Augurissimi a tutti gli amici di Terra Viva Verona


Nelle scuole arrivano mense biologiche certificate




Due medaglie, una argento e l’altra d’oro, per contraddistinguere le due tipologie di mense biologiche previste dalla legge, con l’oro che corrisponde a una qualificazione d’eccellenza legata a una maggiore percentuale di utilizzo di prodotti biologici e quella argento ha una percentuale più bassa. Sono stati presentati, infatti, i criteri di classificazione, concordati con il Ministero dell’Istruzione, le Regioni e i Comuni, e i marchi che identificano le mense biologiche scolastiche. La mensa scolastica, per qualificarsi come biologica, è tenuta a rispettare, con riferimento alle materie prime di origine biologica, le seguenti percentuali minime di utilizzo in peso e per singola tipologia di prodotto.

MARCHIO ARGENTO:
– frutta, ortaggi, legumi, prodotti trasformati di origine vegetale (escl. succhi di frutta), pane e prodotti da forno, pasta, riso, farine, cereali e derivati, olio extravergine: 70%
– uova, yogurt e succhi di frutta: 100%
– prodotti lattiero-caseari (escl. yogurt), carne, pesce da acquacoltura: 30%

È prevista anche una qualificazione di eccellenza della mensa scolastica biologica nel caso in cui l’utilizzo di materie prime di origine biologica raggiunga le percentuali in peso e per singola tipologia di prodotto di seguito indicate

MARCHIO ORO:
– frutta, ortaggi, legumi, prodotti trasformati di origine vegetale (escl. succhi di frutta), pane e prodotti da forno, pasta, riso, farine, cereali e derivati, olio extravergine: 90%
– uova, yogurt e succhi di frutta: 100%
– prodotti lattiero-caseari (escl. yogurt), carne, pesce da acquacoltura: 50%


CRITERI DI PREMIALITÀ
Per ridurre lo spreco alimentare e l’impatto ambientale, le stazioni appaltanti inseriscono nei bandi di gara, tra gli altri, i seguenti criteri di premialità:
– impegno a recuperare i prodotti non somministrati e a destinarli ad organizzazioni non lucrative di utilità sociale che effettuano, a fini di beneficenza, distribuzione gratuita agli indigenti di prodotti alimentari
– percentuale di utilizzo di alimenti biologici prodotti in un’area vicina al luogo di somministrazione del servizio per ridurre l’impatto ambientale. L’area di produzione è considerata vicina se si trova in un raggio massimo di 150 km.


da "Il Salvagente"

ULIVI in Valpolicella

a San Floriano ci sono 20/30 olivi che devono essere spiantati
chi è interessato a ripiantarli può telefonare al 340 524 66 99

Glifosato: le insostenibili critiche della senatrice Cattaneo alla IARC

La pubblicazione, su La Repubblica dell’1 dicembre scorso, dell’intervento di Elena Cattaneo era inteso, secondo le parole della senatrice, a “sgombrare il campo da alcuni equivoci”. Di fatto, ha provocato un gran vespaio, e diverse voci si sono espresse per confutare quanto affermato dalla staminologa di Milano. La quale, andando ben oltre le proprie specifiche competenze scientifiche, scaglia pesanti accuse all’indirizzo della IARC, l’Agenzia per la ricerca sul cancro facente capo all’OMS, avanzando il dubbio che la classificazione del glifosato come “probabile cancerogeno” sia in realtà il frutto di comportamenti poco onesti da parte dei membri del gruppo di studio dell’Agenzia di Lione chiamati a valutare la cancerogenicità dell’erbicida.
Quella che qui presentiamo è la risposta di quattro epidemiologi ben noti ai lettori di E&P: Benedetto Terracini, Annibale Biggeri, Franco Merletti, Paolo Vineis.
Da tempo la questione glifosato (Roundup, per la multinazionale della chimica Monsanto) è terreno di scontro tra scienziati, industria chimica, ambientalisti, agricoltori, semplici cittadini, e vede contrapporsi anche diverse agenzie pubbliche (EFSA ed ECHA da una parte, IARC dall’altra). Un campo dove gli interessi economici sono enormi e dove, come spesso accade in questi casi, il terreno è fertile per il manifestarsi di comportamenti al limite della legalità, e decisamente oltre quelli dell’onestà. Come testimonia il reportage Monsanto papers, pubblicato dal quotidiano francese Le Monde la scorsa estate, in cui si rivela la pervasiva azione di lobbying, disinformazione e intimidazione messa in atto da Monsanto all’indirizzo di singoli, governi e media. Il voluminoso dossier rilasciato dall’Agenzia Reuters lo scorso ottobre a firma da Kate Kelland (Glyphosate battle) è costruito con il solo scopo di screditare la IARC (accuse che la senatrice Cattaneo nel suo pezzo accoglie e ribadisce come fossero oro colato), che peraltro ha controbattuto prontamente sul suo sito».
Sullo sfondo di tutto ciò, le numerose azioni legali contro la Monsanto negli Stati Uniti e il pronunciamento dell’Unione europea in merito al prolungamento dell’autorizzazione al commercio del glifosato. Decisione più volte rinviata a causa delle numerose opposizioni, ma che alla fine è stata presa qualche settimana fa, acconsentendo a un altro quinquennio di glifosato in Europa. E ciò malgrado la consegna alla Commissione europea di milioni di firme di cittadini europei contrari.



