Devono aver speso quantità grossolane di carburante per portare quelle pere dall'Argentina in Tailandia e dalla Tailandia al tuo negozio Due viaggi in tutto il mondo per mangiare una pera? E il danno non finisce lì! In quale parte del mondo finirà quella cosmopolita confezione di plastica vuota una volta che avrai finito?
Dalle pagine AIAB: Come si coltiva biologico
Le coltivazioni
L’agricoltura biologica è un metodo di produzione che hai i suoi principi di base nella cura della fertilità del suolo e nell’equilibrio dell’ambiente in cui si coltiva. Non è quindi la sostituzione di concimi, diserbanti, anticrittogamici, insetticidi e pesticidi in genere, con quanto ammesso dal regolamento europeo, ma la corretta applicazione dei principi di agro ecologia, avendo come obbiettivo quello di aumentare la biodiversità nel suolo e nel soprassuolo per la ricerca dell’equilibrio nutrizionale e ambientale.
Le principali azioni su cui si basa sono:
- migliorare e incrementare la fertilità organica – tramite l’uso di fertilizzanti organici compostati, la pratica del sovescio, l’interramento dei residui colturali è l’inserimento in ampie rotazioni di colture leguminose, al fine di aumentare quantità e qualità della sostanza organica del suolo. Per sostenere le rese e migliorare la qualità delle produzioni, è possibile fare ricorso all’elenco dei fertilizzanti ammessi dal regolamento;
- rotazione o avvicendamento delle colture – è la chiave inderogabile per la riuscita delle coltivazioni erbacee e orticole. Un decreto del Ministero indica che: tra una coltura e il suo ritorno sullo stesso terreno, ci sia la coltivazione di almeno due cicli di colture diverse, di cui almeno uno composto da leguminose o da un sovescio. Questo va considerato il limite minimo certificabile, sarebbe opportuno diversificare quanto possibile la tipologia di colture, anche per favorire la biodiversità aziendale. La rotazione è poi il principale elemento di controllo delle infestanti integrato da azioni meccaniche e di contenimento e prevenzione verso patologie e parassiti;
- la scelta varietale – ad oggi la ricerca ha prodotto e testato pochissime varietà specifiche per il biologico; è quindi utile basarsi sulle conoscenze tecniche e sull’esperienza di produttori biologici della propria zona, per orientarsi verso varietà che abbiano dimostrato adattabilità al territorio, capacità di competizione con le infestanti e resistenza alle principali avversità. Questa attenzione è oltremodo valida per i nuovi impianti di fruttiferi e colture arboree in genere;
- creazione di siepi e alberature – utili non solo a migliorare il paesaggio ma ad aumentare la biodiversità, quindi la protezione delle colture, dando ospitalità ai predatori naturali dei parassiti e agendo anche da barriera fisica a possibili i
nquinanti esterni; - la consociazione – non rivoltando il terreno oltre i 25/30 cm e garantendo la rottura degli strati più profondi con attrezzi discissori, cercando sempre di proteggere il suolo, favorendone la stabilità con idonee sistemazioni idrauliche e applicando, ove possibile e soprattutto negli arboreti la copertura vegetale.
L’applicazione sistematica di queste tecniche contribuisce a creare equilibrio nell’azienda; qualora, comunque, si rendesse necessario intervenire per la difesa delle coltivazioni da parassiti e altre avversità, l’agricoltore può fare ricorso ai prodotti ammessi dal Regolamento europeo, elencati negli allegati con il criterio della cosiddetta “lista positiva”.
Gli allevamenti
I criteri per l’allevamento biologico sono definiti dall’Unione Europea all’interno del Regolamento per l’agricoltura biologica. Anche in questo caso concepire la gestione della mandria sostituendo alimenti e trattamenti convenzionali con quanto ammesso in bio, non può funzionare. L’allevamento con metodo biologico è strettamente legato alla terra. Il numero dei capi allevabili è in relazione con la superficie disponibile, non superando mai il parametro della 2 UBA per ettaro. Inoltre è necessario consentire.
I Principi generali per garantire il massimo di benessere, prevedono che sia consentito agli animali di esprimere il loro comportamento naturale, limitando ogni forma di allevamento intensivo e prevedendo che gli animali possano godere di spazi minimi definiti nel regolamento, avere libertà di movimento all’interno della stalla e accesso libero all’esterno. Inoltre un’alimentazione equilibrata e cure veterinarie basate sull’omeopatia e la fitoterapia.
- scelta delle razze – le razze più adatte sono quelle ad elevata rusticità con caratteristiche di vitalità e resistenza alle malattie, da cui ne consegue la riduzione di interventi curativi. Purtroppo questo principio è messo in discussione dai criteri di allevamento applicati in Italia dagli anni settanta, che hanno sostituito razze autoctone con razze selezionate, ipoteticamente più produttive, ma anche più sensibili ad alcune patologie. Ciò non toglie che in molti casi sia possibile allevare razze già esistenti in azienda con problemi direttamente proporzionali all’intensività adottata. Per costituire o incrementare la mandria è possibile anche introdurre in un azienda biologica animali provenienti da allevamenti convenzionali con alcune restrizioni a seconda delle condizioni, sapendo che al momento è molto scarsa la disponibilità di animali da vita provenienti da aziende biologiche. In ogni caso gli animali introdotti sono allevati secondo il metodo biologico dal primo giorno di inserimento nell’allevamento.
- Alimentazione – l’allevamento biologico è estensivo e ha la sua massima efficienza quando gli animali riescono a trovare direttamente una parte del loro fabbisogno per una dieta bilanciata in accordo con le necessità nutrizionali degli animali. Tuttavia la normativa prevede regole precise anche per gli allevamenti a stabulazione semilibera. Tra queste: gli alimenti devono provenire da agricoltura biologica con prevalenza di prodotti in azienda. Sono utilizzabili anche alimenti in conversione e nell’impossibilità di completare la razione per documentata assenza di prodotto biologico, è ammesso il ricorso ad alimenti convenzionali purché non OGM, fino al limite massimo del 10 % per i ruminanti e del 20% per i monogastrici. I ruminanti, nella razione media annua devono avere un rapporto tra fieno e concentrati di 60 a 40. Per gli avicoli l cereali devono essere non meno del 60% della razione
Non possono essere utilizzati promotori di crescita, conservanti, coloranti, urea, sottoprodotti animali, alimenti trattati chimicamente o addizionati con altri agenti chimici, prodotti OGM, vitamine sintetiche. - Ricoveri – nella progettazione o adeguamento delle strutture adibite a ricovero degli animali, il principio guida è ancora una volta il benessere in termini di spazi e condizioni di vita. I locali devono essere luminosi e areati affinché la concentrazione di gas, l’umidità e le polveri siano mantenuti ben sotto il livello di nocività. Tranne in caso di libero accesso al pascolo per periodi duraturi, i ricoveri devono essere dotati di spazi esterni a cui gli animali devono poter accedere liberamente. Gli spazi minimi che devono essere garantiti all’interno delle stalle, nei parchetti esterni o nei paddock, sono stabiliti in metri 2 per capo e definiti nell’allegato III del Regolamento per ogni specie.
