Carta di San Michele all’Adige Appello per la tutela della biodiversità delle sottospecie autoctone di Apis mellifera Linnaeus

Fondazione Edmund Mach,
San Michele all’Adige, 12 giugno 2018

Appello per la tutela della biodiversità delle sottospecie autoctone
di Apis mellifera Linnaeus, 1758 in Italia
(Carta di San Michele all’Adige)

RIASSUNTO
Questo documento, stilato e firmato da esponenti della ricerca scientifica e da personalità
di rilievo del mondo dell’apicoltura e dell’ambientalismo, vuole sottoporre alle
amministrazioni politiche l’urgenza di accordare un’adeguata protezione faunistica all’ape
mellifica
1 (Apis mellifera Linnaeus, 1758) e, in particolar modo, alle sue sottospecie
autoctone. Questa specie, pur essendo gestita dagli apicoltori da molti millenni, non può
essere considerata un animale domestico e, in quanto insetto pronubo, svolge un ruolo
insostituibile per la conservazione della biodiversità e quindi nel mantenimento degli
equilibri naturali stessi, senza contare l’impatto sulle produzioni agricole.
A. mellifera è un insetto originariamente distribuito in gran parte dell’Europa, tutta l’Africa
(compreso il Madagascar), il Medio Oriente, parte della Penisola Arabica e alcune zone
dell’Asia Centrale. Dall’Europa l’ape mellifica è stata poi introdotta nelle Americhe, in Asia
ed in Oceania. Come per tutte le specie selvatiche, il percorso evolutivo e le attuali
caratteristiche biologiche dell’ape mellifica, rendono fondamentale per questa specie
l’adattamento all’ambiente in cui vive. Questo adattamento alla moltitudine di condizioni
ambientali presenti nel suo vasto areale originario, unitamente alle vicissitudini geologiche
e climatiche delle ere passate, ha determinato la suddivisione di A. mellifera in 31
sottospecie, ognuna originariamente ben adattata alla propria area geografica. Il Bacino del
Mediterraneo, per la sua grande varietà di ambienti, esprime la maggiore diversità
intraspecifica. Nell’ultimo secolo e mezzo, i progressi tecnologici generali e interni al mondo
dell’apicoltura stessa, hanno però involontariamente causato un devastante impoverimento
genetico di molti di questi popolamenti locali, con evidenti ripercussioni sotto l’aspetto
produttivo e sanitario, mettendo in serio pericolo la conservazione, in Europa, delle
sottospecie autoctone di A. mellifera. La valutazione di quanto il depauperamento delle
sottospecie di A. mellifera stia provocando ripercussioni negative sugli equilibri ecologici e
sul sistema di produzione degli alimenti è in corso, mentre sono noti ed evidenti gli effetti
negativi che questa problematica sta producendo all’apicoltura. In questo documento sono
esposti in modo puntuale gli argomenti scientifici a supporto di questa visione, sulla base
1 Il nome comune dell’Apis mellifera maggiormente consolidato in Italia è quello di “ape mellifica” derivante dal nome scientifico proposto dallo stesso Linneo nel 1761, Apis mellifica. Questo nome scientifico oggi non è accettato dal codice internazionale di nomenclatura zoologica per motivi di priorità. Il nome proposto inizialmente da Linneo significa “ape portatrice di miele” mentre quello proposto in un secondo momento significa “produttrice di miele” e sarebbe dunque più corretto.
dei quali si potrà procedere, secondo varie modalità operative, ad azioni concrete volte alla
salvaguardia dell’ape mellifica anche e soprattutto come entità biologica. Questo
documento non vuole contrapporsi alle azioni intraprese dal mondo dell’apicoltura, ma
contribuire ad una visione più globale del gravissimo problema del declino delle api
mellifiche.