 La risposta degli epidemiologi
«La Senatrice Elena Cattaneo (La Repubblica, 1° dicembre) smentisce il giudizio dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro - IARC) che il glifosato è “probabilmente cancerogeno per la specie umana”. La senatrice dissente perché “due componenti (non meglio specificati ndr) del team di lavoro IARC sul glifosato” avrebbero omesso di palesare i loro conflitti di interesse e avrebbero celato alcuni dati scientifici in proprio possesso.
La Senatrice sorvola sul fatto che la IARC è la struttura dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) deputata alla valutazione dei rischi cancerogeni. Il programma IARC di valutazione dei rischi cancerogeni sulla base dell’evidenza scientifica è a noi famigliare e alcuni tra noi hanno avuto l’opportunità di parteciparvi direttamente. Conosciamo quindi - apprezzandoli - i criteri utilizzati dalla IARC per controllare tanto l’indipendenza e l’integrità morale dei componenti dei gruppi di lavoro quanto il rigore nella raccolta e analisi critica degli studi presi in considerazione. I criteri, ripetutamente aggiornati, sottoposti al vaglio dell’intera comunità scientifica, sono accessibili (www.iarc.fr).
In quanto all’occultamento di dati scientifici sul glifosato, non ci risulta che i gravissimi episodi denunciati dalla senatrice Cattaneo abbiano avuto luogo: sollecitiamo quindi la senatrice a produrre una documentazione, se esiste, oppure una smentita. Tali argomenti sono stati largamente utilizzati dalla Monsanto, i cui interessi sulla sostanza chimica sono grandi, per screditare il lavoro della IARC.
La prof. Cattaneo gode di prestigio scientifico (sia pure in campi diversi dalla cancerogenesi ambientale) e svolge una importante funzione pubblica: le parole da lei espresse possono avere un effetto destabilizzante sul lettore di Repubblica.
Con la categoria “probabilmente cancerogeno per la specie umana”, da decenni, la IARC designa agenti adeguatamente saggiati in animali di laboratorio per i quali mancano adeguate osservazioni sulla specie umana, non sempre di facile esecuzione. Come tali, questi agenti sono ritenuti meritevoli di interventi di prevenzione (tanto che le normative europee per la sicurezza negli ambienti di lavoro non fanno distinzione tra agenti “cancerogeni” e “ agenti probabilmente cancerogeni per la specie umana”).
Sui tentativi delle multinazionali di distorcere il processo di costruzione della conoscenza sulle proprietà nocive del glifosato esiste uno sconvolgente dossier prodotto da parte di un giornale del calibro di Le Monde, che ha avuto ampia circolazione anche in Italia. Dato il suo doppio ruolo di parlamentare e di scienziata, dalla prof. Cattaneo ci saremmo aspettati maggiore chiarezza su un problema di rilevanza per la salute pubblica prima ancora che per l’agricoltura.
Infine, ci sembrano inopportune le parole della senatrice che sembrano mettere in dubbio i rischi di cancro legati al consumo di carni insaccate e di bevande alcoliche. Si tratta di rischi basati su prove solide (rafforzate ulteriormente dopo il giudizio dei gruppi di lavoro IARC), che hanno condotto Associazioni scientifiche italiane e internazionali (ad esempio il prestigioso World Cancer Research Fund) a raccomandare che tale consumo venga contenuto.

Annibale Biggeri (Università di Firenze)
Franco Merletti (Università di Torino)
Benedetto Terracini (Università di Torino)
Paolo Vineis (Imperial College, Londra)

Per un Natale green, regaliamoci un bosco

Come ogni anno a Natale si è colti dalla smania di trovare il regalo più originale, finendo di solito per scegliere qualcosa di etereo e passeggero, che rischia di andare a fare compagnia alla lista degli oggetti inutili accumulati nelle precedenti ricorrenze. Ma se sotto l’albero mettessimo un albero?
Bruno Munari ha definito l’albero come l’esplosione lentissima di un seme. Per ringraziare il luogo che ormai da tempo lo ospita, il Festival della Lentezza - al momento impegnato nei preparativi per l’edizione 2018, dedicata al tema del coltivare - ha deciso di regalare a Colorno (Parma) un Bosco del Tempo, un frutteto pieno di varietà di frutti antichi e dimenticati, 'che non saranno perfetti e richiederanno tempo e passione per crescere ma avranno la forza impetuosa di un’operazione collettiva, democratica e capillare. In altre parole, felice’.
Per farlo, gli organizzatori del Festival hanno attivato su Produzioni dal Basso una raccolta di denaro in collaborazione con Banca Popolare Etica che prevede il raggiungimento della cifra di 20mila euro entro il 24 dicembre 2017. Partecipando alla raccolta e adottando un albero, si può contribuire alla crescita di un intero bosco e contemporaneamente offrire qualcosa che resisterà anche ai Natali futuri.
Il progetto del bosco sarà realizzato dall’Associazione Comuni Virtuosi - che promuove il Festival dal 2015 - e vedrà la partecipazione diretta dell’Azienda Agraria Sperimentale Stuard di Parma, che del bosco ha messo a punto un piano preliminare che prevede anche la gestione del bosco nei primi dieci anni. La coltivazione inizierà durante l’autunno 2018. Il destino di ogni pianta sarà legato a una persona. Chi aderisce all’originale iniziativa riceve una pergamena con il nome di questa persona.
Questo il link per aderire alla campagna: https://www.produzionidalbasso.com/project/bosco-del-tempo/

tratto da:
http://www.greenplanet.net/un-natale-green-regaliamoci-un-bosco

Carlo Petrini


Neonicotinoidi, storia degli insetticidi accusati della scomparsa delle api. Efsa e Epa vicine alla pubblicazione di nuovi rapporti su queste sostanze