- Cure veterinarie – le caratteristiche dell’allevamento biologico, la scelta delle razze, l’ambiente ed il modo in cui sono allevati gli animali sono il primo fattore di prevenzione di malattie e disturbi metabolici.
L’equilibrio alimentare per evitare forzature produttiva, la mobilità e il pascolo, la bassa intensità di allevamento nelle strutture, sono infatti fattori di equilibrio alla base del benessere animale, che è il principio guida dell’allevamento biologico. In caso di malattia è possibile intervenire con trattamenti con prodotti fitoterapici, omeopatici, a base di oligoelementi e tutti i prodotti elencati all’allegato V, parte 3, e all’allegato VI, parte 1.1 del regolamento.
Qualora i prodotti fitoterapici, omeopatici e gli altri prodotti non risultassero efficaci e qualora la cura sia essenziale per evitare sofferenze o disagi all’animale, è possibile utilizzare i medicinali veterinari allopatici di sintesi chimica, compresi gli antibiotici. Il trattamento con medicinali allopatici può protrarsi per un massimo di tre cicli di trattamento in un anno, mentre per gli animali con vita produttiva inferiore all’anno i cicli si riducono ad uno solo. Il tempo di sospensione raddoppia e l’animale ricomincia la conversione. E’ possibile praticare la fecondazione artificiale ma sono vietati il trapianto degli embrioni e l’uso di ormoni per regolare l’ovulazione.
Sviluppo rurale 2014-2020: un bando a sostegno dei giovani agricoltori
Dalla Regione del Veneto contributi per favorire il ricambio generazionale e gli investimenti nel settore
- 6.1.1 – Insediamento di giovani agricoltori, con un premio di 40.000 euro per i giovani che si insediano per la prima volta in un’azienda agricola in qualità di capo dell’azienda e che si impegnano a rispettare determinati impegni, tra cui:
- iniziare l’attuazione del piano aziendale dopo la presentazione della domanda di aiuto e, comunque, entro 9 mesi dalla data di pubblicazione del decreto di concessione sul BURV non deve variare la superficie e la struttura iniziale dell’azienda se non previsto nel piano aziendale;
- diventare “agricoltore attivo” entro 18 mesi dalla data di insediamento, pena la revoca degli aiuti concessi;
- acquisire, entro 36 mesi dalla data di pubblicazione del decreto di concessione sul BURV, la qualifica di imprenditore agricolo professionale. - 4.1.1 – Investimenti per migliorare la prestazione e la sostenibilità globali dell’azienda (Pacchetto Giovani), per i giovani agricoltori beneficiari del premio di primo insediamento che vogliono realizzare determinati interventi, tra cui la costruzione di fabbricati per la produzione, investimenti per l’eliminazione e sostituzione dell’amianto, l’acquisto di macchine e attrezzature per la riduzione dell’impatto ambientale, il miglioramento del benessere animale e la conservazione del suolo, spese generali previste dagli Indirizzi procedurali generali (ad eccezione dei costi per gli studi di fattibilità).
- 6.4.1 – Creazione e sviluppo della diversificazione delle imprese agricole (Pacchetto Giovani), per i giovani agricoltori beneficiari del premio di primo insediamento che vogliono realizzare attività di trasformazione di prodotti, fattoria sociale o didattica, ospitalità agrituristica in alloggi o in spazi aziendali aperti quali agri-campeggi, servizi ambientali svolti dall’impresa agricola per la cura e manutenzione di spazi non agricoli.
- 2.1.1 - Utilizzo dei servizi di consulenza da parte delle aziende, per gli organismi prestatori di servizi di consulenza pubblici o privati che vogliono sviluppare progetti di consulenza alle imprese del settore agricolo in almeno uno dei 15 Ambiti di consulenza previsti dal Programma di Sviluppo Rurale, articolati nei Percorsi di consulenza indicati nel bando.
Gli importi degli aiuti e le aliquote variano a seconda della tipologia degli investimenti, delle zone di operatività (montane e non) e dalle spese ritenute ammissibili.
Le domande di aiuto possono essere presentate entro l’8 maggio 2021 all’Agenzia Veneta per i pagamenti, www.avepa.it, secondo le modalità previste dagli “Indirizzi Procedurali Generali” e dai Manuali AVEPA.
Per maggiori informazioni è possibile consultare i bandi pubblicati sul Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto, bur.regione.veneto.it.
- Fonte: Regione del Veneto
Senza agroecologia non c’è transizione ecologica. Basta con gli incentivi ambientalmente dannosi
L’Europa punta decisamente sul biologico ma fino ad oggi le sovvenzioni sono andate quasi interamente all’agricoltura convenzionale. E in Italia la quota ‘green’ è ancora più bassa, in relazione alla superficie destinata al bio nel nostro Paese. La contraddizione tra intenzioni e realtà è emersa in modo evidente nelle dichiarazioni del Commissario UE all’agricoltura Janusz Wojciechowski che, presentando il Piano d’Azione europeo per il biologico 2021-2027, ha spiegato che solo l’1,8% dei fondi della PAC (la Politica agricola comune) è andata a sostenere la produzione biologica, affermando che tale quota per il futuro dovrà essere aumentata. Il bio europeo copre circa l’8% delle superficie agricola. In Italia, dove i campi ‘pesticidi free’ arrivano a quasi il doppio della media UE (15,8%), la percentuale di fondi della PAC destinata al bio è del 2,3%. In termini relativi, dunque, ancora più bassa di quella della media dei Paesi UE.
