Milleauguri per un 2021 sereno. TERRA VIVA VERONA

 


Negrar, un appello per il restauro

A fine maggio il mondo intero si interessava alla Valpolicella. Oggetto di tale attenzione non era né il pregiato vino prodotto e nemmeno la pietra qui estratta ma una ri-scoperta archeologica. 

Persino il New York Times dedicava un articolo al ritrovamento, giudicandolo unico:  gli archeologi avevano riportato in luce, in località Corteselle, a Villa di Negrar, straordinarie testimonianze musive. Grazie infatti all’intervento della Soprintendenza di Verona, Rovigo e Vicenza, del funzionario Gianni de Zuccato  e dell’archeologo Alberto Manicardi, erano tornati alla luce gli splendidi pavimenti riconducibili ad una grande sala di rappresentanza che doveva far parte di una lussuosa villa che nel corso del III-IV secolo d.C. sorgeva in questa località della Valpolicella. Una grande residenza signorile di campagna, con numerosi ambienti che doveva fungere da motore per l’economia della zona ed essere un punto nodale del controllo delle risorse e della produzione. 

I lavori per l’indagine dell’area, filmati, fotografati e visti da tutto il mondo attraverso televisione e social proseguirono fino a luglio. Poi si fermarono e più non ripresero mentre il mondo intero veniva messo duramente alla prova dalla seconda ondata di Covid-19. Da allora i mosaici giacciono coperti in attesa di una ripresa dello scavo, di un intervento per il loro restauro che ne consenta la conservazione e la loro futura fruizione. Un così grande tesoro, messo più volte in luce a partire dal 1887-1888 poi nel 1922, quindi nel 1975 ed infine oggi, richiede, spiega il funzionario de Zuccato, altrettanto rilevante cura che consenta un’adeguata restituzione alla comunità e a tutti coloro che volessero osservarlo da vicino. Ma la tutela necessaria richiede molto denaro che al momento non c’è. Lo dimostra una situazione analoga egregiamente gestita, spiega sempre de Zuccato, nel paese di Spello in Umbria, l’antica Hispellum, dove 500 metri quadrati di mosaici, altrettanto raffinati e preziosi, sempre relativi ad una villa di IV secolo, sono stati sistemati e restituiti alla comunità, con un ritorno turistico importante ed un impatto minimo sul panorama circostante. Una struttura architettonica moderna è stata realizzata a copertura dei reperti, pensata in armonia con il paesaggio e sulla quale è stato ricreato idealmente il piano di campagna che ha coperto per secoli i resti della villa. La spesa ha richiesto circa 4 milioni di euro. Somma che sarebbe necessaria anche a Negrar e che potrebbe rappresentare un rischio, quello di veder cadere nell’oblio i mosaici e la storia che ruota loro intorno, come già era accaduto cento anni fa. 

Tanti sono i motivi per cui i pavimenti di Negrar meriterebbero l’adeguata tutela e lo sforzo economico richiesto. Innanzitutto la sua operosa ed attiva comunità che ha saputo rendere grande il nome del proprio territorio nel mondo. La stessa  Valpolicella che nei secoli ha restituito numerose testimonianze del passato e che Lanfranco Franzoni, archeologo e direttore per alcuni anni dei Civici Musei d’Arte di Verona, ammirava per la sua “fertilità archeologica”. Ma anche per coloro che hanno contribuito con il proprio studio alla scoperta e alla divulgazione del sito. Una tra tutte Tina Campanile che qui operò nel 1922. In anni non facili per il nostro paese l’archeologa seppe imporsi come donna, come studiosa e come lavoratrice che con rigore ed attenzione indagò l’area, restituendo agli archeologi di oggi riflessioni e considerazioni ancora valide. Tina Campanile, spiega Sofia Piacentini ricercatrice presso l’università di Bordeaux e che alla storia degli studi ha dedicato la propria tesi di laurea, fu la prima donna ammessa alla prestigiosa Scuola Archeologica di Atene e che per prima riconobbe il mito che viene rappresentato in uno dei mosaici, quello di Pelope e Ippodamia, poi staccati e oggi visibile in una delle sale del Museo Archeologico al Teatro Romano. Dunque un appello sentito e accorato verso tutti coloro che vogliano sostenere l’iniziativa di salvare i mosaici di Negrarconcedendo ai reperti la possibilità di essere restaurati, protetti e di diventare parte del patrimonio che lasceremo in eredità ai nostri figli e alle generazioni che verranno.

tratto da: https://www.heraldo.it/2020/12/16/negrar-un-appello-per-il-restauro/

Il calendario lunare 2021

 tratto da: https://www.coltivazionebiologica.it/calendario-lunare/

Il calendario lunare è uno strumento che permette ai contadini di capire qual è il momento ideale per effettuare i lavori di cui necessita l’orto. Si tratta di un semplice  calendario, arricchito però con le fasi lunari e i suggerimenti dei lavori da effettuare nel campo, a seconda dei mesi. In questo modo, i contadini che lo desiderano, potranno consultarlo per decidere il momento giusto per la semina e il trapianto dei loro ortaggi, quando effettuare le potature, e come organizzare tutte quelle operazioni tecniche che permettono alle piante di produrre frutti sani e gustosi e di farlo in modo abbondante.