INTRODUZIONE
L’ape mellifica, A. mellifera Linnaeus, 1758, è l’ape che da millenni è usata dall’uomo per
l’apicoltura. Oggetto sin da epoche preistoriche di predazione, ovvero di prelievo di miele,
larve e cera da alveari rinvenuti in ambiente selvatico come è avvenuto ed avviene
tutt’oggi per tutte le specie del genere Apis, ma anche per altri apoidei apiformi 3,4 nelle
zone tropicali del nostro pianeta, sono proprio le caratteristiche bio-etologiche di A.
mellifera che hanno permesso la nascita dell’apicoltura. Esiste una ricca testimonianza
iconografica e documentaria relativa a questa nobile attività umana, basata su reperti
archeologici, almeno a partire da 4.500 anni fa. Ad esempio, tra le numerose decorazioni
rinvenute nel Tempio di Shesepibre in Egitto, fatto edificare da Nyuserre Ini all’incirca nel
2.500 a.C., c’è la più antica raffigurazione di una complessa ed evoluta gestione delle api e
del miele, che indubitabilmente attestano un percorso di sviluppo delle tecniche apistiche
iniziato molto prima. È molto probabile, infatti, che l’apicoltura con l’ape mellifica sia nata
nella stessa regione e più o meno nello stesso periodo in cui, nella Mezzaluna Fertile
appunto, circa 10-12.000 anni fa si è affermata l’agricoltura, l’allevamento e la
domesticazione degli animali. Nel corso dei millenni l’apicoltura ha avuto uno sviluppo ed una diffusione straordinaria, giungendo ad una grande varietà di soluzioni tecniche, in gran parte conservatesi ancora oggi in diverse aree del Bacino del Mediterraneo e del vicino Oriente.
L’ape mellifica e le altre specie di apoidei eusociali, che vivono cioè in società complesse e
permanenti (come alcune api tropicali dei generi Trigona e Melipona), hanno inoltre ispirato
una serie di simbolismi, credenze e miti, e rivestono quindi un grande ruolo anche
nell’evoluzione spirituale, culturale e politica delle società umane di tutto il Mondo.
Nonostante questo lunghissimo e prolungato rapporto tra le api mellifiche e l’uomo,
possiamo però dichiarare con certezza che questo straordinario animale non è mai stato
domesticato.
Per domesticazione si intende, infatti, il processo attraverso il quale una specie animale o
vegetale è resa domestica, ovvero dipendente dalla convivenza con l'uomo e dal controllo
delle sue condizioni di alimentazione e di riproduzione da parte di quest'ultimo.
Sul fatto che l’ape mellifica gestita dagli apicoltori non fosse divenuta un animale domestico
si era espresso già Plinio il Vecchio (Gaius Plinius Secundus, 23-79 D.C.), nei primi paragrafi
del libro dedicato alle api della sua Naturalis Historia 5. Anche Charles Robert Darwin (1809-
1882), nella sua opera intitolata Variazione degli animali e delle piante allo stato domestico,
giunse alla conclusione che sono proprio le peculiarità biologiche delle colonie di A.
mellifera ad aver impedito questo processo di domesticazione 6. Ma anche Eva Crane (1912-
2007), massima studiosa del XX secolo dell’apicoltura, anzi delle diverse apicolture a livello
mondiale, dando una chiara definizione dell’apicoltura ne evidenzia anche l’estraneità
rispetto all’allevamento di animali domesticati. Infatti Eva Crane 7 definisce l’apicoltura
come “il mantenimento di forti colonie sane di api in alveari progettati per la comodità
dell’operatore, e la rimozione dagli alveari (e la successiva trasformazione) dei prodotti
per i quali sono tenute le colonie” 8, 9. Ma ancor più straordinario è il paragone che questa
ricercatrice inglese propone tra l’apicoltura e l’unica altra attività umana ad essa simile:
“L’uso di api come micromanipolatori per la raccolta di cibo dalle piante ha forse il suo più
vicino parallelo nell’uso di cormorani (cui viene applicato un collare che impedisce loro la
deglutizione) per la pesca. L’apicoltore ha un vantaggio rispetto al pescatore in quanto le

api trasformano il nettare in miele, un alimento molto energetico, prima che l’apicoltore
prelevi il suo raccolto” 10. Eva Crane si riferisce alla tradizionale pesca ukai con i cormorani,
praticata in Giappone.
È proprio la selvaticità dell’ape mellifica, il suo non essere un animale domestico, il
punto di partenza di questo documento.