Ma siamo di fronte a una svolta nelle politiche europee, a cominciare dalle Strategie Farm to Fork e Biodiversità, che hanno fissato al 2030 un target del 25% di superficie bio, triplicando così la media europea, oltre a un taglio del 50% sia dei pesticidi nei campi che degli antibiotici negli allevamenti zootecnici. L’Europa ha già messo in campo il Piano d’Azione Europeo per il bio, che punta ad incrementare sia la produzione che la domanda, prevedendo il 30% delle risorse per la promozione dell’agroalimentare al settore bio, l’integrazione dei prodotti bio nei criteri minimi obbligatori per gli appalti sostenibili e la destinazione del 30% dei fondi previsti per agricoltura e zone rurali da Horizon Europe 2021-2027, il programma europeo di ricerca e innovazione.
È proprio per mettere l’accento sulla necessità di una ulteriore svolta verso l’agroecologia e le produzioni biologiche anche a livello nazionale che Cambia la terra – il progetto voluto da FederBio assieme a Legambiente, Lipu, Medici per l’Ambiente, Slow Food e WWF e sostenuto da alcune importanti aziende del settore – ha elaborato un Quaderno che spiega quali sono le ragioni per chiedere maggiore coraggio ai decisori pubblici, affinché la transizione ecologica sia anche una transizione biologica.
Il Quaderno di Cambia la Terra è stato presentato oggi, con la partecipazione del vicedirettore generale FAO Maurizio Martina, da Maria Grazia Mammuccini, presidente di FederBio; Claudio Celada (Lipu); Lorenzo Ciccarese (ISPRA) Angelo Gentili (Legambiente); Patrizia Gentilini (ISDE-Medici per l’Ambiente); Isabella Pratesi (WWF Italia); Francesco Sottile (Slow Food). Il dibattito è moderato dal giornalista Antonio Cianciullo.
“I segnali per una svolta a livello nazionale – ha dichiarato Maria Grazia Mammuccini, presidente di FederBio – ancora non si vedono. Il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), lo strumento più importante per lo sviluppo sostenibile, mostra una scarsa attenzione all’agricoltura e ancor più scarsa all’agroecologia, senza prevedere nessun investimento per l’agricoltura biologica, allontanandosi così dalle recenti politiche green dell’Europa. È indispensabile colmare queste lacune sul biologico e sull’agroecologia anche per non perdere la leadership di un settore in grande espansione. È fondamentale poi che il Piano Strategico Nazionale della PAC 2023-2027 individui obiettivi strategici di crescita del bio, con gli interventi concreti per raggiungerli, sia in termini di sostegno alla conversione e al mantenimento del bio, che per le attività finalizzate all’aumento della domanda di alimenti biologici”.
La transizione ecologica ha nell’agroecologia un caposaldo, come sancisce l’Europa con il Green Deal. Ma a livello nazionale, dunque, mancano ancora gli strumenti per realizzarla. “Quello che chiediamo ai decisori politici è di non sprecare l’occasione che abbiamo, con il Recovery Fund e la nuova PAC, per disporre delle risorse necessarie per un salto di qualità reale verso un’agricoltura che tuteli il benessere dell’ambiente, degli animali e delle persone. Una scelta ancor più necessaria dopo questo drammatico biennio Covid – conclude Mammuccini – in cui si è dimostrato come l’agricoltura sostenibile sia un elemento strategico non solo dello sviluppo ma anche della stessa sopravvivenza di un mercato alimentare”.
Il nostro Paese potrebbe quindi giocare un ruolo da protagonista nello sviluppo dell’agroecologia sia a livello europeo che mondiale e dare un contributo strategico per definire un nuovo modello agricolo, alimentare e territoriale che, anche a partire dal G20 a Presidenza italiana, possa caratterizzarsi per un approccio ecologico su cui costruire il futuro dell’economia agricola, alimentare e territoriale. Infatti, oltre ad avere una percentuale di superficie agricola destinata al bio pari a quasi il doppio rispetto alla media europea, ci sono oltre 80.000 imprese che operano nel comparto. Il reddito delle aziende bio è superiore del 15% rispetto a quello delle aziende convenzionali (fonte: Bioreport Crea) e con ricadute sociali migliori, considerato che la componente lavoro incide per oltre il 50% in più rispetto al convenzionale. E le conseguenze virtuose del bio sull’ambiente, in termini di maggiore biodiversità e minore inquinamento sono inequivocabili: basti pensare che ogni ettaro di suolo coltivato con metodi biologici è in grado di immagazzinare ogni anno fino a mezza tonnellata di carbonio, sottraendolo dall’atmosfera.
Per questo le realtà del bio e le associazioni ambientaliste di Cambia la Terra chiedono un’inversione di rotta, urgente e sempre più necessaria, anche nell’imminenza della scadenza della consegna del PNRR: l’integrazione tra natura e produzioni agricole e zootecniche è la chiave di volta per una vera transizione ecologica dell’agricoltura.
Le richieste che vengono rivolte ai decisori politici sono in particolare:
• l’approvazione della legge sul biologico, che si attende da dieci anni e comprende tra l’altro la definizione di un marchio del biologico italiano;
• il Piano Strategico Nazionale della PAC 2023-2027 che individui obiettivi strategici di crescita del bio, con gli interventi concreti per raggiungerli (sostegno alla conversione e al mantenimento del bio, attività finalizzate all’aumento della domanda);
• un piano strategico per la ricerca e l’innovazione;
• rinnovo del Piano di Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, scaduto da 3 anni e ormai “invecchiato” rispetto agli obiettivi della Strategia Farm to Fork;
• cancellazione dei sussidi perversi ai pesticidi che oggi godono di un’IVA agevolata al 10% (come proposto in un emendamento alla legge di bilancio 2021); • riduzione dell’Iva ai produttori biologici, che con il loro lavoro regalano benefici alla comunità in cui vivono, e credito d’imposta per i costi legati alla certificazione delle aziende che possa aiutare a contenere i costi e dunque i prezzi;
• innovazione digitale per garantire maggiore trasparenza alla filiera anche attraverso il sistema blockchain.
QUI è possibile scaricare la sintesi e il testo integrale del Quaderno di Cambia la Terra, che è stato elaborato da: Renata Alleva (nutrizionista, Isde); Lorenzo Ciccarese (Ispra); Damiano Di Simine (Legambiente); Franco Ferroni (WWF); Goffredo Galeazzi (giornalista, Cambia la Terra); Federica Luoni (Lipu); Maria Grazia Mammuccini (FederBio); Patrizia Gentilini (oncologa, Isde); Francesco Sottile (Slow Food). A cura di Silverback-Greening the Communication.
