Fondazione Edmund Mach,
San Michele all’Adige, 12 giugno 2018
Appello per la tutela della biodiversità delle sottospecie autoctone
di Apis mellifera Linnaeus, 1758 in Italia
(Carta di San Michele all’Adige)
RIASSUNTO
Questo documento, stilato e firmato da esponenti della ricerca scientifica e da personalità
di rilievo del mondo dell’apicoltura e dell’ambientalismo, vuole sottoporre alle
amministrazioni politiche l’urgenza di accordare un’adeguata protezione faunistica all’ape
mellifica
1 (Apis mellifera Linnaeus, 1758) e, in particolar modo, alle sue sottospecie
autoctone. Questa specie, pur essendo gestita dagli apicoltori da molti millenni, non può
essere considerata un animale domestico e, in quanto insetto pronubo, svolge un ruolo
insostituibile per la conservazione della biodiversità e quindi nel mantenimento degli
equilibri naturali stessi, senza contare l’impatto sulle produzioni agricole.
A. mellifera è un insetto originariamente distribuito in gran parte dell’Europa, tutta l’Africa
(compreso il Madagascar), il Medio Oriente, parte della Penisola Arabica e alcune zone
dell’Asia Centrale. Dall’Europa l’ape mellifica è stata poi introdotta nelle Americhe, in Asia
ed in Oceania. Come per tutte le specie selvatiche, il percorso evolutivo e le attuali
caratteristiche biologiche dell’ape mellifica, rendono fondamentale per questa specie
l’adattamento all’ambiente in cui vive. Questo adattamento alla moltitudine di condizioni
ambientali presenti nel suo vasto areale originario, unitamente alle vicissitudini geologiche
e climatiche delle ere passate, ha determinato la suddivisione di A. mellifera in 31
sottospecie, ognuna originariamente ben adattata alla propria area geografica. Il Bacino del
Mediterraneo, per la sua grande varietà di ambienti, esprime la maggiore diversità
intraspecifica. Nell’ultimo secolo e mezzo, i progressi tecnologici generali e interni al mondo
dell’apicoltura stessa, hanno però involontariamente causato un devastante impoverimento
genetico di molti di questi popolamenti locali, con evidenti ripercussioni sotto l’aspetto
produttivo e sanitario, mettendo in serio pericolo la conservazione, in Europa, delle
sottospecie autoctone di A. mellifera. La valutazione di quanto il depauperamento delle
sottospecie di A. mellifera stia provocando ripercussioni negative sugli equilibri ecologici e
sul sistema di produzione degli alimenti è in corso, mentre sono noti ed evidenti gli effetti
negativi che questa problematica sta producendo all’apicoltura. In questo documento sono
esposti in modo puntuale gli argomenti scientifici a supporto di questa visione, sulla base
1 Il nome comune dell’Apis mellifera maggiormente consolidato in Italia è quello di “ape mellifica” derivante dal nome scientifico proposto dallo stesso Linneo nel 1761, Apis mellifica. Questo nome scientifico oggi non è accettato dal codice internazionale di nomenclatura zoologica per motivi di priorità. Il nome proposto inizialmente da Linneo significa “ape portatrice di miele” mentre quello proposto in un secondo momento significa “produttrice di miele” e sarebbe dunque più corretto.
dei quali si potrà procedere, secondo varie modalità operative, ad azioni concrete volte alla
salvaguardia dell’ape mellifica anche e soprattutto come entità biologica. Questo
documento non vuole contrapporsi alle azioni intraprese dal mondo dell’apicoltura, ma
contribuire ad una visione più globale del gravissimo problema del declino delle api
mellifiche.
