Roberto Moncalvo, presidente Coldiretti: "La lista dei cibi da evitare per non morire avvelenati"

«La differenza tra una fiorentina e una bistecca texana, come quella tra il nostro olio extravergine e una margarina confezionata da qualche multinazionale nordica, può essere la stessa che passa tra la vita e la morte». Non è un’iperbole. Il ragionamento di Roberto Moncalvo (nella foto), presidente della Coldiretti, un milione e seicentomila associati, porta a questa conclusione. «Noi siamo quello che mangiamo», spiega l’uomo che gestisce la più grande organizzazione agricola europea. «Se l’Italia è finita prima nella classifica del 2016 mondiale su longevità e qualità della vita, lo dobbiamo alla qualità del nostro cibo e alla dieta mediterranea, che sono sotto attacco delle multinazionali, le quali ci fanno la guerra con la complicità dell’Europa».
Presidente, sostanziamo le accuse: chi ci attacca e come?
«Il primo nemico ce l’abbiamo in casa, è la Ue, che sacrifica l’agricoltura utilizzandola come merce di scambio per privilegiare altri settori negli accordi internazionali. E in particolare penalizza i prodotti mediterranei, visto che a menare le danze a Bruxelles sono la Germania e i Paesi nordici».

Faccia qualche esempio…
«L’olio tunisino, le fragole e i pomodori marocchini, i carciofi e le zucchine egiziani. Per privilegiare l’esportazione in settori considerati chiave come la farmaceutica e il comparto metalmeccanico abbiamo aumentato la quantità di prodotti ortofrutticoli importabili senza dazi da Paesi che utilizzano pesticidi che l’Italia ha messo fuori legge da decenni perché cancerogeni. Abbiamo fatto accordi commerciali sulla pelle dei cittadini, che sul banco si trovano prodotti a basso costo perché avvelenati e ottenuti con uno sfruttamento del lavoro al limite della schiavitù. Ma attenti anche al grano che arriva dal Canada: lì hanno poco sole e lo fanno seccare con il glifosate, che è cancerogeno».

Non dovrebbe essere vietata l'importazione di cibo avvelenato?
«Nel resto del mondo manca una cultura della salute legata all’alimentazione come quella che abbiamo noi, e certe politiche le fa la Ue, che privilegia sempre l’aspetto economico. La cosa che più mi irrita però è quando si spacciano prodotti nocivi per sani e i nostri alimenti genuini per dannosi».

Come avviene?
«Sei multinazionali americane stanno promuovendo in Europa un sistema di etichettatura nutrizionale a semaforo, fuorviante e discriminatorio, per sconsigliare l’acquisto di prodotti naturali a vantaggio di cibo preconfezionato. L’Inghilterra impone a ogni prodotto un’etichetta, verde, gialla o rossa a seconda di quanto faccia bene o male. Risultato? Il nostro prosciutto di Parma e le forme di Reggiano hanno il bollino rosso mentre la Diet Coke ha quello verde e l’export italiano di olio di oliva verso la Gran Bretagna è calato del 12% in un anno».

Una fake news alimentare? 
«Una balla confezionata dalla grande industria straniera per piazzare i propri prodotti, prendendo in giro i consumatori e cercando di manipolarne la cultura alimentare, indirizzandoli verso scelte sbagliate. Loro pensano che il semaforo alimentare li tuteli, invece li fa ammalare, pilotando gli acquisti su cibi artificiali e nocivi».

Come possiamo difenderci?
«Da tempo chiediamo che venga introdotto a livello europeo l’obbligo di indicare l’origine dei prodotti, il che ci agevolerebbe molto, visto che in tutto il mondo si sa che il cibo italiano è il più sano oltre che il più buono, e darebbe un’informazione onesta al consumatore. Purtroppo però la Ue dorme, si fa condizionare dalle lobby. Come nell’accordo Ceta con il Canada, che toglie valore alla stragrande maggioranza dei nostri prodotti Dop, costringendo i nostri prodotti tipici a convivere sullo scaffale con le loro imitazioni, per cui per esempio uno può fare il prosciutto in Quebec e chiamarlo “San Daniele” o fare il formaggio in Arkansas e chiamarlo “Parmesan”».

Perché l’Europa consente questa concorrenza sleale?
« La Germania ha pochi prodotti tipici, Est e Nord pure. La lotta alla pirateria alimentare non è una loro priorità e siccome i nostri governi non hanno saputo difenderci, oggi tra i salumi e i formaggi in vendita negli scaffali del mondo, per ogni prodotto made in Italy ce ne sono due che sono tarocchi, ma possono portare sulla confezione il tricolore come se li facessimo qui. Abbiamo parificato il vero al falso, ed è tutto legale».


Da che cosa ci dobbiamo guardare davanti allo scaffale?
«Mi sta chiedendo su quali prodotti metterei io il semaforo rosso? Sui cibi venduti a prezzi troppo bassi per essere credibili. Dietro di essi spesso si nascondono rischi per la salute, l’ambiente e anche lo sfruttamento. Dal riso asiatico alle conserve di pomodoro cinesi, dall’ortofrutta sudamericana a quella africana, fino ai fiori del Kenya. Quasi un prodotto agroalimentare su cinque che arriva in Italia dall’estero non rispetta le normative in materia di tutela dei lavoratori - a partire da quella sul caporalato - vigenti nel nostro Paese. I prodotti low cost sono spesso il risultato di ricette modificate, uso di ingredienti di minore qualità o metodi di produzione alternativi. Per non parlare dei famosi insaccati tedeschi: in Germania esistono allevamenti dove convivono stipati anche 200mila maiali, ciascuno con mezzo metro quadrato a disposizione. Per evitare che si ammalino, li curano preventivamente bombardandoli di farmaci, che noi assumiamo quando mangiamo i loro wurstel e salumi. Se poi andiamo in Africa e Cina, la situazione peggiora: siamo ai vertici mondiali per insicurezza alimentare con l’uso di prodotti chimici vietati in Italia da decenni».