Saranno mesi decisivi per i neonicotinoidi, gli insetticidi tra i più usati ma anche sotto accusa da anni per la scomparsa delle api e non solo. Nelle prossime settimane l’Efsa completerà il suo ultimo rapporto e darà indicazioni sull’opportunità o meno di vietarne l’impiego, ed entro il 2018 la US Environmental Protection Agency farà lo stesso. A partire da inizio anno, inoltre, la Francia, che ha già deliberato in merito, non li impiegherà più, anche se sono previste eccezioni. Ma cosa effettivamente è stato dimostrato, e cosa resta da chiarire, al di là delle strumentalizzazioni e delle battaglie ideologiche? Per fare un po’ di chiarezza, Nature ha pubblicato un lungo articolo in cui riassume gli studi più importanti e i passaggi cruciali di una vicenda che sembra molto lontana dal trovare una sua risoluzione.
La storia ha inizio nei primi anni ottanta, quando il chimico della Bayer Tokushu Noyaku Seizo lavorando ai derivati della nitiazina, un insetticida introdotto una decina di anni prima in California, mette a punto l’imidacloprid. La sostanza, cento volte più potente della nitiazina stessa, viene lanciata sul mercato nei primi anni novanta. Il successo è istantaneo, e già nei primi anni duemila questa molecola e i suoi simili rappresentano un quarto dell’intero mercato dei pesticidi. In molti casi questi composti, che agiscono direttamente sul sistema nervoso degli insetti, vengono applicati direttamente sui semi, andando così a contaminare anche i terreni.
In Francia, dove i neonicotinoidi sono molto usati sui semi di girasole, fin dal 1994 gli apicoltori denunciano problemi per le api
Nel giro di pochi anni, però, in Francia, dove l’imidacloprid è stato molto usato sui semi di girasole, gli apicoltori lanciano l’allarme: le loro api da miele non riescono più a costruire gli alveari, e questo accade soprattutto quando volano sui campi di girasole. È il 1994, e occorrono 5 anni prima che il governo emani un divieto specifico per queste piante, in base al principio di precauzione. Ma limitare l’uso dei neonici (questo l’altro nome con cui sono conosciuti nel mondo) non basta: la moria di api continua ovunque, anche in Francia.
Nel frattempo nella letteratura scientifica si moltiplicano le segnalazioni di intossicazioni mortali delle api entrate in contatto con dosi elevate di neonicotinoidi, e di comportamenti inusuali quali l’incapacità di alimentarsi, di riconoscere il profumo dei fiori o di rientrare all’alveare anche quando le dosi sono considerate basse. Nel 2010, in uno studio francese gli esperti dell’Istituto per le api di Avignone parlano esplicitamente di intossicazione da tiometoxam, mentre uno inglese dimostra che i neonici – e in particolare proprio l’imidacloprid – sono molto pericolosi anche per i bombi: una volta esposti, essi non riescono più a generare regine (ce ne sono l’85% in meno). I due lavori fanno scalpore, e spingono l’autore di quello sui bombi a fondare una Task Force on Systemic Pesticide, che raccoglie una trentina tra i massimi esperti mondiali e, dopo aver analizzato ben 800 studi, conclude che tutte le prove dimostrano la necessità urgente di regolamentare in maniera severa il settore.
Uno studio recente ha dimostrato che il 75% del miele mondiale contiene insetticidi neonicotinoidi al di sotto dei limiti di legge
In seguito vengono pubblicati numerosi altri studi, tra i quali quello condotto nei campi di Ungheria, Germania e Gran Bretagna, che non porta a conclusioni univoche perché le api da miele, quelle domestiche e i bombi tedeschi hanno resistito bene ai neonicotinoidi, al contrario di quanto avvenuto negli altri paesi.
Nel frattempo, tra le cause della crisi delle api vengono prese in considerazione varie infezioni da parassiti, altri insetticidi dati in contemporanea ai neonici, il riscaldamento globale, l’inquinamento, la siccità e altri fattori ambientali e antropici, e molti dubitano dell’efficacia dei neonicotinoidi. Il dibattito pro e contro infuria senza esclusione di colpi, con accuse di complicità con le multinazionali (in primo luogo Bayer e Syngenta, i principali produttori), dati truccati e altre argomentazioni molto pesanti.
Secondo Nature ciò che è sicuramente tossico è il dibattito, che sarà ben difficile riportare su un piano di razionalità e di numeri credibili. Ma è indispensabile fare ogni sforzo per giungere a una verità condivisa, anche perché i neonicotinoidi sono ormai diffusi in tutto il mondo, come ha dimostrato uno studio pubblicato su Science poche settimane prima: tra il 2012 e il 2016, analizzando 198 campioni di miele provenienti da decine e decine di paesi per la presenza di cinque di essi – l’imidacloprid, l’acetamiprid, la clotiandina, il tiacloprid e il tiametoxan –, i ricercatori dell’Università di Neuchatel, in Svizzera, hanno dimostrato che il 75% del miele ne contiene almeno uno, il 45% due o più e il 10% quattro o cinque, anche se le concentrazioni rilevate sono generalmente al di sotto dei limiti di legge. Nello stesso periodo la catastrofe degli alveari è diventata realtà quasi ovunque: una strana coincidenza, troppo importante per essere ignorata.



tratto da:
http://www.ilfattoalimentare.it/neonicotinoidi-insetticidi-scomparsa-api.html

