Nuovo presidente e nuovi consiglieri per l’Associazione per la promozione e la tutela della pecora Brogna, l’ultima razza ovina originaria della Lessinia. Il 24 giugno scorso i 49 soci – tra cui 33 allevatori, ristoratori, artigiani, macellai, tecnici agrari e medici veterinari distribuiti tra le province di Verona, Vicenza, Padova, Mantova e una magliaia di Torino – si sono riuniti e hanno nominato il direttivo per il triennio 2021-2023.
«L’associazione per la promozione e la tutela della pecora Brogna nasce nel maggio 2012, riunendo allevatori, tecnici del settore, ristoratori e trasformatori, con lo scopo di evitare l’estinzione di una razza autoctona, patrimonio di biodiversità culturale della Lessinia. – spiega Ferrarini – Il suo intento è quello di promuovere la valorizzazione dei prodotti ottenuti da questo prezioso animale, per consentire agli allevatori di continuare a presidiare il territorio, ritornando a dare così a questa zootecnia di montagna quel ruolo fondamentale di custode dell’ambiente che già ricopre da centinaia di anni e che è stato certificato recentemente anche dal Ministero delle Politiche agricole e forestali con l’inserimento degli Alti Pascoli della Lessinia nel Registro dei Paesaggi rurali di interesse storico».
«L’associazione ha anche l’obiettivo di creare e diversificare le potenzialità della pecora Brogna, ad esempio individuando e seguendo le filiere di latte, carne e lana. Proprio parlando di lana, siamo arrivati all’ottavo anno consecutivo di raccolta» sottolinea la neo presidente, che da poco ha aperto un laboratorio di tintura naturale della lana di pecora Brogna e alpaca, con vendita di prodotti filati e lavorati, a Molina, piccolo centro montano nel Comune di Fumane.
«Quello su cui cercheremo di puntare in particolare nel prossimo triennio è la capitalizzazione di un riconoscimento importante che abbiamo ottenuto lo scorso dicembre, ovvero l’ingresso della Pecora Brogna nell’elenco dei Presidi Slow Food. Un terzo riconoscimento per le tipicità del territorio della Lessinia (le altre due sono Monte Veronese di malga e Pero misso) che ci consente di salvaguardare ulteriormente un patrimonio della biodiversità che fino a pochi anni fa era a rischio estinzione» conclude Cristina Ferrarini.