Darwin aveva osservato che le api mellifiche si comportano come organismi selvatici anche
quando siano introdotte in aree lontane da quelle originarie; oggi, quando parliamo di una
specie selvatica e della sua tutela, è importante stabilire se si tratta di un organismo
autoctono o alloctono. L’ape mellifica è autoctona in gran parte dell’Europa, in tutta
l’Africa, in Medio Oriente, in gran parte della Penisola Arabica, ed in alcune aree dell’Asia
Centrale. Nel corso dei millenni l’ape mellifica ha conquistato questo vastissimo areale,
caratterizzato da climi e vegetazioni molto differenti, diversificandosi, attraverso la
selezione naturale, in popolazioni ben caratterizzate che sono state identificate come
sottospecie, prima su basi morfologiche ed etologiche, e più recentemente mediante studi
di biologia molecolare. In biologia animale e vegetale la sottospecie è una categoria
tassonomica costituita da una o più popolazioni differenziate dalle altre della stessa specie
per un insieme di caratteri diagnostici ereditari e formatesi per l’azione selettiva di vari
fattori e per isolamento geografico. Tuttavia, dal momento che tra le sottospecie non c’è
alcuna barriera riproduttiva, se vengono a contatto, le popolazioni possono incrociarsi dando
origine a prole fertile; per questo motivo in natura non si osservano sottospecie diverse in
uno stesso areale 11. È importante sottolineare, tuttavia, che quando tra due sottospecie non
esiste una barriera fisica invalicabile, esse rimangono distinte ma si osserva, nell’area di
contatto, la presenza di una più o meno definita zona di ibridazione. La maggior parte delle
sottospecie di A. mellifera ha areali a contatto con una o più sottospecie diverse, ma ci sono
anche sottospecie endemiche di isole e quindi non soggette alla costituzione di zone di
ibridazione. Se, per opera dell’uomo, sottospecie diverse sono costrette a convivere nella
stessa area, esse sono destinate, nel tempo, a perdere la rispettiva unicità genetica (es.: A.
m. siciliana e A. m. ligustica).
Le sottospecie di A. mellifera ad oggi identificate e riconosciute dalla comunità scientifica
internazionale sono 31 12, 13, 14, 15.
In Europa e nell’area caucasica sono note ben 15 sottospecie:
A. m. mellifera Linnaeus, 1758 - Europa centrale e settentrionale fino alla Russia
A. m. ligustica Spinola, 1806 - Italia
A. m. remipes Gerstäcker, 1862 - Caucaso, Iran, Mar Caspio
A. m. adami Ruttner, 1975 - Creta
A. m. carnica Pollmann, 1879 - Slovenia, Alpi Orientali e Balcani settentrionali
A. m. cypria Pollmann, 1879 - Cipro
A. m. cecropia Kiesenwetter, 1860 - Grecia meridionale
A. m. caucasia Pollman, 1889 - Caucaso
A. m. siciliana Dalla Torre, 1896 - Sicilia
A. m. taurica Alpatov, 1935 - Crimea
A. m. macedonica Ruttner, 1988 - Grecia settentrionale
A. m. ruttneri Sheppard, Arias, Grech & Meixner, 1997- Malta
A. m. artemisia Engel, 1999 – Steppa russa
A. m. iberiensis Engel, 1999 - Spagna e Portogallo
A. m. sossimai Engel, 1999 - Ucraina

In Africa sono note altre 11 sottospecie:
A. m. adansonii Latreille, 1804 - Nigeria, Burkina Faso
A. m. unicolor Latreille, 1804 - Madagascar
A. m. capensis Eschscholtz, 1822 - Sud Africa
A. m. scutellata Lepeletier, 1836 - Africa centrale e occidentale
A. m. intermissa Buttel-Reepen, 1906 - Marocco, Libia e Tunisia
A. m. sahariensis Baldensperger, 1932 - Oasi del deserto in Marocco e Nord Africa
A. m. lamarckii Cockerell, 1906 - Valle del Nilo (Egitto e Sudan)
A. m. litorea Smith, 1961 - Basse quote dell’Africa orientale
A. m. monticola Smith, 1961 - Alte quote dell’Africa orientale
A. m. jemenitica Ruttner, 1976 - Somalia, Uganda, Sudan, Yemen
A. m. simensis Meixner et al., 2011 - Etiopia
Ci sono poi 5 sottospecie nel Medio Oriente e in Asia Centrale:
A. m. meda Skorikov, 1829 - Iraq
A. m. syriaca Skorikov, 1829 - Medio Oriente e Israele
A. m. anatoliaca Maa, 1953 - Anatolia in Turchia ed Iraq
A. m. pomonella Sheppard & Meixner, 2003 - Monti Tien Shan in Asia Centrale
A. m. sinisxinyuan, Chen et al., 2016 - Xinyuan (Asia Centrale)
Nei secoli scorsi l’ape mellifica è stata poi introdotta nelle Americhe, in Oceania e in Asia,
al fine di esportare anche in tali regioni l’apicoltura produttiva che, come si è detto, può
essere realizzata molto proficuamente con questa specie. Negli ultimi anni la comunità
scientifica si sta interrogando se l’introduzione così massiccia di api mellifiche in queste
regioni abbia avuto o stia avendo un impatto negativo sulle popolazioni locali di insetti
pronubi, specialmente su altri apoidei, anche se questa eventualità sembra essere stata
messa in dubbio da numerose indagini scientifiche. Questo tema è comunque da inquadrare
nell’ambito della fondamentale tutela degli organismi pronubi autoctoni.