Vi abbiamo già parlato del perché la luna è considerata importante in agricoltura. Con questo utile strumento, potrete quindi mettere in pratica tutti i consigli appresi fin qui e capire come muovervi nel vostro orto per tutti i 365 giorni dell’anno.
Con il termine calendario lunare, si intende un sistema di datazione basato su un anno composto da mesi sinodici, ossia cicli completi delle fasi lunari. Il più antico calendario di questo genere ad oggi rinvenuto è databile a circa 10.000 anni fa, identificato addirittura in un ciottolo risalente al Paleolito. In ogni anno solare (o anno delle stagioni) ci sono circa 12,37 mesi sinodici. Pertanto, se un calendario dell’anno lunare deve essere mantenuto al passo con l’anno stagionale, è necessaria una periodica aggiunta di giorni: la cosiddetta intercalazione.


Perché consultare un calendario lunare

All’interno di un calendario lunare moderno, oltre alle fasi della luna, si trovano molte informazioni tecniche importanti per quanto riguarda la cura di un orto. È dunque sempre buona norma consultarlo, al fine di non commettere grossolani errori sia nella scelta delle piante che si decide di volta in volta di coltivare, che nelle tempistiche di semina e piantumazione. Questa tipologia di calendari ci permette di stilare un’agenda puntuale dei lavori da fare, evitando quindi di perdere il passo con le stagioni e mantenendo un certo equilibrio nel nostro orto.

A cosa serve il calendario lunare

Prima ancora della semina e dei trapianti è importante lavorare bene il terrenoconcimarlo, preparare eventualmente l’impianto di irrigazione, realizzare le trappole cromotropiche e/o a feromoni e tutti gli altri sistemi di difesa meccanica dai parassiti delle piante. Una volta effettuale le semine e i trapianti (seguendo le giuste fasi lunari), diventano poi importanti i lavori di pacciamaturapotatura delle piantesfemminellaturasarchiaturarincalzatura, la realizzazione delle strutture per le specie rampicanti, la preparazione dei macerati naturali, gestire la protezione dalle intemperie e tanto altro ancora. Tutte operazioni per le quali è necessario avere una buona agenda organizzata. Ecco dunque che un il calendario della luna diventa un aiuto organizzativo fondamentale.

I diversi calendari lunari nella storia

I Sumeri furono probabilmente i primi a sviluppare un calendario basato interamente sulla ricorrenza delle fasi lunari. Ogni mese sumero-babilonese iniziava con la Luna nuova. Sebbene periodicamente fosse usato un mese intercalare, queste intercalazioni erano casuali, inserite quando gli astrologi si rendevano conto che il calendario era divenuto sfasato rispetto alle stagioni. A partire dal 380 a.C. circa, tuttavia, furono stabilite regole fisse riguardanti le intercalazioni, prevedendo la distribuzione di sette mesi intercalari a intervalli designati su periodi di 19 anni. Furono gli astronomi Greci, però, a organizzare delle vere regole per le intercalazioni, così da coordinare al meglio gli anni lunari e solari. È probabile che il calendario repubblicano Romano fosse basato sul calendario lunare dei Greci.

Ebraico

I calendari lunari rimangono oggi in uso tra alcuni gruppi religiosi. Il calendario ebraico, che presumibilmente risale a 3.760 anni e tre mesi prima dell’era cristiana, ne è un esempio. L’anno religioso ebraico inizia in autunno e consiste in 12 mesi alternati tra 30 e 29 giorni. Consente un anno bisestile periodico e un mese intercalare.

Musulmano

Il calendario lunare musulmano risale invece all’Egira, anno 1 dell’Islam (15 luglio 622 d.C.), il giorno in cui il profeta Maometto ha iniziato la sua migrazione dalla Mecca a Medina. Nella sua struttura, però, non si fa alcuno sforzo per tenere insieme lo sfasamento degli anni rispetto ai cicli stagionali.

Il calendario della luna mese per mese

SCARICA IL CALENDARIO LUNARE DI COLTIVAZIONE BIOLOGICA ►




BOSCÀJA Contadine/i e imprese per il clima (MAG VERONA)

Progetto nato per un rimboschimento responsabile della provincia di Verona. Le realtà fondatrici di questa idea sono Ca’ Magre, A.Ve.Pro.Bi (Associazione Veneta Produttori Biologici), A.R.I. (Associazione Rurale Italiana), Co.Ge.V. (Cooperativa Gestione Verde), Terra VivaBaldo FestivalMag e la Rete delle Nuove Vite Contadine.

“Il momento migliore per piantare un albero era vent’anni fa. Il secondo miglior momento è ora.” (Proverbio cinese)


 

OBIETTIVO Affrontare il problema del cambiamento climatico, divenuto oramai urgente ed improcrastinabile, facilitando l’incontro tra Contadine/i e possibili Sostenitori, ponendosi l’obiettivo di piantare nuovi boschi nella provincia di Verona e dintorni. 

 

RUOLI Contadine e Contadini che si impegnano a piantare e manutenere i nuovi boschi nelle proprie aziende agricole o in appezzamenti conferiti da altri.

Aziende e soggetti Sostenitori che si impegnano a fornire le risorse necessarie acché ciò avvenga.