Ufficio Stampa Cambia la Terra
SENTIERI NEL BALDO: PERCORSI TRA ARTE, NATURA E TERRITORIO NELLA VALLE DEL TASSO E DINTORNI: ultimo appuntamento
Ultimo appuntamento del ciclo formativo di incontri: martedì 27 aprile 2021 ore 20:30
Siamo arrivati all'ultimo incontro, focalizzato su SENTIERI NELL'ARTE: LO SVILUPPO DI UN'IDEA, a cura della Prof.ssa Nadia Melotti, docente di Storia dell'Arte e curatrice del percorso espositivo di opere d’arte a basso impatto ambientale ispirate dalla natura e connaturate all’ambiente nella valle del Tasso, giunto alla 10° edizione.
Sarà l'occasione per prepararsi all'appuntamento dell'estate 2021, con la nuova mostra, e con le numerose attività collaterali in calendario che ci saranno presentate da Annalisa Lonardi, presidente di Baldofestival, l'associazione promotrice del progetto SENTIERI NEL BALDO insieme a Legambiente Circolo il Tasso e Associazione Marchio del Baldo.
Ecco il link per poter accedere all incontro:
Link zoom:
https://zoom.us/j/98319990559?pwd=cU4wdUZZT1llQnFJN0laaUpoOG54UT09
ID riunione: 983 1999 0559
Passcode: 919061
L'impatto dei pesticidi sulle api è raddoppiato in dieci anni
Uno studio condotto negli Usa fra il 1992 e il 2016 dimostra che, nonostante una diminuzione della quantità, gli attuali pesticidi sono ancora più tossici per impollinatori e invertebrati acquatici
L’impatto tossico dei pesticidi sulle api e sugli altri impollinatori è raddoppiato in un decennio nonostante una diminuzione delle quantità utilizzate. I moderni pesticidi presentano una minore tossicità per le persone, i mammiferi selvatici e gli uccelli e vengono irrorati in quantità inferiori. Ma risultano ancora più tossici per api, altri insetti impollinatori e invertebrati acquatici come le libellule. Il danno prodotto dal maggior grado di tossicità supera i benefici ottenuti grazie al ridotto volume di pesticidi. Sono le conclusioni della ricerca “Applied pesticide toxicity shifts toward plants and invertebrates, even in GM” pubblicata a inizio aprile sulla rivista Science.
Cambiano i pesticidi disponibili
Scrivono gli autori dello studio (Ralf Schulz, Sascha Bub, Lara L. Petschick, Sebastian Stehle, Jakob Wolfram) che “nel 1962 fu pubblicato Silent Spring di Rachel Carson e il mondo fu costretto a prendere atto degli impatti involontari dei pesticidi sulla fauna selvatica. Da allora, c’è stata una riduzione della quantità di pesticidi utilizzati e un cambiamento nei tipi di pesticidi disponibili”. La tossicità dei pesticidi adesso colpisce “le piante e gli invertebrati, anche nelle colture Ogm”. Lo studio ha esaminato il tipo, la quantità e la tossicità dei pesticidi negli ultimi 25 anni. E ha scoperto che, nonostante la diminuzione delle quantità totali applicate e la diminuzione dell’impatto sui vertebrati, la tossicità per insetti e invertebrati acquatici, è aumentata in modo sostanziale.
Gli impatti dei pesticidi vengono solitamente analizzati in base alle quantità applicate, ignorando le variazioni ampie ma rilevanti dal punto di vista ambientale nella tossicità specifica delle sostanze. Questo studio invece analizza sistematicamente i cambiamenti nell’uso di 381 pesticidi irrorati negli Stati Uniti dal 1992 al 2016. E considera i valori soglia di tossicità acuta specifici per sostanza. Emerge che la tossicità degli insetticidi applicati agli invertebrati acquatici e agli impollinatori è aumentata considerevolmente, in netto contrasto con la quantità applicata. Inoltre, questo aumento è stato determinato rispettivamente da piretroidi e neonicotinoidi altamente tossici.
L’impatto tossico rimane lo stesso per Ogm
Lo studio sfata poi un altro pilastro della propaganda delle compagnie dell’agrochimica: quello sui benefici degli Ogm. L’impatto tossico dei pesticidi utilizzati sulle colture geneticamente modificate rimane lo stesso delle colture convenzionali. Questo nonostante le affermazioni secondo cui le colture Ogm, in particolare del mais, ridurrebbero la necessità di pesticidi.
“I composti particolarmente tossici per i vertebrati sono stati sostituiti da composti con una minore tossicità per i vertebrati e questo è davvero un successo”. E’ quanto ha affermato, interpellato dal Guardian, Ralf Schulz, dell’Università di Coblenza e Landau in Germania, che ha guidato la ricerca. “Ma allo stesso tempo, i pesticidi sono diventati più specifici e quindi, sfortunatamente, anche più tossici per gli ‘organismi non bersaglio’, come gli impollinatori e gli invertebrati acquatici”. Inoltre “le colture geneticamente modificate sono state introdotte sostenendo che avrebbero ridotto la dipendenza dell’agricoltura dai pesticidi chimici. Questo ovviamente non è vero rispetto ai livelli di tossicità”.
Piretroidi e neonicotinoidi sono più tossici
Lo studio ha evidenziato che la sostituzione di insetticidi organofosforici e carbammati ha ridotto la tossicità totale per mammiferi e uccelli. “Al contrario, la tossicità totale applicata agli invertebrati è notevolmente aumentata dal 2005 circa”, nonostante la quantità di insetticida applicata sia diminuita del 40%. Questo perché i sostituti piretroidi e neonicotinoidi sono più tossici per gli impollinatori e gli invertebrati acquatici.
“I nostri membri continuano a innovare trovando soluzioni che hanno un minore impatto sulla salute umana e sull’ambiente – ha dichiarato Chris Novak, presidente di CropLife America, la lobby che rappresenta le aziende dell’agrochimica – ma le nostre innovazioni devono soddisfare le esigenze di un sistema agricolo dinamico. Ci impegniamo a continuare a lavorare con l’Agenzia Usa per la protezione dell’ambiente (Epa) per applicare la migliore scienza, che bilanci rischi e benefici dell’uso dei pesticidi”.