In Italia, caso unico in Europa, sono naturalmente presenti popolazioni ascrivibili a ben
4 sottospecie: A. m. ligustica, A. m. siciliana (endemiche italiane), A. m. mellifera e A.
m. carnica (queste ultime due probabilmente solo come popolazioni ibridate in vario
grado con A. m. ligustica).
Api regine e alcune operaie di A. m. mellifera, A. m. ligustica, A. m. carnica
e A. m. siciliana, le quattro sottospecie presenti in Italia (mellifera e carnica solo con popolazioni
ibridate in vario grado con ligustica)
Per quanto riguarda la distribuzione originaria delle diverse sottospecie, in Italia, oltre che
alla insuperata opera di Friedrich Ruttner 16, Biogeography and Taxonomy of Honeybees,
pubblicata prima in tedesco e poi in inglese nel 1988, si può far riferimento ad un lavoro di
molto antecedente, pubblicato nel 1927 da Anita Vecchi 17 e intitolato: Sulla distribuzione
geografica dell’Apis mellifica ligustica Spin. in Italia.
Nel suo lavoro Anita Vecchi analizzava i pattern cromatici di numerose popolazioni italiane
individuando nella maggior parte della penisola api con ampie bande chiare nei primi tergiti
addominali, nel nord Italia ed in Sicilia la presenza di api completamente nere e in alcune
aree la presenza di colorazioni intermedie. Nella cartina presentata da Anita Vecchi i
cerchietti vuoti rappresentano località in cui sono presenti solo api con colorazione gialla
(tipica della sottospecie ligustica), quelli neri corrispondono a località con presenza di api
esclusivamente nere che potrebbero anche rappresentare popolazioni di A. m. mellifera, A.
m. carnica e A. m. siciliana variamente ibridate con A. m. ligustica e nei cerchietti con
punto al centro aree dove ci sono popolazioni con colorazioni intermedie. Questa
distribuzione delle sottospecie di A. mellifera sul territorio italiano sostanzialmente
confermata dallo studio di Ruttner è ben rappresentata dalla cartina di distribuzione
pubblicata nel suo testo sopra citato.
A. m. mellifera, detta anche ape nera o ape tedesca, era presente in Italia sulle Alpi, lungo
i confini con Francia e Svizzera e quindi in una stretta fascia di Liguria, Piemonte, Lombardia
e Trentino Alto Adige, prevalentemente in forma ibridata con la ligustica. Di queste
popolazioni alpine dell’ape nera è rimasto ormai poco, ma prima in Francia, e recentemente
anche in Italia, sta crescendo tra gli apicoltori e le istituzioni la consapevolezza
dell’importanza di salvaguardare queste popolazioni.
A. m. carnica sarebbe invece stata presente al confine con la Slovenia e l’Austria, ma
soltanto in una piccola fascia di Friuli Venezia Giulia 18 e forse nella parte più settentrionale
del Veneto. Oggi l’ape carnica, o meglio ceppi altamente selezionati di questa sottospecie,
e quindi lungi dall’avere le caratteristiche delle popolazioni originarie, sono allevati da
numerosi apicoltori delle aree montane di Friuli Venezia Giulia e Veneto, in gran parte del
Trentino Alto Adige, in estese aree dell’Italia settentrionale e, con punti sparsi, lungo tutta
la penisola.
È importante ricordare che le sottospecie A. m. mellifera e A. m. carnica, avevano
originariamente una distribuzione marginale in Italia, e a contatto con A. m. ligustica, per
cui i pur limitati areali italiani di queste due sottospecie coincidevano in gran parte con zone
18 Nel 1927, come risulta evidente nella cartina allegata da Anita Vecchi nella sua pubblicazione, il Friuli Venezia Giulia comprendeva una larga fetta di territorio adesso facente parte di Croazia e Slovenia e dove vive A. m. carnica.