Comitato BOSCÀJA che si impegna nel coordinamento, promozione e supervisione del progetto cercando di mantenere la sostenibilità e la totale trasparenza.

 

RIFLESSIONI Oltre ai benefici ambientali, questa iniziativa avrà impatti positivi anche dal punto di vista sociale e da quello economico, creando occasioni di sviluppo locale.

Per le imprese donatrici diventa opportunità per esprimere la propria responsabilità sociale e riparare ad eventuali impatti ambientali dovuti ai loro processi produttivi.

 

Per approfondire scarica l’intero progetto:

http://magverona.it/wp-content/uploads/2020/12/Progetto-Boscaja.pdf

Consuntivo vendemmia 2020 e focus su "Il mercato del vino"

Veneto Agricoltura, l’Agenzia veneta per l'innovazione nel settore primario è l'ente strumentale della Regione del Veneto, che svolge attività di supporto alla Giunta Regionale nell’ambito delle politiche per i settori agricolo, agroalimentare, forestale e della pesca. Inoltre si occupa di ricerca applicata e sperimentazione finalizzate al collaudo e alla diffusione delle innovazioni tecnologiche e organizzative volte a migliorare la competitività delle imprese e delle filiere produttive, la sostenibilità ambientale, nei comparti agricolo, agroalimentare, forestale e delle pesca. E anche diffusione, supporto e trasferimento al sistema produttivo delle innovazioni tecnologiche, organizzative, di processo e di prodotto, ivi compresi i processi di valorizzazione e certificazione della qualità, anche avvalendosi di strutture produttive private rappresentative delle diverse realtà produttive del territorio regionale; salvaguardia e tutela delle biodiversità vegetali e animali autoctone di interesse agrario, naturalistico e ittico nonché gestione del demanio forestale regionale. Ha il compito di raccordo fra strutture di ricerca presenti sul territorio regionale, al fine di trasferire e testare la domanda di innovazione proveniente dagli operatori. 

Veneto Agricoltura - Agenzia veneta per l'innovazione nel settore primario 
Viale dell’Università, 14 - 35020 Legnaro (PD) 
Tel. 049/8293711 Fax. 049/8293815  e-mail: info@venetoagricoltura.org



Terzo evento del Trittico vitivinicolo, con i dati consuntivi dell'ultima vendemmia e un focus sull'export di vino veneto

Mer, 23 dicembre 2020

10:30 – 13:00


Informazioni sull'evento

Con questo convegno, promosso da Veneto Agricoltura d’intesa con Regione Veneto e AVEPA, si chiude il cerchio sulla vendemmia 2020. Si conclude cioè la serie di incontri annuali (Trittico Vitivinicolo) dedicata al comparto del vino veneto che ormai da molti anni si pone l’obiettivo di seguire le diverse fasi dell’annata vitivinicola nella nostra Regione.

Nel terzo evento del Trittico saranno presentati i dati consuntivi dell’ultima vendemmia nel Veneto, in particolare saranno illustrate le risultanze definitive nelle diverse aree viticole regionali.

PROGRAMMA 

Ore 10:30 - Saluti

Alberto Negro, Commissario straordinario di Veneto Agricoltura

Federico Caner, Assessore all’Agricoltura della Regione Veneto

Ore 10:15 - Consuntivo della vendemmia 2020 nel Veneto : produzioni e certificazioni dei vini veneti

Nicola Barasciutti, Regione Veneto - Direzione Agroalimentare

Luca Furegon, Avepa - Settore Produzioni Agricole

Ore 10:40 - L’export di vino veneto

Enrico Specchio, Alessandra Padoan, U.O. Sistema Statistico Regionale - Regione Veneto

Ore 11:00 – Le vendite di vino online nei mercati internazionali

Josè Rallo – Consigliere di Amministrazione ICE

Ore 11:15 – GDO: vendite di vino nell’anno della pandemia e prospettive

Francesco Scarcelli – Coop Italia

Ore 11:30 – Gli orientamenti dei buyer internazionali

Fabrizio Gatto – Consulente settore vinicolo

Ore 11:45 – Discussione


Nel 2020 restano stabili i prezzi delle uve venete

 TRATTO DA: https://www.venetoagricoltura.org/2020/12/temi/nel-2020-restano-stabili-i-prezzi-delle-uve-venete/


Il vigneto veneto nel 2019 è arrivato a quota 97.348 ettari, continuando così l’andamento di forte crescita (+30% rispetto al 2010), grazie al potente traino rappresentato dalle varietà Glera e Pinot grigio, risultando così in controtendenza rispetto all’andamento nazionale (-5,7% in Italia rispetto al 2010). I numeri confermano l’egemonia dei vigneti a Glera e Pinot grigio, visto che attualmente rappresentano, rispettivamente, il +36,6% e +18,0% del totale delle superfici vitate in Veneto.

Gli esperti del settore stimano per questo ultimo anno una produzione di uva pari a 13,8 milioni di quintali, con un aumento del +5,1% rispetto al 2019 e una buona qualità delle uve, che ha dato vita a ottimi vini e, in alcuni casi, anche eccellenti. La produzione di vino veneta, stimata nel 2020 in 10,9 milioni di ettolitri, presenta un incremento produttivo del +5,6%, al contrario di quanto rilevato su scala nazionale, visto che il vino prodotto in Italia si è fermato a 46,6 milioni di ettolitri e con una decrescita del 2% rispetto a quanto registrato nel 2019.