INTRODUZIONE
L’ape mellifica, A. mellifera Linnaeus, 1758, è l’ape che da millenni è usata dall’uomo per
l’apicoltura. Oggetto sin da epoche preistoriche di predazione, ovvero di prelievo di miele,
larve e cera da alveari rinvenuti in ambiente selvatico come è avvenuto ed avviene
tutt’oggi per tutte le specie del genere Apis, ma anche per altri apoidei apiformi 3,4 nelle
zone tropicali del nostro pianeta, sono proprio le caratteristiche bio-etologiche di A.
mellifera che hanno permesso la nascita dell’apicoltura. Esiste una ricca testimonianza
iconografica e documentaria relativa a questa nobile attività umana, basata su reperti
archeologici, almeno a partire da 4.500 anni fa. Ad esempio, tra le numerose decorazioni
rinvenute nel Tempio di Shesepibre in Egitto, fatto edificare da Nyuserre Ini all’incirca nel
2.500 a.C., c’è la più antica raffigurazione di una complessa ed evoluta gestione delle api e
del miele, che indubitabilmente attestano un percorso di sviluppo delle tecniche apistiche
iniziato molto prima. È molto probabile, infatti, che l’apicoltura con l’ape mellifica sia nata
nella stessa regione e più o meno nello stesso periodo in cui, nella Mezzaluna Fertile
appunto, circa 10-12.000 anni fa si è affermata l’agricoltura, l’allevamento e la
domesticazione degli animali. Nel corso dei millenni l’apicoltura ha avuto uno sviluppo ed una diffusione straordinaria, giungendo ad una grande varietà di soluzioni tecniche, in gran parte conservatesi ancora oggi in diverse aree del Bacino del Mediterraneo e del vicino Oriente.
L’ape mellifica e le altre specie di apoidei eusociali, che vivono cioè in società complesse e
permanenti (come alcune api tropicali dei generi Trigona e Melipona), hanno inoltre ispirato
una serie di simbolismi, credenze e miti, e rivestono quindi un grande ruolo anche
nell’evoluzione spirituale, culturale e politica delle società umane di tutto il Mondo.
Nonostante questo lunghissimo e prolungato rapporto tra le api mellifiche e l’uomo,
possiamo però dichiarare con certezza che questo straordinario animale non è mai stato
domesticato.
Per domesticazione si intende, infatti, il processo attraverso il quale una specie animale o
vegetale è resa domestica, ovvero dipendente dalla convivenza con l'uomo e dal controllo
delle sue condizioni di alimentazione e di riproduzione da parte di quest'ultimo.
Sul fatto che l’ape mellifica gestita dagli apicoltori non fosse divenuta un animale domestico
si era espresso già Plinio il Vecchio (Gaius Plinius Secundus, 23-79 D.C.), nei primi paragrafi
del libro dedicato alle api della sua Naturalis Historia 5. Anche Charles Robert Darwin (1809-
1882), nella sua opera intitolata Variazione degli animali e delle piante allo stato domestico,
giunse alla conclusione che sono proprio le peculiarità biologiche delle colonie di A.
mellifera ad aver impedito questo processo di domesticazione 6. Ma anche Eva Crane (1912-
2007), massima studiosa del XX secolo dell’apicoltura, anzi delle diverse apicolture a livello
mondiale, dando una chiara definizione dell’apicoltura ne evidenzia anche l’estraneità
rispetto all’allevamento di animali domesticati. Infatti Eva Crane 7 definisce l’apicoltura
come “il mantenimento di forti colonie sane di api in alveari progettati per la comodità
dell’operatore, e la rimozione dagli alveari (e la successiva trasformazione) dei prodotti
per i quali sono tenute le colonie” 8, 9. Ma ancor più straordinario è il paragone che questa
ricercatrice inglese propone tra l’apicoltura e l’unica altra attività umana ad essa simile:
“L’uso di api come micromanipolatori per la raccolta di cibo dalle piante ha forse il suo più
vicino parallelo nell’uso di cormorani (cui viene applicato un collare che impedisce loro la
deglutizione) per la pesca. L’apicoltore ha un vantaggio rispetto al pescatore in quanto le