Insetticidi più tossici del Ddt
Josie Cohen, del Pesticide Action Network UK, ha ricordato che “alcuni insetticidi neonicotinoidi sono 10.000 volte più tossici del Ddt, l’insetticida più famoso della storia. Il governo del Regno Unito ha urgente bisogno di mantenere la sua promessa di migliorare l’attuale sistema di monitoraggio dei pesticidi, tristemente inadeguato, andando oltre la semplice misurazione del peso delle sostanze chimiche”.
Pesticidi: allarme per l’effetto cocktail
I risultati di una ricerca condotta con un sistema di analisi innovativo
Le quantità di ogni singolo pesticida presenti negli alimenti venduti nell’Unione europea sono nei limiti di legge, ma l’effetto cocktail può avere effetti negativi sulla salute. E’ quanto afferma un nuovo studio pubblicato da GMwatch.
Si tratta della prima ricerca che utilizza tecniche analitiche omiche (consentono la produzione di informazioni in numero molto elevato e nello stesso intervallo di tempo). E’ stata effettuata su ratti alimentati con una miscela di pesticidi per 90 giorni. La miscela era composta da sei principi attivi antiparassitari, che sono tra i più frequentemente rilevati ai livelli più alti negli alimenti nell’UE: azossistrobina, boscalid, clorpirifos, glifosato, imidacloprid e tiabendazolo. Ogni singolo pesticida era presente al livello della dose giornaliera accettabile (DGA) nell’Unione europea.
Mentre le misure tossicologiche standard – analisi del consumo di acqua e mangime, peso corporeo, istologia (esame microscopico dei tessuti) e biochimica del sangue – mostravano poca o nessuna evidenza di danno, le analisi omiche hanno rivelato cambiamenti biochimici nell’intestino e nel sangue e cambiamenti nella funzione genica nel fegato che indicavano la possibile insorgenza di danni.
Commentando i risultati, il coordinatore della ricerca, Michael Antoniou del King’s College di Londra, ha affermato: “La nostra ipotesi di partenza, che l’analisi omica può essere utilizzata per identificare i predittori di cattiva salute dopo un periodo relativamente breve di esposizione ai pesticidi, è stata confermata. Ciò suggerisce che è nell’interesse pubblico che le autorità di regolamentazione adottino una profilazione omica approfondita come parte della politica di valutazione del rischio dei pesticidi”.
Il nuovo studio non è stato ancora sottoposto a peer review ma è stato pubblicato sul sito di pre-stampa bioRxiv. È stato condotto da un team internazionale di scienziati con sede nel Regno Unito, in Italia, in Francia e nei Paesi Bassi.
Gli effetti riscontrati in questo studio sono stati osservati per un periodo di 90 giorni, rispetto ai due anni o più presi dai test di sicurezza a lungo termine standard del settore sui pesticidi. “Utilizzando tecniche omiche si possono fare studi relativamente a breve termine con meno animali, il che consente di risparmiare denaro e ha benefici per il benessere degli animali”, ha aggiunto Antoniou.
Ogm: i consumatori chiedono etichette obbligatorie e trasparenti
La stragrande maggioranza degli europei vuole che sia segnalata la presenza di tutti i tipi di Ogm negli alimenti
Più di 8 consumatori europei su 10 vogliono che per gli alimenti contenenti ingredienti Ogm ci sia l’obbligo etichette più trasparenti. E’ il dato più rilevante che emerge da un sondaggio Ipsos commissionato dal Gruppo Verdi/Aledel Parlamento Ue e condotto su un campione di migliaia di consumatori appartenenti a 27 Stati membri.
Sulla necessità di assoluta trasparenza sulla presenza di ogni organismi geneticamente modificati convergono tutti i cittadini europei, pur con alcune differenze. Sono, infatti, favorevoli l’86% degli italiani, il 90% dei bulgari e solo il 63% dei danesi.
Obiettivo del sondaggio è valutare l’atteggiamento dei consumatori europei verso tutte le colture Ogm: sia gli organismi geneticamente modificati “convenzionali” (che comportano il trasferimento genetico tra specie diverse), sia le colture modificate geneticamente (GE, genoma editing) create utilizzando nuove tecniche di ingegneria genetica come il Crispr.
Oggi la normativa europea prevede che gli alimenti Ogm siano etichettati solo se l’ingrediente geneticamente modificato supera la soglia dello 09%. Ma soprattutto sono esenti dall’etichettatura i prodotti provenienti da animali nutriti con colture geneticamente modificate.
Dibattito ancora acceso
Il confronto sugli Ogm si è riacceso dopo la sentenza della Corte di giustizia europea del 2018. Ha stabilito che anche le colture GE rientrano, in linea di principio, nella direttiva Ogm dell’Ue. Una decisione contestata dagli operatori del settore che chiedono di differenziare gli Ogm tradizionali da quelli creati con il genoma editing, lasciandoli fuori dal campo di applicazione dei regolamenti che disciplinano gli organismi geneticamente modificati. Anche sulle regole di etichettatura dunque – secondo gli operatori del settore – sulle nuove tecniche di ingegneria genetica ci dovrebbe essere l’esenzione dalle indicazioni sulle etichette.
Per i Verdi invece anche le colture GE devono seguire le stesse regole. In alternativa, i consumatori sarebbero privati del diritto di sapere come viene prodotto il cibo che comprano. “La Commissione deve rispettare la volontà dei consumatori e garantire l’applicazione delle regole esistenti e l’etichettatura dei prodotti animali che sono stati alimentati con Ogm, compresi i nuovi metodi di ingegneria genetica”, precisa Martin Häusling, portavoce per la politica agricola del gruppo Verdi/Ale. “Chiediamo che le stesse regole per l’autorizzazione e l’etichettatura si applichino a tutti i tipi di organismi geneticamente modificati”.
Che il dibattito non sia del tutto maturo e permangano incertezze lo conferma la decisione dell’esecutivo Ue. Pubblicherà, infatti, nelle prossime settimane – secondo quanto riportato da Euractiv – un rapporto sulle nuove tecniche genomiche.
Per una transizione biologica - Evento di Cambia la terra - Online con Facebook Live - 15 aprile, ore 10:00
Il biologico italiano gode di una posizione di leadership in Europa e nel mondo. L’Italia ha una percentuale di superficie agricola destinata al bio doppia rispetto alla media europea e oltre 80.000 imprese che operano esclusivamente o in parte nel comparto. Le policy europee, a cominciare dalle strategie Farm to Fork e Biodiversità, hanno fissato al 2030 un target del 25% di superficie bio, triplicando così la media europea.