Il prezzo medio alla produzione dell’uva del 2020 per l’intero Veneto è stato di 0,58 euro/kg, in linea con quello veronese (0,57 euro/kg), mentre a Padova la quotazione si è bloccata a 0,46 euro/kg. Treviso continua a detenere la leadership regionale della quotazione medie delle uve, con un valore d’acquisto di 0,71 euro/kg. Le uve DOC e DOCG hanno mantenuto maggiormente le variazioni del prezzo in territorio positivo, mentre per quelle IGT ha prevalso il segno meno.

Resta invariata la quotazione generale delle uve venete rispetto al 2019, con perdite rilevate a livello provinciale che vanno dal -2,0% per Verona al -1,3% di Padova. Solo Treviso nel 2020 presenta i prezzi in crescita del +2,5%, grazie al buon rendimento delle uve Doc e Docg (+7,5%).

Attualmente il contesto mondiale del mercato del vino è praticamente “ingolfato” dalla pandemia da COVID-19, che inevitabilmente ha rallentato le vendite interne e, di conseguenza, anche quelle internazionali. Le cantine hanno tanto prodotto invenduto dell’annata scorsa, con le giacenze che fortunatamente non verranno ulteriormente ingrossate dalla vendemmia 2020, che al momento sembra non essere abbondante. Anche la crescita esponenziale del commercio internazionale di vino veneto, come per quello italiano, paga le conseguenze di questo periodo di forti restrizioni, facendo segnare nei primi sei mesi dell’anno, dopo tanto tempo, un calo del -3,6% delle vendite all’estero, ma con la speranza per gli operatori vinicoli che questa perdita possa essere limata in positivo durante le prossime feste natalizie.

Scarica qui il report

Corso di formazione per tecnici consulenti nella difesa fitosanitaria – on line – Prima edizione 2021

 tratto da: https://www.venetoagricoltura.org/evento/corso-di-formazione-per-tecnici-consulenti-nella-difesa-fitosanitaria-on-line-prima-edizione-2021-cod-1-21/

CORSO ON LINE – FORMAZIONE A DISTANZA (FAD)

Date in via di definizione

FORMAZIONE OBBLIGATORIA FINALIZZATA ALL’AMMISSIONE ALL’ESAME PER IL RILASCIO DEL “CERTIFICATO DI ABILITAZIONE ALLO SVOLGIMENTO DELLA CONSULENZA IN MATERIA DI USO SOSTENIBILE DEI PRODOTTI FITOSANITARI E METODI DI DIFESA ALTERNATIVI”
(ai sensi del D.Lgs 150 del 14/08/2012, DM 22/01/2014 e DGR n. 1101 del 18/08/2015)

Il percorso formativo, le cui caratteristiche sono specificatamente definite dalla normativa a livello nazionale e regionale, costituisce requisito obbligatorio per chiunque intenda ottenere il certificato di abilitazione all’attività di consulente nell’ambito della difesa fitosanitaria a basso apporto di prodotti fitosanitari, indirizzata anche alle produzioni integrata e biologica, all’impiego sostenibile e sicuro dei prodotti fitosanitari e ai metodi di difesa alternativi.

INFORMAZIONI GENERALI (requisiti minimi di accesso, metodologia formativa, numero partecipanti, modalità di partecipazione)

Destinatari

Il percorso di formazione si rivolge esclusivamente a tecnici e consulenti che intendono operare nel campo dell’assistenza e consulenza alle imprese in materia fitosanitaria. Non verranno ammessi i soggetti considerati “esonerati” dalla DGRV 1101 del 18/08/2015 (vedi paragrafo “soggetti esentati”).
Alla conferma dell’iscrizione il partecipante dovrà presentare una dichiarazione circa il possesso dei requisiti minimi e la condizione di non esonero.

Articolazione, programma e calendario didattico del corso
Il calendario di questa edizione sarà articolato in 4 Unità didattiche per complessive 32 ore e si svolgerà nei mesi di gennaio-febbraio 2021 (le date sono in via di definizione). Il corso di formazione finalizzato all’ammissione all’esame per il rilascio del certificato, come descritto al punto 3.6 dell’allegato A alla DGR n. 1101 del 18/08/2015, prevede un programma articolato in 4 Unità Didattiche, per complessive 32 ore di lezione, di cui si riporta il sommario:
UD 1 – Legislazione e analisi dei rischi (12 ore)
UD 2 – Analisi dei rischi e gestione dei prodotti fitosanitari (4 ore)
UD 3 – Competenze tecniche specialistiche per il tecnico consulente (14 ore)
UD 4 – Abilità tecniche e comportamenti del tecnico consulente (2 ore)

Quote di iscrizione
La partecipazione prevede il pagamento di una quota di iscrizione (esente IVA ai sensi dell’art. 10, n.20 del D.P.R. n.633 del 1972) di 350,00 Euro.