Un aspetto molto importante delle diverse sottospecie di A. mellifera è dato anche dalla
loro origine. Tutte le sottospecie sono state suddivise, su base morfologica, in quattro linee:
A (Africa), M (Europa occidentale e settentrionale), C (Europa Orientale e Asia Minore) e O
(Medio Oriente e Asia Centrale). Le sottospecie autoctone di A. mellifera europee
appartengono a tre diverse linee (A, M e C) e si sono differenziate durante le ultime grandi
glaciazioni in aree di rifugio in Europa meridionale (Spagna, Italia, Balcani) e in Africa, da
cui hanno poi ricolonizzato, circa 10.000 anni fa, le regioni del centro e nord Europa.
Per quanto riguarda l’Italia, uno studio basato su marcatori nucleari e mitocondriali ha
dimostrato che le due sottospecie endemiche italiane di A. mellifera, cioè A. m. ligustica e
A. m. siciliana, si sono entrambe originate per ibridazione tra popolazioni appartenenti a
diverse linee evolutive rifugiatesi nella penisola italiana e in Sicilia durante la penultima
glaciazione (circa 190.000 anni fa). In A. m. ligustica, ascritta su base morfologica e nucleare
alla linea C vengono trovati anche mitotipi della linea M, e in A. m. siciliana, che presenta
mitotipi solamente della linea A, a cui afferisce anche su base morfologica, si osserva però
un avvicinamento, su base nucleare, alla linea C 35. Questo fatto, apparentemente poco
importante dal punto di vista conservazionistico, è invece di grande rilievo perché mette in
evidenza come la struttura delle popolazioni europee di A. mellifera sia complessa e, quindi,
fragile.
L’ape mellifica presenta delle peculiarità che la rendono un organismo chiave per la
conservazione della biodiversità e quindi degli equilibri ecologici in generale.
Le api traggono il loro sostentamento dalla raccolta di nettare e polline (oltre che di melata),
e raccogliendo queste sostanze dai fiori provvedono all’impollinazione e quindi alla
riproduzione delle molte piante che necessitano dell’azione degli insetti pronubi. La
scoperta del ruolo degli insetti nella riproduzione di molte specie vegetali risale al XVIII
secolo 36 ed è quindi molto recente. Lo stesso Darwin studiò i benefici della fecondazione
incrociata delle piante e lo stretto rapporto che intercorre tra alcune specie vegetali e uno
o pochi insetti in grado di impollinarle. Ci sono alcune decine di migliaia di specie di insetti
impollinatori, la maggior parte dei quali appartengono alla superfamiglia degli Apoidei, un
gruppo di Imenotteri differenziatosi proprio mediante un processo di coevoluzione con le

Magnoliofite, dette anche Fanerogame o piante a fiori manifesti. Il genere Apis deriva
dunque da un lungo percorso evolutivo e le complesse e permanenti società in cui le diverse
specie di questo genere sono organizzate, rivestono un ruolo fondamentale nella
conservazione della flora dei loro areali di origine.
Spesso quando si parla di impollinazione e insetti pronubi si tende a considerare solo il pur
importante ruolo che questo meccanismo ha nella produzione agricola e quindi in stretta
relazione con l’alimentazione umana (si consideri, ad esempio, che un terzo circa della
produzione agricola mondiale dipende dall’impollinazione animale). In effetti, poiché gran
parte delle specie vegetali coltivate su larga scala dall’uomo sono originarie di zone in cui il
principale impollinatore era l’ape mellifica, questo insetto ricopre un ruolo oggettivamente
straordinario nella produzione alimentare in tutto il mondo. Tuttavia, A. mellifera riveste
un ruolo ancora maggiore nella conservazione della cosiddetta flora spontanea 37, cioè di
quel mondo vegetale su cui poggiano tutti o quasi gli ecosistemi terrestri; infatti, A.
mellifera è in grado di impollinare oltre l’80% delle specie di Magnoliofite dei propri areali
di origine. La plasticità rende questa specie il principale e fondamentale pronubo in
vastissime parti del nostro pianeta. Si può dire dunque che le stesse flore di gran parte
dell’Europa, dell’Africa, del Medio Oriente e dell’Asia, sono state plasmate dal rapporto con
le popolazioni locali di questa specie. Le sottospecie autoctone di A. mellifera sono quindi
fondamentali anche per la conservazione delle flore autoctone. In pratica, le api sono un
tipico esempio di servizio ecosistemico in favore della biodiversità, di cui ormai si parla
correntemente.