Mele e pesticidi: uno studio svela i metodi più efficaci per eliminare la maggior parte delle sostanze chimiche dalla superficie della buccia

melePer ridurre la concentrazione di pesticidi presenti sulle mele il sistema più efficace è anche quello più semplice ed economico: immergere il frutto in una soluzione di bicarbonato. Questo sistema è sufficiente, secondo i test effettuati dai ricercatori dell’Università del Massachussett di Amherst, a rimuovere la quasi totalità dei prodotti chimici presenti.
Negli esperimenti, di cui ha dato conto il Journal of Agricultural and Food Chemistry, gli autori hanno trattato le mele gala con alte concentrazioni di due pesticidi tra i più usati: il tiobendazolo, funghicida, e il phosmet, insetticida, per 24 ore. Quindi hanno sottoposto i frutti a tre diversi trattamenti: l’acqua corrente, una soluzione all’1% di bicarbonato di sodio oppure il lavaggio con una soluzione di candeggina (ipoclorito di sodio) simile a quello utilizzata da molti produttori prima di avviare le mele alla spedizione, il Clorox, e poi hanno verificato i livelli delle due sostanze chimiche sulla buccia delle mele.
Il risultato è stato sorprendente, perché il bicarbonato ha impiegato 12 e 15 minuti per rimuovere il 100% rispettivamente del tiobendazolo e del phosmet dalla superficie delle mele. Va detto però entrambi i pesticidi, il 20% del primo e il 4,4% del secondo, erano penetrati nella buccia, e non erano diminuiti dopo nessuno dei tre trattamenti. Inoltre è stato dimostrato che il tiobendazolo ha una capacità di penetrazione che è 4 volte superiore rispetto a quella del phosmet.
Per non mangiare antiparassitari non c’è dunque che una soluzione: togliere la buccia, anche se è lì che si concentra la quantità maggiore tanto di fibre che di nutrienti nobili o, in alternativa, scegliere mele biologiche.
Va comunque ricordato che in Italia molti produttori non usano solo pesticidi chimici ma si affidano alla lotta integrata e che in genere i livelli di pesticidi considerati massimi sono ben al di sopra di quelli che normalmente si ritrovano su frutta e verdura. Inoltre alcuni produttori come lavano le mele prima di avviarle al mercato, in modo tale che possano essere teoricamente mangiate anche senza risciacquo. Supermercati e grandi distributori, a loro volta, spesso utilizzano altre sostanze per allungare il tempo di conservazione.
Inoltre in generale i prodotti chimici autorizzati e usati per proteggere la frutta e la verdura, alle concentrazioni stabilite dalle autorità sanitarie, non sono considerati pericolosi per la salute, come hanno ribadito anche l’EFSA nel suo ultimo rapporto, del 2017, e l’OMS, pur con diverse cautele, e anche se negli anni molti studi hanno messo in luce potenziali rischi soprattutto per il feto e per i bambini.

tratto da:
http://www.ilfattoalimentare.it/mele-pesticidi-buccia-bicarbonato.html 

Corso gratuito sul WEB in Valpolicella

Corso gratuito sul WEB che si svolgerà il 20 dicembre 2017 in Valpolicella.
Molto interessante x cominciare ad avere una infarinatura WEB


http://corsi.prima-posizione.it/pp/seminario-castelrotto-vb/

PS: chi vuole partecipare deve iscriversi al link


Il plagio di Monsanto, invece di una valutazione indipendente sul glifosato?


Una specie di trailer | La biodinamica funziona? A dicembre su Millevigne

Nel prossimo numero di dicembre (4/2017) Millevigne pubblicherà, prima in Italia, la sintesi di una sperimentazione denominata INBIODYN, svolta in Germania presso la prestigiosa università di Geisenheim, diretta dal Prof. Hans Schultz . Il lavoro è del Prof. Kaurer e collaboratori. Vi si confrontano, in un apposito campo sperimentale e con rigoroso metodo scientifico, tre modelli di viticoltura: integrata, biologica e biodinamica.
La sperimentazione vanta già dieci anni di attuazione. Con la cautela che gli stessi autori dello studio raccomandano, alcuni dati che emergono parrebbero smentire la teoria per cui la biodinamica sarebbe soltanto “fuffa”. Un documento quindi che non mancherà di far discutere. 

A proposito di INBIODYN, sull’uso dei preparati dinamizzati il mio scetticismo, piuttosto caparbio, è costretto a cedere al dubbio, sulla base di quello che è stato riscontrato in una prova pressoché impeccabile sul piano del metodo: che non è quello della “palata di terra coi lombrichi mostrata al fotografo” ma di un campo sperimentale con parcelle, ripetizioni, analisi statistica accurata dei dati.
Dobbiamo però riconoscere che esiste un punto in cui la biodinamica e le acquisizioni scientifiche più recenti trovano in qualche modo un terreno comune, ed è quello della biostimolazione. Nella dottrina agronomica classica il ruolo della sostanza organica e dei composti umici nel suolo è principalmente duplice: fornire elementi nutritivi alla pianta in modo lento e progressivo grazie alla liberazione degli ioni minerali, legata all’attività metabolica dei microrganismi, e migliorare la struttura del suolo attraverso la formazione di piccoli aggregati grazie ai colloidi umici: ma sempre più importante appare oggi una terza attività, quella di condizionare lo sviluppo delle piante e la loro resistenza agli stress biotici e abiotici, attraverso meccanismi non del tutto chiari, legati alla produzione di fitormoni e composti ed enzimi di varia natura, nonché al condizionamento del “microbiota endofita” cioè la comunità di microrganismi che vive all’interno della pianta e a quelli della rizosfera, cioè l’area esplorata dalle radici. Le “forze sottili” di Rudolf Steiner (nella foto) hanno a che fare con questi meccanismi? È quello che si ipotizza.
tratto da:
http://www.intravino.com/primo-piano/una-specie-di-trailer-la-biodinamica-funziona-a-dicembre-su-millevigne/