Modalità di iscrizione
Il corso prevede la costituzione di una “classe” con un minimo di 20 ed un massimo di 30 corsisti. ATTENZIONE Per questa edizione del corso accesso riservato a quanti abbiano già inviato nei mesi precedenti la richiesta di partecipazione o che per le edizioni precedenti siano risultati esclusi per raggiunti limiti di posti disponibili.

Per effettuare nuove preadesioni al corso cod. 1-21 collegarsi alla piattaforma CIP – Centro di Informazione Permanente di Veneto Agricoltura – Agenzia Veneta per l’innovazione nel Settore Primario.

Per gli utenti non ancora registrati alla piattaforma:

Accedere via web alla pagina: www.regione.veneto.it/centroinformazionepermanente/Login.aspx   dove sono disponibili tutte le istruzioni e informazioni di dettaglio per effettuare la registrazione al Centro di Informazione Permanente di Veneto Agricoltura. Una volta effettuata la registrazione, che resta valida per la partecipazione a qualsiasi altra iniziativa di Veneto Agricoltura, potrai effettuare la preadesione allo specifico corso prescelto. La registrazione al CIP dà la possibilità di essere costantemente aggiornati sulle iniziative informative, formative ed editoriali di Veneto Agricoltura.

Per gli utenti già registrati: E’ sufficiente accedere con la propria password alla pagina: www.regione.veneto.it/centroinformazionepermanente/Login.aspx  e indicare l’iniziativa a cui si intende partecipare.

Informazioni
Veneto Agricoltura – Agenzia veneta per l’innovazione nel settore primario – Settore Economia, Mercati e competitività tel. 049.8293.711 – 049.8293.823 – e-mail: divulgazione.formazione@venetoagricoltura.org


A Natale l’albero bio rende più sicuro tutto l’anno

Negli Usa solo l’1% degli alberi di Natale viene coltivato senza utilizzare pesticidi. Per gli altri si arriva all’uso di elicotteri per i trattamenti di chlorpyrifos


In media ogni anno solo negli Usa si acquistano dai 25 ai 30 milioni di alberi di Natale. Quelli veri. Di questi solo l’1% è costituito da alberi biologici, ovvero fatti crescere secondo gli standard di coltivazione organica indicati dal Dipartimento dell’agricoltura statunitense (USDA). Tutti gli altri sono coltivati con metodi convenzionali. 

In media per ottenere un albero di Natale “adatto”  per essere venduto ci vogliono circa 12 anni. Durante questo periodo le piante anno sono trattate con prodotti fitosanitari come pesticidi, fertilizzanti, fungicidi e diserbanti al pari di ogni altra coltivazione convenzionale. Anzi di più. Infatti, visto che l’albero di Natale “non si mangia” e la sua estetica è essenziale affinché sia venduto, la chimica di sintesi viene utilizzata in abbondanza per uccidere i parassiti che potrebbero danneggiare l’albero, la sua forma, il colore. 

L’indagine del Center for Biological Diversity

Secondo una recente indagine del Center for Biological Diversity,  nei sei Stati Usa dove si si coltivano abeti natalizi, ogni anno si utilizzano per gli alberi di Natale 123 tonnellate  di prodotti fitosanitari. E l’85% di tali sostanze sono pesticidi altamente tossici come clorotalonil, atrazina, simazina, glifosato, esazinone, carbaryl, clorpirifos e dimetoato. Si tratta di prodotti chimici con effetti negativi documentati per l’uomo, potenzialmente in grado di produrre disturbi ormonali, danni agli organi, patologie oncologiche. 

Per quanto riguarda il glifosato, uno studio della North Caroline State University  indica che nelle coltivazioni di abeti di Natale di questo Stato nel 2018 sono stati utilizzati glifosato e insetticida bifenthrin rispettivamente sul  97,5%  e sul 43% degli alberi. 

Anche se queste sostanze vengono spruzzate in estate, quindi alcuni mesi prima che l’albero sia venduto, non si può escludere che residui di pesticidi possano comunque rimanere negli aghi di pino e nella corteccia. Con il rischio di contaminare l’ambiente domestico, soprattutto bambini e animali domestici che più spesso sostano vicino all’albero.

Ma se non è chiaro in che misura i residui di pesticidi possono rimanere sull’albero, le contaminazioni ambientali legate alla coltivazione convenzionale di milioni di alberi sono purtroppo ampiamente documentate. Proprio perché l’albero di Natale “non si mangia”, la sua coltivazione è spesso oggetto di deroghe ed eccezioni. A partire dall’annullamento ottenuto nel 2019 dai coltivatori di abeti delle numerose restrizioni sull’impiego di pesticidi precedentemente  introdotte da Obama. Per arrivare alla speciale autorizzazione ricevuta da numerose contee dell’Oregon che consente di utilizzare gli elicotteri per trattare gli alberi con chlorpyrifos. 

TRATTO DA: https://www.cambialaterra.it/2020/12/a-natale-lalbero-bio-rende-piu-sicuro-tutto-lanno/

La battaglia contro i microveleni si vince non utilizzandoli

Minuscoli, difficili da eliminare, pericolosi per l’ambiente e la salute dell’uomo. Uno studio del French National Institute for Agricultural Research (INRAE)  pubblicato su Water Research,  ha rilevato la presenza di microinquinanti nelle acque in  uscita degli impianti di depurazione. 