- Maria Grazia Mammuccini, presidente di FederBio
- Maurizio Martina, Vicedirettore generale FAO
- Angelo Gentili, Legambiente
- Claudio Celada, Lipu
- Francesco Sottile, Slow Food
- Isabella Pratesi, WWF Italia
- Lorenzo Ciccarese, ISPRA

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Il percorso a ostacoli di Vinitaly
Gli eventi confermati a giugno
Del Vinitaly cancellato a giugno rimarrà comunque l’evento OperaWine di Wine Spectator, in presenza, dove verranno presentate le top aziende del settore vitivinicolo italiano individuate dalla rivista americana per il 10° anniversario dell’iniziativa. Tutti vaccinati o tamponati, i giornalisti internazionali del vino saranno dunque presenti nella nostra città, con l’intento di dare una rinnovata visibilità al vino del Belpaese. «L’evento, in programma il 19 e 20 giugno prossimo a Verona in presenza, sarà tutto declinato alla ripartenza del settore, grazie alla partecipazione di stampa e operatori nazionali e internazionali – ha commentato Giovanni Mantovani – e farà anche da collettore e traino a tutte le aziende del vino che vorranno partecipare al b2b di ottobre. Sarà una sorta di “prova generale” per quell’evento». ............................. il resto dell'interessante articolo lo leggi su: https://www.heraldo.it/2021/04/14/il-percorso-ad-ostacoli-di-vinitaly/
Nelle strade di Bologna l’aceto fa il lavoro dei pesticidi
Il Comune emiliano usa il prodotto biologico per ripulire dalle erbacce le pavimentazioni di pregio del centro storico
Per togliere le erbacce dalle strade c’è un nuovo rimedio “casalingo”: l’aceto. Lo ha annunciato il Comune di Bologna, spiegando un intervento per ripulire dalle erbacce le vie del centro. “Da lunedì 29 marzo e fino a ottobre – si legge in una nota sul sito dell’amministrazione cittadina – , quasi 900 chilometri di marciapiedi della città saranno ripuliti dalle erbacce. Al centro degli interventi anche 30.000 metri quadrati di pavimentazione di aree di pregio del centro storico come Piazza Santo Stefano, Piazza San Domenico, Piazza San Francesco, via IV Novembre e le aree annesse alla Porte medievali. L’intervento consiste nella rimozione della vegetazione infestante che cresce lungo i marciapiedi e vicino ai muri e ai cordoli stradali, affinché non superi mai i 30 centimetri. Il taglio viene eseguito con i decespugliatori e i soffiatori per allontanare e raccogliere il materiale di risulta”. Ma c’è una novità: “Oltre al taglio delle erbacce, sui marciapiedi di alcune strade e sulle pavimentazioni di pregio viene spruzzato un prodotto biologico, un aceto con alta concentrazione di acido acetico, innocuo per le persone e in grado di favorire in modo ecologico lo scioglimento dei tessuti delle erbacce”.
Pesticidi, in 10 anni raddoppiato l’impatto tossico su api e impollinatori
I risultati hanno di fatto smentito l’ipotesi che il calo della quantità di pesticidi utilizzati stia riducendo il loro impatto ambientale così come l’idea che le colture OGM porterebbero a ridurne l’uso.
I motivi potrebbero essere molteplici, gran parte dei quali non ancora noti a causa della mancanza di open data relativi all’uso di sostanze chimiche in agricoltura in buona parte dei Paesi nel mondo. Una lacuna importante per il team di ricercatori che si è comunque ritenuto soddisfatto per aver avuto a disposizioni quelli alla base dello studio.
Lo studio ha utilizzato i dati del governo degli Stati Uniti sull’uso dei pesticidi e il livello di tossicità di 380 pesticidi usati nel Paese dal 1992 al 2016. Ciò ha consentito di valutare i cambiamenti nel tempo. Guardare esclusivamente la quantità di pesticidi applicata avrebbe fornito un’immagine falsa, hanno fatto sapere gli scienziati.
Una evidenza tangibile è che “i composti più tossici per i vertebrati sono stati sostituiti da altri meno nocivi e questo è davvero un successo. Ma allo stesso tempo i pesticidi sono diventati più specifici e quindi, purtroppo, anche più dannosi per organismi quali gli insetti impollinatori e gli invertebrati”, ha commentato Schulz, che ha aggiunto: “Le colture geneticamente modificate sono state introdotte sostenendo che avrebbero ridotto la dipendenza dell’agricoltura dai pesticidi chimici. Questo ovviamente non è vero se ci si attiene ai livelli di tossicità”.
Insomma nulla di rassicurante emerge dalla ricerca, ma il bicchiere non è ancora vuoto: “Più informazioni abbiamo rispetto ai problemi esistenti, meglio è. In quest’ottica definirei il nostro studio una buona notizia, in quanto punto di partenza di un successivo dibattito politico e sociale sul tipo di effetti che vogliamo che i pesticidi abbiano o non abbiano”, ha concluso Schulz.
Fonte: The Guardian
Biodiversità, arriva la tutela degli impollinatori, ma solo nei parchi
Il ministro Cingolani firma un atto di indirizzo:
tutela è uno dei pilastri della ripresa economica
“Proteggere e ripristinare la biodiversità e assicurare il mantenimento dei servizi ecosistemici. In particolare proseguire e migliorare le azioni a tutela degli insetti impollinatori, dai quali dipende oltre il 70% della produzione agricola per la nostra alimentazione, e di monitoraggio dell’habitat coralligeno”. Questi i principali obiettivi della direttiva 2021 emanata dal ministero della Transizione ecologica agli enti parco nazionali e alle aree marine protette. Obiettivi la cui urgenza, secondo quanto sottolinea l’introduzione dell’atto firmato dal ministro Roberto Cingolani, è stata ribadita dalla pandemia in corso e che costituiscono “uno dei pilastri sui cui costruire una ripresa economica dell’Italia agganciata al Green Deal europeo”. Tanto che la “biodiversità” è anche e proprio il nome di una delle due strategie comunitarie riguardanti l’ambiente, insieme alla “Farm to Fork”.Il meccanismo delle direttive ministeriali di “indirizzo delle attività dirette alla conservazione della biodiversità”, come spiega la nota del dicastero, risale all’istituzione delle cosiddette “aree protette”, nel 1991. Da allora periodicamente il ministro dell’Ambiente, ora della Transizione ecologica, emana appunto delle direttive ad hoc. Il documento “Biodiversità 2021” si focalizza sulle azioni dirette ad affrontare il declino degli insetti impollinatori. Anche questo tema è al centro anche della nuova strategia dell’UE per la biodiversità e del relativo Piano per il ripristino della natura. “E’ raccomandato un ulteriore approfondimento conoscitivo sulle cause del declino degli impollinatori – si legge nel testo della direttiva – a partire dalla diminuzione della disponibilità degli habitat e dagli impatti dei prodotti di sintesi utilizzati in agricoltura”. Dunque, un riferimento esplicito ai pesticidi e a quello che possono causare all’ambiente, anche se l’atto è appunto circoscritto alle sole aree protette.