Spreco di cibo, Ispra: in Italia buttiamo più alimenti di quanti ne mangiamo

Per combattere sul serio lo spreco alimentare le buone, singole pratiche vanno bene e sono da incoraggiare, ma chi pensa che da sole possano riuscire a risolvere «una problematica estremamente complessa che necessita di decisioni informate, basate su conoscenze scientificamente solide», come la definisce l’Ispra, è un illuso. Tant’è che la massima autorità scientifica italiana in campo ambientale, nelle pieghe del suo primo rapporto tecnico sul tema disegna quella che sarebbe riduttivo non definire una rivoluzione: per contenere i livelli di spreco alimentare sistemico attorno ad almeno il 15-20% occorre riorganizzare «i sistemi alimentari sulla base di sovranità-autonomie locali tra loro coordinate».
È dunque necessario «che le istituzioni internazionali e nazionali favoriscano questi processi e contrastino le enormi concentrazioni delle compagnie internazionali nell’agroindustria», perché il fine non può che essere uno: «Focalizzare l’attenzione sull’importanza della autosufficienza alimentare e dello sviluppo coordinato di sistemi alimentari locali resilienti».
Non male come orizzonte per un “rapporto tecnico”, soprattutto se a redigerlo è l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. D’altronde con il suo Spreco alimentare: un approccio sistemico per la prevenzione e la riduzione strutturali, l’Ispra motiva a fondo perché ritiene indispensabile questa rivoluzione. Secondo la Fao, a livello globale un terzo di tutti i prodotti alimentari (pari a 1,3 miliardi di tonnellate edibili) vengono perduti o sprecati ogni anno lungo l’intera catena di approvvigionamento, per un valore di 750 miliardi di dollari buttati nel cestino e 3,3 miliardi di tonnellate di CO2 inutilmente immesse in atmosfera; se lo spreco alimentare fosse una nazione, «sarebbe al terzo posto dopo Cina e Usa nella classifica degli Stati emettitori». E il fenomeno non sta regredendo, anzi. «La tendenza globale dal 2007 al 2011 – osserva l’Ispra – indicherebbe un notevole aumento di sprechi tra produzione e fornitura (+48%), una sovralimentazione in fortissimo aumento (+144%) e uno spreco in consumo e vendita al dettaglio che diminuisce del 23%».
L’Italia, nonostante sia uno dei pochi Paesi Ue ad aver approvato una legge per contrastare lo spreco di cibo (L. 166/2016) le cose non vanno molto meglio. Poiché «non vi sono metodologie consolidate né metodi di calcolo condivisi su questo fenomeno nella statistica ufficiale», è difficile offrire stime precise sullo spreco di cibo. Prima dell’Ispra c’hanno provato il Politecnico di Milano, ad esempio, come anche l’indagine Waste watcher 2017, ma per primo l’Istituto ha allargato le maglie dell’indagine definendo lo spreco alimentare come «la parte di produzione che eccede i fabbisogni nutrizionali e le capacità ecologiche». I dati raccolti motivano l’appello alla rivoluzione.
Secondo quest’approccio «in Italia almeno il 60% circa in energia alimentare della produzione primaria edibile destinata direttamente o indirettamente all’uomo potrebbe essere sprecata», ovvero sono di più le calorie perse per strada o nel cestino che quelle che vanno a riempire (o realmente necessarie a) i nostri stomaci. E i paradossi non finiscono qui. Se «l’inefficienza degli allevamenti animali rappresenterebbe fino al 62% degli sprechi in Italia», un altro rilevante 15% sarebbe imputabile alla sovralimentazione, contando che nel nostro Paese gli «individui in sovrappeso sono il 50% degli uomini, il 34% delle donne e il 24% dei bambini tra i 6 e gli 11 anni». E questo nonostante il 14% della popolazione si trovi (dati 2016) in povertà relativa: circa 8,3 milioni di persone, di cui circa 4,6 «in povertà assoluta, ovvero con difficoltà di accesso al cibo». E il nostro spreco costa assai caro anche all’ambiente: si stima che in Italia causi «l’emissione annua di 24,5 Mt di CO2 e che corrisponda ad almeno il 3% circa del consumo di energia», senza dimenticare i circa 1,2 miliardi di mc d’acqua dolce buttati al vento, o l’immissione di  228.900 t di azoto reattivo.
Un nodo tanto stretto, pesante e complesso che secondo l’Ispra non si potrà sciogliere con semplici maquillage ma solo ridisegnando un nuovo modo di produrre e consumare il cibo. Affidandosi a una progettazione in grado di superare eventuali “trappole del localismo” e considerando comunque un periodo di transizione, la strada tracciata dall’Istituto prevede di incentivare a ogni livello «filiere corte, locali, biologiche, di piccola scala» coordinate tra loro. «Rispetto all’agricoltura industriale nelle fattorie agroecologiche su piccola scala la produttività di medio-lungo periodo è maggiore dal 20% al 60% a parità di condizioni e l’efficienza nell’uso delle risorse, anche ambientali, è più elevata da 2 a 4 volte», inoltre «i cibi durano di più per i consumatori e generalmente è maggiore la consapevolezza». Non si tratta di stime futuribili secondo l’Ispra, ma di analizzare quanto già accade: «È stato dimostrato che l’adozione su scala globale dell’agricoltura ecologica potrebbe portare a una fornitura alimentare pari a circa il 50% in più dell’attuale. Secondo i dati della Fao, nel mondo la piccola agricoltura contadina è responsabile di circa il 70% della produzione complessiva, avendo a disposizione solo un quarto delle terre coltivabili».
La domanda che rimane è: siamo davvero disposti come cittadini ad abbracciare questa rivoluzione, e magari a pagare di più il cibo che consumiamo? In ballo non c’è “solo” lo spreco ma questioni fondamentali come i «cambiamenti climatici, la sicurezza alimentare, la tutela delle risorse naturali (acqua in primis), lo sviluppo economico e il benessere sociale». Si tratta di una transizione, che semmai decideremo di intraprendere – prima che sia tardi – non potrà che fare leva anche su una spiccata dimensione culturale, dove anche i media sono chiamati ad esercitare un ruolo importante: «Nei paesi molto sviluppati come l’Italia e quelli europei – osserva infatti l’Ispra – la ristrutturazione dei sistemi alimentari passa inevitabilmente dal riconoscimento di un equo valore sociale ed economico degli alimenti fondato sul diritto al cibo per riequilibrare le condizioni sociali di accesso e di produzione. Il valore equo del cibo non può raggiungersi tramite la spettacolarizzazione mediatica e mercantile che lo rende bene di status posizionale e stimola lo spreco alimentare generando disuguaglianze».
tratto da.
http://www.greenreport.it/news/economia-ecologica/spreco-cibo-italia-buttiamo-piu-alimenti-quanti-ne-mangiamo/