Molecole di sostanze chimiche quali pesticidi, idrocarburi, ormoni, medicinali  in bassissima concentrazione –   si parla di microgrammi e nanogrammi per litro d’acqua –  che proprio per questo non sono intercettati dagli impianti di trattamento e finiscono nei corsi d’acqua. Quantità minime appunto ma che secondo i ricercatori hanno significativi impatti potenziali sull’ecosistema acquatico e sulla salute umana.

Lo studio in realtà ha potuto analizzare solo un terzo dei 286 microinquinanti classificati prioritari dall’Unione Europea o risultanti da studi scientifici. Per gli altri mancano molti dati e informazioni. Ma già concentrandosi su queste 88 sostanze sono emersi i pesanti impatti ambientali legati al loro utilizzo. Tali da poterli considerare responsabili della scomparsa di una specie acquatica ogni 10 anni.

Tra i microinquinanti analizzati ci sono pesticidi come la cipermetrina molecola presente negli insetticidi, residui di antibiotici e ormoni. In tutti e tre i casi si tratta di sostanze collegate ad attività umana. 

“I pesticidi provengono naturalmente dai terreni agricoli, attraverso la diffusione di prodotti fitosanitari. Ormoni e residui di farmaci arrivano in gran parte direttamente da ciò che noi e gli animali stipati negli allevamenti intensivi consumiamo”, ha spiegato Dominique Patureau, ricercatore presso il laboratorio di biotecnologie ambientali dell’Inrae.

Il fatto è che alcune sostanze chimiche non si degradano velocemente ma persistono in ambiente continuando a contaminare gli ecosistemi, a volte anche per decenni. E’ il caso dei Pcb, bifenili policlorurati, banditi in Francia dal 1987 ma tuttora presenti nelle acque. 

Per questo l’unica soluzione è non introdurle affatto

Su questo la Francia si sta già muovendo. Dal 2017 è vietato l’uso di prodotti fitosanitari nelle aree pubbliche ed entro il 2025 il governo vuole ridurre del 50% l’uso di pesticidi. L’alternativa – cioè pensare di gestire la presenza di queste sostanze – oltre che rischiosa è molto costosa. Secondo il piano microinquinanti 2016/2021 del Ministero dell’Ambiente, eliminare un chilogrammo di pesticidi dalle acque costa fino a  200.000 euro.

TRATTO DA:  https://www.cambialaterra.it/2020/12/la-battaglia-contro-i-microveleni-si-vince-non-utilizzandoli/?utm_source=Newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=NewsletterCLT

Corso online. SISTEMI AGRICOLI RESILIENTI

 


Ciòcheciò: la cucina del riuso parte dal Veneto e fa il giro del mondo

La cucina supera la prova del Covid-19 e adotta la filosofia anti-spreco. Lo testimonia la community della “Staffetta di Cucina Ciocheciò”, ovvero fatta con quel che si ha, nata grazie al sodalizio tra settantanove appassionati di cucina e del territorio provenienti da quattro continenti diversi e in rappresentanza di quindici nazioni, che ha appena pubblicato il libro di ricette “La Staffetta di cucina ciocheciò. Ricette e storie dal mondo”,edito da Edizioni Zem, ispirate al cucinare con quello che si trova in dispensa o con gli avanzi, l’essenza della cucina “ciocheciò”. Molti i veneti protagonisti del libro della cucina del “Ciò-che-Ciò”: Marisa Saggiotto, operatrice della Comunità Wigwam di Cologna Veneta nonché presidente di Sezione Fidapa ed ancora Daniela Rapetta, Enrica Claudia De Fanti, Giovanni Cecconi, Margherita Voltolina, Flavia Mognetti Cordioli, Massimo Zuliani e Michele Pigozzo tutti accomunati dalla passione per la cucina e da una filosofia anti-spreco, oltre che dalla voglia di condividere foto, video e ricette.

https://ciochecio.wordpress.com



Ecco cosa si può usare nell’agricoltura biologica

L’elenco dei mezzi tecnici utili nei campi bio è uno strumento per favorire lo sviluppo del settore e difenderne la credibilità

In Italia dal 2010 la superficie coltivata a bio è cresciuta del 76%, le aziende bio sono aumentate del 66% e il mercato del biologico ha registrato un boom del 171% rispetto al 2008. Dati incoraggianti che determinano lo sviluppo di servizi e prodotti per sostenere l’ulteriore crescita del settore. Continuando a garantire standard di qualità ai prodotti e credibilità sul mercato.


In questo scenario uno strumento essenziale per gli agricoltori biologici si sta rivelando l’Italian Input List. Disponibile on line dal 30 marzo scorso, è l’elenco dei mezzi tecnici  fertilizzanti, ammendanti e altri preparati necessari per la cura e la gestione delle colture – che possono essere utilizzati in Italia nelle coltivazioni bio. 

L’elenco – nato dalla collaborazione tra FiBL (Istituto svizzero di ricerca e di consulenza in agricoltura biologica a livello europeo) e FederBio – è il risultato di una valutazione approfondita dei prodotti commerciali rispetto alla loro conformità alla legislazione cogente e agli ulteriori requisiti richiesti. 