Il primo step della direttiva è il 15 maggio: entro questa data agli enti parco nazionali è richiesto di individuare e proporre piani di azione per la conservazione della biodiversità da sviluppare con altri parchi. Mentre entro il 31 dicembre del 2022 è prevista la relazione finale e la documentazione di rendicontazione.
Qui il testo integrale della Direttiva: https://www.minambiente.it/sites/default/files/direttiva_biodiversita.pdf.
tratto da:
Quando il lavoro delle api viene fatto dagli agricoltori
In alcune zone del Kenya gli insetti impollinatori sono stati quasi sterminati dai pesticidi e i contadini ricorrono all’impollinazione manuale per salvare i raccolti
Non è la prima volta che gli agricoltori fanno il lavoro delle api. Negli anni 2010 furono gli agricoltori cinesi della provincia del Sichuan, muniti di lunghi pennelli, ad arrampicarsi sugli alberi di melo e pero per impollinare i fiori. La causa era la stessa: come accaduto oggi nel Kenya orientale, in Cina l’uso dilagante dei pesticidi aveva ucciso la maggior parte degli insetti impollinatori. E, anziché importare api, si decise di far fare il lavoro agli umani.
Il lavoro svolto dagli insetti impollinatori è fondamentale per la nostra sopravvivenza. Secondo dati pubblicati dall’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (Ipbes), la riproduzione dell’88% delle piante selvatiche da fiore del mondo dipende, almeno in parte, dall’impollinazione animale. Anche il 70% delle 115 colture agrarie di rilevanza mondiale trae beneficio dall’impollinazione animale. Sempre dall’impollinazione dei fiori dipende il 35% della produzione agricola mondiale, con un valore economico annuale di oltre153 miliardi di euro a livello globale.
Benvenuta QUIN, la prima filiera di quinoa italiana bio
“Da quando ero bambino ho seguito lo zio nei campi, poi al momento della scelta universitaria ho deciso di intraprendere la strada di Ingegneria Edile – ha raccontato Tundo –. Dopo qualche anno da dipendente e altrettanti da libero professionista, grazie all’aiuto proprio dello zio sono riuscito ad aprire la mia azienda agricola e portare avanti questo progetto in cui credo molto”.
L’azienda agricola Tundo Sebastiano, con sede a San Biagio di Argenta, si caratterizza per un approccio etico, sostenibilee nel rispetto dei rigidi protocolli dell’agricoltura biologica.
Principi che ha applicato anche al brand Quin.”Il percorso che dal Sud America alle tavole di tutto il mondo, negli ultimi anni, ha visto l’ascesa della quinoa, pianta erbacea oggi annoverata tra i super food, ha determinato nei Paesi d’origine, soprattutto Perù e Bolivia, gravi problemi in termini di sfruttamento di terreno, risorse e persone. Ho voluto così un approccio diverso: agricoltura bio, conservazione e rotazione dei terreni, nell’ottica di generare un prodotto che oltre ad avere eccellenti caratteristiche nutrizionali e gusto-olfattive, sia anche eticamente sostenibile”.
La filiera Quin è nata a novembre 2017. Dei 110 ettari coltivati a biologico, tra cui cereali e leguminose, 60 sono dedicati proprio alla quinoa. La produzione è raddoppiata dall’anno scorso, per un fatturato raggiungibile quest’anno tra 200 e i 300 mila euro.
La varietà coltivata si caratterizza per un basso contenuto di saponine – sostanza amara che ricopre naturalmente la maggior parte dei chicchi coltivati all’estero – e per questa ragione non viene decorticata, consentendo il mantenimento di tutte le proprietà integrali del chicco: concentrazione di minerali e fibre, un sapore molto più profondo e ricco.
Successivamente alla coltivazione, allo stoccaggio e alla selezione, il prodotto viene trasformato in pasta e altri prodotti derivati. Un processo che si avvale della competenza dei giovani titolari del pastificio bio-artigianale, La Romagnola Bio, realtà già dal 1987, specializzata nella produzione di pasta artigianale e nel trattamento farine di ogni tipo. Fiore all’occhiello della trasformazione è anche la realizzazione della Quinoa birrificata, un prodotto unico e naturalmente senza glutine. Tre le tipologie: Quinoa Ipa, Quinoa Maqui e Quinoa Ale.
Fonte: Il Sole 24Ore
Nasce il Distretto Biologico unico delle Marche, il più grande d’Italia e d’Europa
Uno strumento chiave per incentivare l’economia locale, un alleato essenziale per l’equilibrio del processo alimentare e di conseguenza per la salute, un modello socio-economico del tutto nuovo. Sono queste le caratteristiche fondamentali della produzione Bio ma anche le finalità di quello che sarà il Distretto Biologico unico delle Marche più grande d’Italia e d’Europa.
Con la firma del patto per il biologico, avvenuta ieri a Palazzo Raffaello tra il vicepresidente e assessore all’Agricoltura Mirco Carloni e i rappresentanti regionali di AGCI, Coldiretti, CIA, Confagricoltura, Confcooperative, Copagri, Legacoop, UECOOP, UNCI e Camera di Commercio le Marche puntano per la prima volta alla creazione di un unico e grande distretto del biologico forte di numeri, progetti e obiettivi importanti .