-- 

LA TRUFFA DEL GLIFOSATO

Articolo sul glifosate

Con cinque anni di proroga al diserbante l’Europa ha tradito
 il mandato dei cittadini
27 novembre. “La proroga di cinque anni per un erbicida sospetto di cancerogenicità è la negazione totale del principio di precauzione su cui sono nate le politiche di tutela ambientale e della salute dell’Unione Europea. Il comitato che ha esaminato la richiesta ha concesso oggi pomeriggio la proroga soprattutto grazie al fatto che la Germania si è schierata a favore dei 5 anni. Una brutta pagina anche per il governo tedesco, che lascia pensare al fatto che dopo l’acquisizione di Monsanto da parte della Bayer, il governo di Berlino pensi alla protezione dell’ambiente e della salute in maniera nettamente più tiepida che in passato”.
E’ molti dura la reazione della Coalizione italiana StopGlifosato, espressa dalla portavoce Maria Grazia Mammuccini. “Il rinnovo dell’autorizzazione all’uso del Glifosato per altri 5 anni rappresenta un’autentica truffa ai danni dei cittadini europei e dell’ambiente. Le 51 associazioni che fanno parte della Coalizione, assieme al grande movimento di cittadini che si sono mobilitati in Italia e in Europa, aveva chiesto lo stop immediato per una sostanza sicuramente dannosa, al di là delle polemiche sulla cancerogenicità. Come sappiamo, i cosiddetti Monsanto papers hanno svelato le pressioni e le interferenze della multinazionale produttrice sulle istituzioni di controllo europee”, continua Mammuccini.
“Ci pareva comunque sensata la proposta del governo italiano che proponeva un’uscita definitiva entro il 2020, una proposta che teneva conto delle esigenze dei cittadini di difendere la propria salute e della tutela degli ecosistemi naturali, garantendo i tempi necessari per l’esaurimento delle scorte. Non è andata così: la proroga non sembra contenere una clausola di cessazione per l’uso del glifosato e non introduce limitazioni specifiche in relazione alla tutela degli ambienti acquatici, in aperta contraddizione con gli obiettivi della Direttiva UE sulle acque e le Direttive UE sulla Biodiversità, Habitat e Uccelli. C’è chi spera che l’opinione pubblica dimentichi il glifosato in questi 5 anni. Non sarà così. Già ora l’impegno dei cittadini ha evitato che la proroga fosse addirittura di 10 anni, come proposto dalla Commissione Europea. Di fronte alle istituzioni UE si apre anche il problema dell’ICE, l’iniziativa dei cittadini europei contro il glifosato che ha raccolto un milione e 300 mila firme in 4 mesi. Noi – promette la portavoce della Coalizione – terremo alta la pressione sia a livello nazionale che internazionale”.

Per essere sempre informato sulle attività della Campagna StopGlifosato seguici su Facebook,
(hashtag #StopGlifosato)

Aderiscono alla Coalizione italiana #StopGlifosato: ACP-ASSOCIAZIONE CULTURALE PEDIATRI - AIAB -  ANABIO- APINSIEME – ARSIAL- ASSIS - ASSOCIAZIONE PER L’AGRICOLTURA BIODINAMICA - ASSO-CONSUM – ASUD – AVAAZ - CDCA – Centro Documentazione Conflitti Ambientali - CONSORZIO DELLA QUARANTINA – COORDINAMENTO ZERO OGM- COSPE ONLUS - DONNE IN CAMPO CIA LOMBARDIA – ECOFUTURO- EQUIVITA - FAI - FONDO AMBIENTE ITALIANO – FEDERBIO - FEDERAZIONE PRO NATURA - FORUM ITALIANO DEI MOVIMENTI PER L’ACQUA - FIRAB – GIGA – GIROS - GREEN BIZ - GREEN ITALIA - GREENME – GREENPEACE – GUARDIA RURALE AUXILIA – KYOTO CLUB - IBFAN- ITALIA - IL FATTO ALIMENTARE- IL TEST - ISDE Medici per l’Ambiente - ITALIA NOSTRA – LEGAMBIENTE – LIFEGATE - LIPU-BIRDLIFE ITALIA - MDC-MOVIMENTO DIFESA DEL CITTADINO - NAVDANYA INTERNATIONAL - NUPA-NUTRIZIONISTI PER L’AMBIENTE - PAN ITALIA – PesticideAction Network - REES-MARCHE - SLOW FOOD ITALIA - TERRA NUOVA - TOURING CLUB ITALIANO - UNAAPI-UNIONE NAZIONALE ASSOCIAZIONI APICOLTORI ITALIANI – UPBIO - VAS-VERDI AMBIENTE E SOCIETA’ - WWF ITALIA - WWOOF-ITALIA