L’Italian Input List rappresenta un supporto importante per i tecnici e gli agricoltori del settore biologico perché consente di evitare il rischio contaminazione legato all’uso di  prodotti contenenti sostanze non autorizzate e non dichiarate in etichetta, come fosfiti e matrina. Trovare tracce di sostanze “indesiderate” nei prodotti bio infatti non solo determina un grave danno economico per gli agricoltori biologici che si trovano declassati tali prodotti,  ma rischia di incrinare anche il rapporto di fiducia con i consumatori. 

L’elenco dei mezzi tecnici aumenta la trasparenza e promuove un approccio armonizzato e olistico sulla valutazione degli input utilizzabili in agricoltura biologica. Una precauzione in più per evitare contraffazioni e mistificazioni. A tutela prima di tutto degli operatori biologici e del consumatore. Ma anche per agevolare il lavoro degli organismi di controllo e certificazione autorizzati. 

tratto da: https://www.cambialaterra.it/2020/12/ecco-cosa-si-puo-usare-nellagricoltura-biologica/?utm_source=Newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=NewsletterCLT

ITA.BIO: LA PRIMA PIATTAFORMA DEL BIO ITALIANO NEL MONDO PROMOSSA DA ICE E FEDERBIO E A CURA DI NOMISMA

Bio made in Italy top della qualità per quasi un terzo dei consumatori negli USA vino il prodotto di punta ma il 43% rischia di acquistare prodotti che richiamano erroneamente il made in italy. É quanto emerge dall’analisi di Nomisma per la Piattaforma ITA.BIO (www.ita.bio) nel primo focus dedicato agli Stati Uniti. Il 29 gennaio 2021 il focus Cina.



Bologna, 10 dicembre 2020 – Secondo partner commerciale per l’Italia nel Food & Beverage e primo al mondo per import agroalimentare e per il consumo di prodotti BIO, gli Stati Uniti rappresentano uno dei mercati più promettenti per il nostro Made in Italy. Lo pensa anche il 26% delle imprese bio intervistate da Nomisma per ICE e Federbio. I risultati dell’indagine sulle aziende assieme a quelli di una survey sul consumatore statunitense, sono stati presentati ieri, in occasione del lancio del progetto ITA.BIO, la prima piattaforma online di dati e informazioni per l’internazionalizzazione del biologico Made in Italy.

IL RUOLO DELL’EXPORT NEL BIO MADE IN ITALY 

Più che positiva, nonché superiore a quella registrata dall’export agroalimentare nel suo complesso, la performance dell’export bio: nel 2020 le vendite di prodotti agroalimentari italiani bio sui mercati internazionali hanno raggiunto 2,6 miliardi di euro, mettendo a segno una crescita dell’8% rispetto all’anno precedente – crescita più accelerata rispetto all’export agroalimentare nel complesso (+4% registrata dall’export). Riconoscimento del bio Made in Italy sui mercati internazionali testimoniato anche della crescita di lungo periodo (+149% rispetto al 2009) e dalla quota di export sul paniere Made in Italy (6% sull’export agroalimentare italiano totale).

I NUMERI CHIAVE DEL BIO IN USA

Con 4,6 mld € di esportazioni F&B italiane nel 2019 (+11% rispetto al 2018) gli Stati Uniti rappresentano il secondo mercato di destinazione del nostro agroalimentare.

Forte l’interesse verso il bio: ne sono conferma i numeri del settore, tutti in crescita: 2 milioni di ettari coltivati secondo il metodo biologico nel 2018 (+14% rispetto al 2010) e 18.166 operatori nel comparto (+38% dal 2010 al 2018). Con un valore di quasi 45 miliardi di euro nel 2019 (+4,6% rispetto al 2018 e +158% sul 2010 – fonte: Organic Trade Agency – con una quota di vendite bio sul totale della spesa alimentare che sfiora il 6%), gli Stati Uniti rappresentano il primo mercato al consumo per prodotti alimentari BIO (oltre il 40% delle vendite mondiali nel 2018).

Alla base della crescita il maggior assortimento di prodotti a marchio bio nella grande distribuzione (5,8% l’incidenza del bio sul totale del carrello nel 2019, era solo 3,4% nel 2010), ma anche l’ampia consumer base, un diffuso interesse per il cibo salutare (65% dei consumatori scelgono avendo cura degli impatti del cibo sulla salute -– survey Nomisma) e per la salvaguardia dell’ambiente (il 25% dei consumatori la pandemia ha aumentare la consapevolezza dell’importanza di acquistare cibo rispettoso dell’ambiente – survey Nomisma).

IL CONSUMATORE BIO IN USA

I dati della consumer survey di Nomisma rilevano una profonda diffusione del bio in USA: quasi 9 famiglie su 10 (89%) hanno consumato un prodotto alimentare o una bevanda a marchio biologico nel corso del 2020, questa quota era dell’82% nel 2016. Tra gli altri fattori che danno degli Stati Uniti un mercato ad alto potenziale per il bio ci sono da un lato la quota di heavy user (40% sul totale) e il forte interesse per il bio che non si ferma al consumo domestico: il 76% dei consumatori riferisce di aver consumato un prodotto bio anche nel canale away from home.