“La Regione Marche crede fortemente alle potenzialità di questo settore – ha evidenziato l’assessore Carloni – come traino per molti altri comparti e cerniera di uno sviluppo sostenibile anche a livello turistico-ambientale. Per questo la firma di questo patto sigilla la volontà di andare verso la realizzazione di un distretto biologico e del cibo che può diventare il più grande d’Europa, caratterizzato da un forte brand territoriale che identifichi le Marche come Regione Bio per eccellenza, attraverso un incisivo marketing territoriale, una promozione spinta che valorizzi il prodotto in termini di qualità e competitività sui mercati interni ed internazionali. Il biologico, forte di una tradizione radicatissima nella nostra Regione, è un valore aggiunto fondamentale che vogliamo inserire e far crescere in un ampio progetto di sostenibilità che integra ambiti culturali, per esempio con la Legge sui borghi; il Turismo con il progetto “Albergo diffuso” ma anche gli operatori turistici, le amministrazioni locali, le associazioni e tutti i privati che abbiano in comune la stessa visione: rendere il brand Marche leader del biologico in Europa e quindi Regione sinonimo di qualità di vita. Consapevoli pertanto che un’immagine univoca e organica è molto più “spendibile” e credibile all’estero, oltre a rafforzare tutto il sistema e a contrastare le debolezze”.
“Apprezziamo ed appoggiamo convintamente una iniziativa fondamentale per lo sviluppo dell’agricoltura nel nostro territorio – ha affermato Gino Sabatini della Camera di Commercio – Saremo tutti a fianco della Regione nel sostenere il distretto unico del biologico delle Marche”
“È uno strumento nuovo questo Distretto Biologico – ha concluso Carloni – a cui abbiamo lavorato con molto impegno in questi mesi per mettere insieme, per la prima volta, tutte le realtà, piccole medie e grandi, spesso scollegate fra loro, per dare la stessa forza di penetrazione nei mercati e le stesse opportunità a tutti. Partendo da esperienze virtuose già consolidate, come le filiere biologiche e gli accordi agroambientali d’area, e valorizzando iniziative più recenti, come i biodistretti e i distretti biologici locali appena costituiti o in via di costituzione, puntiamo a costruire insieme il futuro di una regione sempre più biologica“.
Carloni ha anche informato che la Regione Marche intende investire nella promozione del biologico in tutti i settori e sarà inserito nella parte dedicata alle Marche nella sezione “Food” di Expo 2020 Dubai.
Tra gli obiettivi principali del patto siglato ieri mattina, incrementare la superficie agricola utile (SAU) coltivata a biologico, passando dall’attuale 20% al 100% nelle aree Natura 2000 nei prossimi 10 anni; potenziare la ricerca, la sperimentazione e la formazione nel settore del biologico per migliorare la qualità e la produttività delle coltivazioni; tutelare e valorizzare la biodiversità in alternativa agli OGM; favorire e consolidare le filiere del biologico di prodotto e di territorio; estendere la certificazione del biologico fino alla tavola dei consumatori; promuovere il consumo dei prodotti biologici nelle mense e nei circuiti commerciali; promuovere le Marche come regione biologica con una elevata qualità della vita, al fine di accrescere la sua attrattività turistica.
La Regione Marche vanta imprese in continua crescita per numero e qualità della produzione e una solida storia di filiera per cui in alcuni ambiti è leader in Italia, tanto da essere definita “culla dell’agricoltura biologica italiano“. “Siamo tra le Regioni con la crescita più alta nel numero di operatori: il 32% in più rispetto all’anno precedente. Numeri positivi sia per quanto riguarda i dati strutturali legati alla produzione, sia per quelli economici legati al mercato. Tanto che la Superficie Agricola Utile (SAU) marchigiana, gestita con metodo biologico, ha raggiunto i 104.567, superando del 20% la SAU media nazionale. Il numero dei nostri operatori si avvicina a quota 4.000, così articolati: 3.126 produttori, 283 preparatori, 10 importatori e 499 preparatori e importatori”, ha concluso l’assessore Carloni.
Fonte: Ufficio stampa Regione Marche
Spreco alimentare: il 17% del cibo prodotto viene buttato. Il rapporto dell’Onu fotografa la situazione
DA: IL FATTO ALIMENTARE
Ogni anno nel mondo vanno sprecate 931 milioni di tonnellate di cibo, pari al 17% di tutto quello prodotto. Questo il dato che sintetizza i molti numeri contenuti nel rapporto appena pubblicato dalle Nazioni Unite sullo spreco alimentare domestico, su quello di mense e ristoranti, e quello dei rivenditori, e che tiene conto anche delle parti non edibili quali le bucce, le conchiglie dei molluschi e così via. In altri termini, la quantità di cibo prodotta e non utilizzata potrebbe essere contenuta in 23 milioni di camion da 40 tonnellate che fanno il giro completo della Terra sette volte.
I dati sono relativi a 152 parametri raccolti in 54 Paesi, e prendono in considerazione gli studi specifici condotti sempre più spesso negli ultimi anni quasi ovunque, la cui qualità è, tuttavia, molto eterogenea. In generale, emerge come la quantità maggiore di spreco sia quella che deriva dalle abitazioni private, dalle quali viene buttato circa l’11% di tutto il cibo acquistato, mentre mense e rivenditori ne sprecano rispettivamente il 5 e il 2%. Il rapporto traduce anche i dati in chilogrammi per abitante, e in quel caso la quantità è pari, in media, a 121 chilogrammi all’anno, 74 dei quali arrivano dalle case.

Se poi si analizzano i dati per area geografica, si nota come ci sono grandi differenze tra i continenti e, all’interno di questo, tra Paese e Paese. Lo stesso parametro va infatti dai 110 kg dei paese del Sud Est Asiatico ai 61 di quelli dell’Europa orientale, mentre l’Europa occidentale è a 65 e quella meridionale a 90 kg. Molti Paesi africani sono sopra 100, mentre quelli dell’America centro-meridionale sono attorno a 70, quelli asiatici attorno a 80-90 e quelli europei sono molto variabili. L’Italia spreca 67 kg di cibo all’anno per abitante dalle cucine delle abitazioni, per un totale di oltre 4 milioni di tonnellate annuali, un valore che la porta ai vertici della classifica con Francia, Germania, Regno Unito e Russia (i dati da cui è stato estratto questo numero, a differenza di molti altri di Paesi diversi, è considerato di qualità media, e quindi affidabile). ...
...... il resto dell'articolo lo trovi su: https://ilfattoalimentare.it/rapporto-spreco-alimentare-onu.html