La Portavoce del Tavolo delle associazioni
Maria Grazia Mammuccini, 3357594514
Gli uffici stampa:
AIAB  Michela Mazzali -
m.mazzali@aiab.it– Cell. 348 2652565
Lipu Andrea Mazza - andrea.mazza@lipu.it - Cell.3403642091
WWF Antonio Barone–a.barone@wwf.it – Cell. 340.9899147
Legambiente Milena Dominici - m.dominici@legambiente.it- Cell. 349.0597187
Luisa Calderaro – l.calderaro@legambiente.it - 06.86268353

Associazione Biodinamica Francesca Biffi - f.biffi@silverback.it - cell: 333 2164430

IL BIOLOGICO IN VIGNETO E FRUTTETO


AIAB mette in rete i suoi Biodistretti

E’ nata il 23 novembre a Roma, la Rete nazionale dei Biodistretti AIAB, alla presenza della maggioranza dei rappresentanti dei tanti biodistretti italiani. Oggi si contano poco più di 20 Biodistretti AIAB ma il numero è in costante aumento perché il modello ‘dal basso’ che valorizza il territorio e le piccole aziende bio funziona e piace sempre di più. AIAB si è data delle regole al riguardo. ‘Il marchio registrato Biodistretto - spiega Alessandro Triantafyllidis, coordinatore della Rete dei Biodistretti AIAB e presidente del Biodistretto ligure della Val di Vara - sarà autorizzato solo ai distretti che fanno parte della Rete AIAB e che aderiscono alle nostre linee guida, e il logo, che sarà abbinato al nome del distretto, potrà essere usato in affiancamento al logo creato dal distretto stesso'. Il biodistretto è un’area geografica, naturalmente vocata al biologico, dove agricoltori, cittadini, operatori turistici, associazioni e pubbliche amministrazioni stringono un accordo per la gestione sostenibile delle risorse, partendo dal modello di produzione agricola. La presenza e il protagonismo dei produttori biologici è la caratteristica che contraddistingue i Biodistretti AIAB: lo spirito di un biodistratto è fare della produzione biologica del territorio il motore dello sviluppo economico locale.
‘Parliamo dunque - sostiene il presidente dell’Associazione Italiana Agricoltura Biologica, Vincenzo Vizioli - di un modello che valorizzi i territori a partire dalle sue produzioni fatte spesso dalle piccole aziende agricole che presidiano da sempre il territorio e che sono oggi ancora più importanti in un momento in cui il biologico sta crescendo oltre ogni aspettativa attirando gli appetiti della grande distribuzione e di chi vede in esso solo un business mettendo in secondo piano l’aspetto del modello di sviluppo sostenibile’.
Il Biodistretto AIAB prevede un patto per lo sviluppo del territorio tra mondo produttivo, amministrazioni e società civile per affrontare in modo condiviso la governance del territorio, per lo meno nel settore dell'agricoltura, dell'ambiente e del turismo. I Biodistretti inoltre sono inoltre luoghi di sperimentazione: verso sistemi di garanzia e certificazione più snelli ed efficaci e metodi economici di produzione e gestione delle risorse naturali più performanti in termini economici, ambientali e sociali. 

 

L’UE rinnova per 5 anni l’autorizzazione al glifosato

 Altro articolo sul glifosate

Paesi UE, riuniti in Comitato d’Appello, hanno votato oggi, 27 novembre, a favore del rinnovo dell’autorizzazione all’uso in agricoltura dell’erbicida glifosato per cinque anni. Gli equilibri sono stati spostati dal voto positivo della Germania, che fino alla vigilia del voto si era espressa per l’astensione. Diciassette i Paesi favorevoli al rinnovo dell’autorizzazione, nove i contrari: Italia, Belgio, Grecia, Francia, Ungheria, Cipro, Malta, Lussemburgo e Lettonia. Astenuto il Portogallo. Contro la licenza si era esposta in modo particolare la Francia. Brune Poirson, della segreteria generale del ministero dell’Ambiente francese, ha affermato nel corso della riunione: ‘Il glifosato è un prodotto potenzialmente a rischio per la salute, per l’ambiente e la biodiversità’.
Prima e durante la riunione, davanti al quartier generale della Commissione europea, gli ambientalisti della Coalizione europea ‘Stop glifosato’ hanno inscenato una manifestazione di protesta, indossando maschere del presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker e del commissario UE alla Salute, il lituano Vytenis Andriukaitis, ed esponendo striscioni contro il glifosato.
Commentando l’approvazione della proposta della Commissione europea sul rinnovo per altri cinque anni dell’autorizzazione al glifosato, Federica Ferrario, responsabile campagna Agricoltura di Greenpeace Italia, ha detto: ‘Il voto odierno è un regalo alle multinazionali agro-chimiche, a scapito di salute e ambiente. Bene comunque il voto contrario dell’Italia che ha dimostrato nuovamente di dare priorità alla tutela delle persone, e non al fatturato di chi produce e commercia il glifosato’.
La decisione del Comitato d’Appello si basa su una dubbia valutazione del rischio sul glifosato, che afferma che non vi sono prove sufficienti su un legame della sostanza al rischio di cancro, nonostante l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) lo abbia classificato come ‘probabilmente cancerogeno' per le persone.
Allo stato attuale - sostengono i movimenti ambientalisti - nessuno può affermare con certezza che il glifosato sia sicuro, specie dopo le rivelazioni che stanno continuando a emergere grazie ai cosiddetti ‘Monsanto Papers’ e lo scandalo del 'copia-incolla', relativo a parti del rapporto dell’EFSA sui rischi dell’uso del glifosato copiate dalla richiesta di rinnovo dell’autorizzazione di Monsanto.
In Italia comunque resta il divieto di uso del glifosato nelle aree frequentate dalla popolazione quali parchi, giardini, campi sportivi e zone ricreative, aree gioco per bambini, cortili ed aree verdi interne a complessi scolastici e strutture sanitarie, ma anche in campagna in pre-raccolta "al solo scopo di ottimizzare il raccolto o la trebbiatura".  