Sicurezza alimentare (espressa da un terzo degli organic user), qualità superiore (un ulteriore 25% ritrova principalmente questo tipo di garanzia) e attenzione per l’ambiente (22% complessivamente) sono le principali motivazioni dei consumatori americani alla base della scelta di prodotti biologici.

Garanzie che diventano ancora più importanti in questo periodo di crisi sanitaria, tanto che il 10% degli americani dichiara che il marchio bio è diventato un criterio più importante nella spesa alimentare rispetto al passato. Durante il 2020 il 6% ha iniziato ad acquistare bio per la prima volta mentre il 36% di chi era già users, ne ha incrementato la spesa.

IL MADE IN ITALY BIO PER IL CONSUMATORE USA

I consumatori statunitensi mettono l’Italia al primo posto nella classifica “origine di qualità”, sia relativamente ai prodotti alimentari in generale (28% indica “Italia” quando pensa alle eccellenze del FOOD & BEVERAGE) che per quelli a marchio bio (26%).

Il 71% degli statunitensi percepisce una qualità superiore del prodotto bio tricolore rispetto a quello di altri Paesi, tanto che più di 8 su 10 sono disposti a pagare un prezzo più alto per avere la garanzia del Made in Italy nel bio.

Un quarto di consumatori dichiara di aver acquistato almeno una volta cibo o bevande italiane a marchio bio, anche se solo poco più della metà (57%) controlla effettivamente in etichetta le informazioni relative alla provenienza degli ingredienti e al luogo di produzione.

Ma quali sono i prodotti più promettenti per il bio Made in Italy?

Vino, olio extra-vergine e pasta sono le categorie di prodotto per cui i consumatori statunitensi cercano le garanzie di qualità offerte dal marchio bio e quelle su cui l’italianità è un fattore distintivo.

Nessun ostacolo per il binomio bio e Made in Italy neanche per il futuro: il 65% si dice interessato all’acquisto di un prodotto italiano a marchio bio se disponibile presso i canali abituali. Due su tre degli attuali non users, infatti, non ha ancora mai provato il nostro bio perché non lo trova in assortimento e il 21% non ne conosce ancora le caratteristiche distintive.

LA PIATTAFORMA ITA.BIO

“La collaborazione fra ICE e FederBio – dichiara Paolo Carnemolla, Segretario Generale di FederBio – ha l’obiettivo di costituire una piattaforma di supporto alle imprese biologiche italiane che vogliono rafforzare o avviare la loro presenza sui mercati esteri, a cominciare da quello USA che è certamente il più importante a livello globale. Attraverso il lavoro di analisi dei mercati svolto in collaborazione con Nomisma e grazie al sistema ICE e a un desk dedicato attivato da FederBio – continua Carnemolla – intendiamo fornire alle imprese del settore informazioni e contatti utili per orientare le loro strategie commerciali e dare un supporto fattivo per accompagnarle sui mercati. In tal senso è particolarmente importante anche la collaborazione di SANA, la fiera specializzata del settore in Italia, i cui accordi con piattaforme e-commerce e con sistemi fieristici all’etero integrano e potenziano le opportunità offerte dalla piattaforma ITABio.”

“In questo inimmaginabile 2020 – ha sottolineato José Rallo, Consigliere d’Amministrazione dell’Agenzia ICE – abbiamo assistito ad una accelerazione del processo di digitalizzazione dell’economia e alla crescente attenzione alla salute e alla sostenibilità, con il conseguente orientamento verso scelte alimentari sempre più biologiche. Due trend che rappresentano al tempo stesso un’opportunità e una grande sfida per il settore agroalimentare, visto anche il contributo che può dare in termini di sostenibilità ambientale. L’ICE quest’anno ha rafforzato significativamente il proprio supporto alla transizione digitale delle imprese, già avviata negli anni passati, attraverso accordi per l’e-commerce, fiere virtuali, blockchain per la tutela del Made in Italy e formazione di digital export manager. La Piattaforma Ita.Bio si inserisce quindi a pieno titolo in questa nuova realtà delle abitudini di consumo e dell’economia digitale. Uno strumento volto a favorire l’export del biologico Made in Italy attraverso l’analisi dei mercati, la condivisione dei dati, la creazione di una vetrina di prodotti ad alta vocazione per l’export cui si aggiunge, a supporto degli operatori, la creazione di un Desk FederBio-ICE presso gli Uffici dell’Agroalimentare di ICE Roma”.

 “Lo scenario pandemico ha rappresentato un fattore di radicale impatto su stili di vita, valori, comportamenti di acquisto: il monitoraggio dei mercati internazionali diventa uno strumento indispensabile per affiancare le imprese del bio Made in italy nel percorso di internazionalizzazione – dichiara Silvia Zucconi Responsabile Market Intelligence Nomisma – in questo contesto Nomisma ha un ruolo ambizioso: alimentare la piattaforma ITA.BIO con insight per supportare la promozione del BIO Made in Italy all’estero, per aiutare le imprese nel cogliere il potenziale di domanda, per individuare soluzioni, sinergie e networking utili nel processo di internazionalizzazione delle PMI italiane“

tratto da: https://feder.bio/ita-bio-la-piattaforma-del-bio-italiano-nel-mondo-promossa-ice-federbio-cura-nomisma/