In questi ultimi anni, numerose ricerche scientifiche hanno denunciato un supposto conflitto
tra api mellifiche e apoidei selvatici, tra salvaguardia dell’apicoltura e degli equilibri
naturali. È stata espressa la preoccupazione che A. mellifera potrebbe agire come una specie
invasiva con un grande impatto sulla biodiversità, soprattutto nelle aree di nuova
introduzione (Oceania e Americhe)
38. Tuttavia, sebbene l'ape si sia diffusa in natura e abbia
stabilito popolazioni selvatiche anche in questi “Nuovi Continenti”, la misura in cui le api
mellifiche introdotte alterino la biodiversità rimane controversa e resta dibattuto il fatto
che le api introdotte abbiano prodotto effetti sulla biodiversità di impollinatori nativi, quale
più probabile gruppo di organismi in competizione

A. mellifera e le sue sottospecie autoctone, negli areali di origine, sono apoidei selvatici!
La tutela dell’ape mellifica da un punto di vista faunistico va inquadrata proprio
nell’ottica della conservazione degli equilibri naturali, oltre che dell’apicoltura.
Tornando alle sottospecie di A. mellifera, è chiaro che queste entità tassonomiche, essendo
tra loro interfertili, sono in un certo senso fluide e, per la loro sopravvivenza, necessitano
in molti casi (sottospecie confinanti) di meccanismi alquanto precisi e raffinati, che
prevedono una continua azione selettiva di fattori climatici e vegetazionali ma anche un
certo tasso di scambio genico con le sottospecie vicine, lungo le zone di ibridazione. Allo
stesso tempo, poiché le diverse sottospecie hanno evoluto, oltre all’adattamento al clima
ed alle flore locali, dei meccanismi etologici legati alla loro eusocialità che le hanno rese
maggiormente adatte ai propri habitat, risulta evidente che rimescolamenti accidentali sono
in grado di distruggere, o quantomeno di deteriorare, questi precisi meccanismi di
adattamento delle sottospecie locali ai rispettivi ambienti. Le zone di contatto tra le diverse
sottospecie permettono un naturale e reciproco scambio genico, seppur limitato, aiutando
a garantire un maggiore potenziale adattamento ai mutamenti climatici in seno alle
sottospecie stesse e quindi alla specie nella sua interezza.
È dunque fondamentale ribadire come in Italia e nelle aree di origine, A. mellifera, anche
quando sia gestita mediante l’apicoltura, ha una propria identità, rappresenta una
specifica espressione dell’informazione biologica e quindi merita di essere tutelata come
componente della Fauna Selvatica.

NORMATIVA VIGENTE
Nel quadro della strategia dell’Unione Europea per la tutela della biodiversità s’inscrive la
fondamentale Risoluzione del Parlamento europeo del 1° marzo 2018 sulle prospettive e le
sfide per il settore dell'apicoltura dell'UE, che al punto 31: “invita gli Stati membri e le
regioni a proteggere con ogni mezzo le specie locali e regionali di api mellifere (ceppi
dell'ape Apis Mellifera) dall'espansione indesiderata di specie esotiche naturalizzate o
invasive che hanno un impatto diretto o indiretto sugli impollinatori; sostiene il
ripopolamento con specie di api autoctone locali degli alveari perduti a causa di specie
esotiche invasive; raccomanda agli Stati membri di istituire centri residenziali per
l'allevamento e la salvaguardia delle specie di api autoctone; sottolinea, a tale proposito,
l'importanza di sviluppare strategie di allevamento volte ad aumentare la frequenza di
tratti utili nelle popolazioni di api locali; prende atto delle possibilità offerte dal
regolamento (UE) n. 1143/2014 sulle specie esotiche invasive, e potenzialmente dai
regolamenti sulla salute degli animali e delle piante recentemente adottati (regolamenti
(UE) 2016/429 e (UE) 2016/2031, rispettivamente)” 42. L’apparato normativo nazionale,
regionale e locale vigente, di cui si fornisce un’ampia sebbene non esaustiva rassegna,
presenta un congruo numero di disposizioni che si declinano sia in termini di divieto di
introduzione di sottospecie differenti dall’Apis mellifera ligustica e ecotipi locali in ampi
territori sia, più generalmente, di indirizzo nella tutela e incentivazioni nei confronti
dell’apicoltura. In ambito europeo va segnalato un importante precedente nella legge
sull’allevamento di animali della Repubblica Slovena che definisce l’ape carnica come una
sottospecie autoctona e che prevede una tutela speciale per cui su tutto il territorio
nazionale “non sono permessi l'allevamento e il commercio di materiale riproduttivo di altre
razze di api” 43.