Mi fa passare l'appetito…
«Lei vive in Italia, e quindi può permettersi di conservarlo. Pensi che nel resto d’Europa i cibi hanno otto volte i residui chimici contenuti nei nostri. Se esce dal continente, la proporzione cresce fino a 20-25 volte».

Perché è così certo che il cibo italiano sia il più sano?
«Nessuno fa i nostri controlli di qualità. La nostra è l’agricoltura più verde d’Europa: abbiamo il maggior numero di prodotti a denominazione di origine controllata Dop/Igp, e di imprese che coltivano biologico, la più vasta rete al mondo di aziende agricole che vendono a chilometro zero e 10mila rivenditori in loco».

Il rischio maggiore per chi si nutre con cibi trattati chimicamente?
«In realtà un’alimentazione chimica comporta un quotidiano avvelenamento del corpo, con il risultato che molte persone si intossicano al punto da sviluppare una totale insensibilità ai medicinali, perché li hanno assunti inconsapevolmente per tutta la vita attraverso il cibo. Chi mangia italiano è garantito da un sistema di controlli senza eguali ma con la globalizzazione senza regole i rischi sono evidenti».

Mi dia qualche buona notizia…
«Sono tante. Il settore sta vivendo un boom. Abbiamo il primato di aziende agricole fondate da giovani sotto i 35 anni: sono oltre 55mila e nel 25% dei casi si tratta di nuovi agricoltori, non di figli o nipoti. Negli ultimi cinque anni poi le iscrizioni agli istituti tecnici agrari sono salite del 40%. Abbiamo avuto trentamila richieste di nuovi insediamenti agricoli nel 2016/2017, il 61% al Sud: lei capisce che così si cambia la geografia e la società dell’Italia, possiamo recuperare zone di Paese abbandonate».

Ma si fanno i soldi nei campi?
«È difficile arricchirsi, per i tanti motivi che le ho detto. Però le prospettive sono buone, soprattutto perché sempre più contadini riescono a vendere direttamente i loro prodotti. Abbiamo 1.125 mercati di Campagna Amica e 8.200 punti vendita. Il rapporto qualità/prezzo è migliore, gli agricoltori guadagnano di più e i consumatori sono sicuri della qualità del cibo».

Perché allora questo ritorno?
«È un fenomeno anche culturale. Sono scelte di vita. Ma quando parla di contadino non deve pensare solo a chi sale sul trattore. Le professionalità sono tante, dal turismo alla tecnologia digitale, dalla trasformazione del cibo alla tecnologia alimentare. Per finire nel sociale, con gli asili nelle aziende agricole, le fattorie didattiche e l’ospitalità agli anziani nelle cascine».

Di cosa va particolarmente fiero come presidente di Coldiretti?
«Filiera Italia, la nuova associazione a tutela del made in Italy che abbiamo promosso con le principali realtà nazionali del settore. Facciamo contratti di filiera dall’agricoltura all’industria che consentono agli agricoltori per anni di vendere il prodotto a un prezzo minimo garantito che copre i costi di produzione, riparandoli dalle crisi e consentendo loro di investire».

Domani, forse, avremo un governo: quali sono le sue richieste al nuovo ministro dell'Agricoltura?
«La prima è costituire un ministero del Cibo che riunisca le competenze agricole e quelle dello sviluppo economico e dell’agriturismo. Ci vuole un’unica testa che programmi la politica agricola e alimentare dal campo alla tavola, come già avviene in Lombardia, con un assessorato dedicato. Un impegno anche per la semplificazione, da perseguire con la sussidiarietà tra pubblico e privato per abbattere la burocrazia. L’Italia deve battersi per l’introduzione in Europa dell’etichettatura obbligatoria: il consumatore deve sapere da dove arriva un prodotto. E infine nel bilancio dell’Unione europea va difesa la politica agricola».

Il tallone d'Achille sono sempre i rapporti con l’estero?
«Sì. Dobbiamo batterci perché l'Europa cambi approccio. Nel piano economico del 2020-2027 sono previste riduzioni delle risorse destinate all’agricoltura a beneficio di manifattura, sicurezza, immigrazione, ambiente. È sbagliato: investire in agricoltura significa investire in salute, tenuta del territorio, ripopolazione e anche integrazione, visto che il 25% dei lavoratori del settore ormai è costituito da immigrati. Infine, chiedo un salto culturale negli accordi internazionali: passare dalla logica secondo cui l’unica cosa che conta è il prezzo basso a quella della tutela del consumatore attraverso le regole: i cibi devono entrare in Italia solo se vengono prodotti seguendo regole uguali alle nostre in termini di sicurezza alimentare, ambientale e dei diritti dei lavoratori, che sono le più rigorose e moderne al mondo».

di Pietro Senaldi