione, aggiungendo che, appena le condizioni pandemiche lo consentiranno, sarà presentata la finalità sociale di questa edizione, il cd Vite, inciso dall’Orchestra multiculturale Mosaika e che comprende un insieme dibrani di musica medievale e rinascimentale, reinterpretati in chiave contemporanea, in parte legati al vino e alla cultura veneta, uno dei quali completamente eseguito dagli studenti dell’I.C. di Negrar.

La guerra al biodinamico

 Ecco cosa si cela dietro la crociata della senatrice Elena Cattaneo a difesa di interessi indifendibili dell’apparato transnazionale agrochimico

Nell’ambito del dibattito in corso sull’agricoltura biodinamica, ha destato molto scalpore l’intervento della senatrice Elena Cattaneo pronta a riaprire i tribunali dell’inquisizione con tanto di clichet seicenteschi inneggianti alla stregoneria, all’alchimia e all’esoteria. 

Una narrazione pittoresca che ha però avuto il merito di destare l’attenzione su alcuni aspetti specifici della biodinamica. Quali sono le basi scientifiche su cui poggiano la ricerca e la pratica biodinamica? Quali sono gli interessi economici delle lobby dell’agribusiness che aizzano i nostri politici contro il biologico e il biodinamico nonostante le chiare indicazioni provenienti dai mercati e dalla Commissione europea? Cosa è più dannoso per ambiente e salute umana, un preparato naturale biodinamico o un erbicida chimico come il glifosato, strenuamente difeso proprio dalla senatrice Cattaneo, nonostante lo IARC lo abbia definito come “probabile cancerogeno”?

Abbiamo intervistato Alessandro Piccolo, professore di Chimica agraria ed ecologia presso l’università Federico II di Napoli, considerato uno dei massimi esperti internazionali in materia. Il professor Piccolo è stato insignito del premio per la chimica dalla prestigiosa fondazione tedesca Alexander von Humboldt per le ricerche sulla chimica dell’Humus, è fra i fondatori della Società Italiana di Scienze Biodinamiche (SISB) ed è Chief Editor della rivista”Chemical and Biological Technologies in Agriculture”.

Professor Piccolo, cosa risponde a chi accusa la biodinamica di non avere basi scientifiche ma essere piuttosto assimilabile alla stregoneria?

È sorprendente constatare che illustri scienziati italiani debbano ricorrere a termini così anacronistici per attaccare il settore. Le pratiche biodinamiche sono sì legate a conoscenze ancestrali sulla trasformazione della sostanza organica naturale, ma hanno dato un riscontro obiettivo in quanto migliorano la qualità dei suoli agricoli e quella dei relativi prodotti agroalimentari. Ci troviamo di fronte ad un nuovo sistema emergente che richiede di oltrepassare i limiti dello scientismo riduzionistico corrente e di sviluppare un approccio scientifico olistico da applicare a sistemi complessi multifasici, come quello agrario. Invece di invocare una nuova caccia alle streghe, si dovrebbero ricordare di essere scienziati e sostenere la ricerca innovativa invece di ostacolarla.

Cosa mi risponde se le dico la parola cornoletame?

Si tratta di un processo naturale di biotrasformazione di diversi materiali biologici in humus. Gli involucri in cui racchiudere i preparati biodinamici affinché umifichino, cioè affinché le biomolecole presenti nel letame e nelle essenze vegetali si trasformino in un insieme supramolecolare di nuovi metaboliti altamente bioattivi, hanno il ruolo di limitare la diffusione dell’ossigeno, esattamente come negli insaccati così comuni sulle tavole italiane. L’humus del preparato 500, il famigerato e malamente denominato “cornoletame”, è quindi un humus compostato da batteri e ricco di metaboliti altamente bioattivi che, sciolto/sospeso in acqua e distribuito ai suoli in quantità minime (200-400 g per ettaro), stimola il microbioma del suolo rizosferico e innesca la produzione di altri metaboliti microbici che attivano la fisiologia e biochimica delle piante. I preparati umificati usati in biodinamica non hanno alcuna pericolosità per l’ambiente e la salute umana, a differenza degli agrofarmaci industriali di sintesi che sono così a cuore alla senatrice Cattaneo. Invece di gridare alla stregoneria, gli urlanti detrattori della biodinamica avrebbero facilmente trovato delle risposte scientifiche documentandosi sul processo di compostaggio, una vera e propria biotecnologia naturale, non un’alchimia esoterica.