Disposizioni di divieto di introduzione di sottospecie diverse dall’Apis mellifera
ligustica e disposizioni sanzionatorie
Fra le norme nazionali un provvedimento del 1925 disponeva che: “A richiesta di consorzi o
di apicoltori interessati o per disposizione del ministero dell'economia nazionale, i prefetti
potranno anche vietare, nelle rispettive provincie, la introduzione o comunque la diffusione
di specie, varietà e razze di api diverse dall'Apis ligustica” 44. La Legge quadro sulle aree
protette del 1991 vieta: “l'introduzione di specie estranee, vegetali o animali, che possano
alterare l'equilibrio naturale” 45. Nel 2015 un’integrazione al Codice penale contempla pene
detentive e pecuniarie per i delitti contro l’ambiente: “È punito con la reclusione da due
mesi a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000 chiunque abusivamente cagiona
una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili: 1. Delle acque o
dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; 2. Di un ecosistema,
della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna. Quando l’inquinamento è
prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale,
storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero il danno di specie animali o vegetali
protette, la pena è aumentata”46. Una risoluzione del 2017 adottata dalla Camera dei
Deputati prevede non solo divieti ma anche azioni di tutela: “ (omissis) impegna il Governo:
ad assumere iniziative per la salvaguardia della sottospecie Ligustica, limitando o arrivando
a vietare, attraverso nuovi accordi in seno all'Unione europea di sottospecie diverse,
compresi gli ibridi (se non naturali), nel territorio italiano, attuando altresì una strategia
per la tutela della biodiversità di tale sottospecie, prevedendo delle zone di accoppiamento
sufficientemente estese (almeno 200 chilometri quadrati) in areali dove tutti gli alveari
allevati o naturali, siano abitati da Apis mellifera ligustica” 47.
Fra le norme regionali due regioni hanno stabilito rispettivamente nel 1988 e nel 2009 delle
“zone di rispetto”. La Giunta regionale dell’Emilia Romagna: “sentito il parere del Comitato
consultivo regionale per l'apicoltura, può costituire, su richiesta anche di un solo allevatore
di api regine iscritto all'albo di cui all'art. 12, zone di rispetto intorno agli allevamenti,
ferma restando l'applicazione in esse del vigente regime dei controlli igienico-sanitari. 2.
Dal momento della costituzione della zona di rispetto è vietato a terzi introdurre api od
aumentare il numero degli alveari esistenti” 48. Così la Toscana: “Le province e le comunità
montane (ora la Regione) possono individuare zone di rispetto intorno ad allevamenti di api
regine sulla base di specifici criteri emanati con atto della Giunta regionale relativi alle
caratteristiche delle zone di rispetto, alle modalità per la loro delimitazione e al periodo
durante il quale vige il divieto di immissione di altri alveari nella zona di rispetto
delimitata, nonché all’individuazione dei soggetti legittimati alla richiesta” 49. Ma è ancora
l’Emilia Romagna nel 1992 a prevedere un divieto assoluto per l’intero territorio regionale:
“è fatto divieto di introduzione e di allevamento sul territorio regionale di api di razza
diversa dell’Apis mellifera ligustica, nonché di ibridi interraziali” 50.
Ci sono poi norme locali di divieto, come ad esempio l’ordinanza emanata nel 2015 dal
Sindaco del Comune di Vetto (RE), su un areale delimitato, che: “Ordina che nel territorio
del Comune di Vetto, per un raggio di 3 km attorno alla località Atticola, meglio indicata
nella planimetria conservata agli atti, non possono essere introdotte o allevate api diverse
da quelle oggetto del progetto di selezione (ndr. Apis mellifera ligustica)” 51.