Mercoledì 29 novembre tutti a Marano, in Valpolicella






FICO: Contadini, un supporto pubblicitario?

Il 15 novembre sono state aperte le porte di FICO, un parco dei divertimenti dellagro alimentare made in Italy. E un grande progetto multimilionario animato da EATALY, COOP, società di capitali, istituti finanziari (banche, assicurazioni etc.) e grandi imprese dellagro-alimentare. E  un parco di circa 10 ettari alle porte di Bologna che ospiterà oltre un centinaio di aziende, una quarantina di ristoranti, due campi coltivati, serre, capi di bestiame, laboratori di trasformazione e quantaltro necessario per dare vita ad un grande centro commerciale/parco divertimenti/itinerario didattico-divulgativo-promozionale. Lopera, costata oltre 150 mln di euro di investimenti, prende forma in unarea di proprietà pubblica del valore di 55 mln di euro concessa gratuitamente dal comune di Bologna al patron di EATALY Oscar Farinetti e alla società costituita Ad Hoc per la gestione del parco.
Le critiche mosse nei confronti di questa maxi opera in pieno stile e continuità con lappena conclusa e fallimentare esperienza di EXPO, sono numerose e provengono da diversi fronti.
Noi, contadine e contadini, dellAssociazione Rurale Italiana, oltre ad esprimere piena solidarietà e partecipazione nei confronti di chi in questi giorni ha contestato linaugurazione del mega progetto, consideriamo questo progetto inutile, dispendioso e soprattutto assolutamente incapace di dare voce e rappresentazione dellagricoltura contadina del nostro paese.
Essere contadini e produrre in modo contadino vuol dire valorizzare e promuovere la piccola produzione dei territori, fatta di tradizione e innovazione, conoscenza delle colture e risorse delle diverse aree del nostro paese, significa produrre in maniera solidale, stabilire un prezzo equo dei prodotti che sia rispettoso della dignità delle persone e del lavoro e capace di proporre prodotti di qualità anche per chi subisce più pesantemente la crisi economica. Produzione contadina significa alta intensità di lavoro e non di capitali e implica cura del territorio, delle sue risorse naturali al fine della tutela del patrimonio ecologico-ambientale e della biodiversità agricola. Solo un incompetente può dire di racchiudere tutta la meraviglia della biodiversità italiana in un unico luogo come si legge nella propaganda di FICO,  ricorda Roberto, contadino delle montagne piemontesi che recupera alla coltivazioni grani antichi.
Non esiste nessuna Fabbrica Contadina perché le nostre vite ci appartengono e non sono merce che si fabbrica.
I grandi attori nellagro alimentare italiano (EATALY, COOP, Granarolo) fanno propaganda ed i governi e le istituzioni si mobilitano: vengono messi a disposizione finanziamenti, servizi di supporto, affidamento di beni e patrimonio pubblico a titolo gratuito (come se questi colossi avessero scarsi capitali da impiegare in qualsivoglia iniziativa) e applicate leggi speciali che consentono e supportano lazione di questi operatori.  
Da anni migliaia di veri contadini di questo paese, quelli che fanno vivere oltre 700.000 aziende di piccola dimensione, attendono lapprovazione di una legge che riconosca la loro specificità, la loro funzione sociale, i loro diritti e che legittimi, riconosca e valorizzi il lavoro sia di produzione agricola che di cura del territorio, in accordo con quanto previsto dalla Costituzione Italiana.
FICO, per noi di Associazione Rurale Italiana, è solo   unaltra   trovata propagandistica di chi, governando le istituzioni, si ostina a non voler conoscere e riconoscere il ruolo di veri protagonisti ad una classe, quella contadina, che nonostante i sacrifici e le vessazioni subite non si presta alla strumentalizzazione di quanti coinvolti in queste grandi opere di menzogna.


Lanciamo la sfida a i nostri governanti presenti e futuri: se volete veramente tutelare e promuovere lagricoltura contadina fatevi avanti per lapprovazione della legge sullagricoltura contadina, frutto di una partecipata campagna nazionale e che giace da diversi anni in commissione agricoltura del Parlamento e riconoscere così  i diritti di chi davvero in questo paese - e nel resto del Pianeta -   produce la quasi totalità di quello che finisce in tavola. Una sfida che non costa soldi ma richiede solo un gesto di rispetto per la dignità di donne e uomini che sono ancora il motore più efficace di una delle grandi agricolture del mondo.

Associazione Rurale Italiana
per la crescita della società civile, un'agricoltura contadina socialmente giusta ed un corretto utilizzo di tutte le risorse naturali rispettoso della biodiversità, attento ad una produzione ecologicamente durevole per la Sovranità Alimentare.
Corte Palù della Pesenata, 5 Colà di Lazise 37017 (VR)
www.assorurale.it  info@assorurale.it