Attilio Scienza sul climate change: “Agricoltori preparati, va educato il consumatore”

 

I cambiamenti climatici, la percezione del consumatore, la genetica e il rapporto con i disciplinari di Doc e Igt, ma anche la ricerca e il biologico. Sono i principali temi che il professor Attilio Scienza (in foto), ordinario di Viticoltura all’Università di Milano, direttore scientifico di Vinitaly International Academy e “guru” del settore affronta nell’intervista con l’Ufficio stampa di Vinitaly.

Professor Scienza, indiscutibilmente i dati segnalano che il clima sta cambiando. Deve cambiare anche il modo di allevare la vite? 
“Il cambiamento è già avvenuto e continuerà ad avvenire. Ma non sottovalutiamo che il viticoltore viene da una tradizione di adattamento al clima veramente secolare. Inoltre, cambiamenti climatici che noi adesso stiamo subendo non sono così rari nella storia della viticoltura europea. Per cui, le scelte di tipo genetico, ambientale e colturale sono il risultato di un lunghissimo cammino adattativo. I nostri viticoltori sanno molto bene che devono piantare le viti più larghe, che devono usare portainnesti più tolleranti alla siccità, sanno che devono fare in modo che le chiome proteggano di più i grappoli per evitare l’eccesso di irradiazione, sanno come concimare e così via”.

Ormai l’adattamento esiste… 
“Sì. L’unico problema è relativo ai fenomeni di delocalizzazione, che significa cioè spostare la viticoltura dalle zone antiche di tradizione a zone che hanno un profilo climatico più favorevole. Ma penso che non sia un grande problema. Curiosamente soffre di più il climate change il Nord che il Sud. Uno potrebbe pensare che le sofferenze sono maggiori nelle zone più calde, che al contrario hanno avuto più tempo per adattarsi. Il salto termico è molto minore al Sud che non al Nord”.

Quale sarà la conseguenza dei cambiamenti climatici sui vitigni, sulle uve e, di conseguenza, anche sul vino? Cambierà la percezione del consumatore rispetto al prodotto?
“La prima cosa da fare è spiegare al consumatore che le cose stanno cambiando. Prima di preparare un vino per il cambiamento è meglio fare in modo che chi deve bere il vino sia disposto al cambiamento. Il problema è, semmai, quello di fare in modo che i vini siano il più possibile vicini ai vini del passato. Non possiamo noi rivoluzionare, anche se purtroppo il livello di alcol sarà più alto, l’acidità sarà più difficile da controllare, i tannini molto spesso saranno meno morbidi e così via. Poi ci aiuta la tecnica enologica, grandissimo strumento di adattamento al fenomeno.
Un ruolo importante in futuro l’avranno certamente le varietà, cioè i vitigni che noi coltiviamo in molte zone dovranno un po’ alla volta cambiare. Non sarà semplice, ma bisogna farlo, perché è sempre stato il metro col quale l’uomo si è adattato ai cambiamenti climatici. Il vitigno è stato lo strumento più efficace per adattarsi al cambiamento”.

La ricerca genetica può aiutare? E come coniugare l’utilizzo di nuovi vitigni con la storicità o i disciplinari di Doc e Igt?
“Quello è uno dei problemi. Noi abbiamo delle strutture piuttosto rigide e ogni disciplinare ha una determinata composizione varietale, che non si può modificare più di tanto. Possiamo però modificare la normativa delle Igt, che è uno strumento molto più flessibile per adattare le varietà al cambiamento climatico”.

Come?
“L’Igt è un banco di prova. Quando noi abbiamo verificato come si può trattare con un nuovo vitigno, poi possiamo passare alla Doc, ma intanto l’Igt ci consente di sperimentare. In Lessinia con Aldo Lorenzoni stiamo seguendo alcune vecchie varietà, in questi anni abbandonate, perché non maturavano bene, erano coltivate in alto e adesso ci siamo accorti che sarebbero ideali per poter reagire al cambiamento climatico, avendo acidità più elevate, una maggiore stabilità e colore e potenza sensoriale. Potrebbero essere strumento per creare nuove varietà attraverso l’incrocio”.

Il biologico si sta diffondendo sempre di più. Sul piano della resilienza ai cambiamenti climatici ha qualche differenza rispetto al modello convenzionale? 
“Non è facile distinguere. L’unico problema che si può avere con il biologico è che di solito abbiamo delle piogge più irregolari e meno prevedibili. Quindi l’intervento di trattamenti con il rame è molto più frequente. Nella lotta integrata o convenzionale abbiamo strumenti più efficaci, magari tempi dio copertura. Con il rame, se piove, devo ritrattare. Quello è l’unico problema”.

tratto da: https://www.vinitaly.com/it/archivio-news/world-wine-news/attilioscienza-climatechange/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=nl