Quali sono i costi di questi preparati? Non sarà che tutta la polemica possa essere anche letta alla luce dei costi maggiori dei preparati industriali? Ci sono forse conflitti di interesse in questa storia?

I costi dei preparati biodinamici sono molto contenuti e assolutamente non paragonabili a quelli dei prodotti agrochimici dell’agricoltura industriale, quali i pesticidi e fertilizzanti inorganici. Necessitano di materiali naturali facilmente reperibili (letame ed essenze floreali) e la loro trasformazione procede con una biotecnologia naturale che non ha bisogno di investimenti in capitali fissi. La loro produzione può facilmente avvenire nell’azienda biodinamica stessa. Tuttavia, vi sono delle aziende specializzate che producono tutta la gamma dei prodotti biodinamici a costi non elevati. Le produzioni delle 4500 aziende biodinamiche certificate in Italia sono molte: dall’ortofrutta, ai settori viticoli-enologici ed olivicoli-oleari. La minore resa produttiva è ben compensata sia dai maggiori ricavi dovuti alla migliore qualità e conseguente commerciabilità dei prodotti, sia dai risparmi ottenuti grazie alla sostituzione di pesticidi e fertilizzanti industriali con l’uso di humus biodinamico. Il successo economico dell’approccio biodinamico è misurato dalla continua crescita del numero di aziende che vi si convertono. I preparati biodinamici rendono la produzione dell’azienda indipendente dalla maggior parte dei prodotti agrochimici industriali. Questa situazione può non piacere all’industria chimica meno progressiva, che tenta di ritardare la transizione agroecologica dell’agricoltura italiana ed europea, ed alle lobbies scientifiche, che hanno costruito il proprio status sulla base delle commesse di ricerca delle multinazionali agrochimiche.

Qual è la situazione legislativa in Italia e in Europa? Il biodinamico può rappresentare  un’opportunità per il paese?

I preparati biodinamici sono autorizzati già da tempo, all’interno dell’agricoltura biologica, dalla legislazione europea che l’Italia ha recepito concedendo l’autorizzazione all’uso come concimi da parte di una commissione composta da tre ministeri diversi. Poiché le sfide del Green Deal europeo imporranno lo spostamento di parte dei finanziamenti dalle produzioni convenzionali a quelle biologiche, è cominciato il fuoco di sbarramento con accuse ridicole di stregoneria. In questo modo sperano di bloccare l’allargamento alla biodinamica del finanziamento di ricerca in agricoltura ed accrescere quella del settore agrochimico industriale dannoso all’ambiente ed alla salute umana (vedi glifosato). Tuttavia, comparti industriali come Assofertilizzanti di Federchimica, si stanno già riposizionando, dichiarando il loro impegno nel settore dei biostimolanti di origine bio-organica, che promette entro il 2025 un mercato raddoppiato di valore, già oggi pari a 2,6 miliardi di dollari. Ho fiducia perciò che, nonostante il polverone pregiudiziale sollevato dai soliti noti, l’Italia non defletterà dall’incentivare le pratiche agroecologiche e la ricerca collegata, innalzando ancora di più la qualità dei prodotti agroalimentari nazionali e la loro penetrazione sugli esigenti mercati nord-europei.

Professore, qual è la proposta della biodinamica per un futuro sostenibile?

La biodinamica sostiene un’agricoltura ecologica in cui la produzione agraria ha come obiettivo l’incremento non della quantità ma della qualità dei prodotti, il rispetto dell’ambiente e della salute umana, e l’armonia della comunità civile. Questo significa produrre con maggiore efficienza e minore impatto ambientale, ridurre la distanza tra luoghi di produzione e consumo, adottare diete più salutari, e favorire la ridistribuzione del cibo, per dare ad ognuno alimenti a sufficienza e di buona qualità. L’agroecologia, paradigma emergente delle agricolture biologiche, è il sistema più promettente per avviare l’ecosistema agrario alla piena sostenibilità. Agroecologia significa utilizzare pratiche che valorizzano e proteggono le risorse naturali e la biodiversità e le sinergie tra microrganismi, piante e animali, riducendo fortemente gli input esterni industriali ottenendo al contempo produzioni stabili e di elevata qualità. L’agricoltura biodinamica mette in pratica tutto ciò e diventa un pilastro del concetto di economia circolare. 

Pubblicato su L’Extraterrestre, il manifesto