Disposizioni di tutela dell’Apis mellifera ligustica
Una norma nazionale del 1992 tutela l’Apis mellifera ligustica in quanto fauna selvatica: “La
fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della
comunità nazionale e internazionale”. Il fatto poi che, localmente, l’Apis mellifera si declini
in diverse sottospecie autoctone, significa che anche tali sottospecie, ancor di più se
endemiche, dovrebbero essere tutelate come un vero e proprio patrimonio nazionale 52. La
Legge quadro sull’apicoltura del 2004: “riconosce l'apicoltura come attività di interesse
nazionale utile per la conservazione dell'ambiente naturale, dell'ecosistema e
dell'agricoltura in generale ed è finalizzata a garantire l'impollinazione naturale e la
biodiversità di specie apistiche, con particolare riferimento alla salvaguardia della razza di
ape italiana.” Più specificatamente: “salvaguardia e selezione in purezza dell'ape italiana
(Apis mellifera ligustica Spinola) e dell'Apis mellifera sicula Montagano e l’incentivazione
dell'impiego di api regine italiane con provenienza da centri di selezione genetica” 53. Infine
le disposizioni ministeriali del 2009 per l’attuazione dei regolamenti comunitari sulle
produzioni biologiche prevedono che: “la scelta della razza in apicoltura deve privilegiare
le razze autoctone secondo la loro naturale distribuzione geografica: Apis mellifera
ligustica, Apis mellifera sicula (limitatamente alla Sicilia) e, limitatamente alle zone di
confine, gli ibridi risultanti dal libero incrocio con le razze proprie dei paesi confinanti” 54.
Fra le norme regionali a tutela dall’Apis mellifera ligustica ricordiamo quella della Regione
Autonoma della Sardegna del 2015: “La Regione disciplina, tutela e valorizza l'apicoltura e 
promuove la salvaguardia delle specie apistiche, con particolare riferimento alla razza di
ape italiana (Apis mellifera ligustica Spinola) e alle popolazioni di api autoctone tipiche” 55.
Anche la Regione Umbria 56, nel testo unico in materia di apicoltura stabilisce all’articolo 93
che: “La Regione può costituire zone di rispetto intorno agli allevamenti di api regine
appartenenti agli iscritti all'Albo nazionale degli allevatori di api regine di razza Apis
mellifera ligustica Spin. e intorno alle stazioni di fecondazione ubicate nel territorio
regionale. In tali zone sono vietate anche postazioni nomadiste.”

API MELLIFICHE, LORO SOTTOSPECIE E CONSERVAZIONE
La gravità della situazione relativa alla conservazione delle popolazioni autoctone di A.
mellifera, rende tuttavia urgente la promulgazione di norme ad hoc, chiare e centrate
in modo esclusivo sul problema.
Occorre inoltre chiarire un aspetto fondamentale. Per millenni le api allevate degli apicoltori
hanno convissuto con le colonie di A. mellifera presenti allo stato naturale nelle diverse
aree.
Anche se gli apicoltori, specialmente nell’ultimo secolo e mezzo, hanno svolto intense
attività di selezione, la modalità di accoppiamento delle api regine ha sempre garantito una
vasta e benefica interazione genetica tra le api selvatiche e quelle gestite. Con il
trasferimento sulle api mellifiche dell’acaro Varroa destructor, di cui si parlerà più avanti,
si è assistito negli ultimi 35 anni alla quasi generale scomparsa delle colonie selvatiche in
gran parte dell’Europa, anche se ci sono dati recenti che potrebbero dare una nuova
dimensione a tale fenomeno 57.
Questo ha fatto sì che oggi, in molti dibattiti sulla conservazione dal punto di vista
faunistico dell’ape mellifica, si tenda a distinguere le colonie presenti allo stato naturale
da quelle gestite e selezionate dagli apicoltori, dai cui sciami spesso oggi derivano.
Poiché le api, quando sono gestite dall’uomo non sono tenute entro un recinto o un pascolo
definito, la tutela di A. mellifera (della specie e delle relative sottospecie) non può essere
scissa tra la protezione delle colonie presenti allo stato naturale, ormai rarissimi, e
quella degli alveari mantenuti dall’apicoltura, da cui spesso le colonie selvatiche oggi
derivano. La tutela di ogni sottospecie, inoltre, deve essere estesa a tutto il suo areale
originario perché tutte le sub-popolazioni locali (ecotipi), adattate ai diversi habitat di tale
areale, concorrono alla conservazione e alla continua evoluzione della sottospecie stessa.
Tutelare una sottospecie significa tutelare nel modo più ampio possibile la sua variabilità. A
tale proposito risultano fondamentali anche le zone di ibridazione con le sottospecie vicine.
Per quanto riguarda poi la conservazione degli ecotipi locali delle diverse sottospecie di Apis
mellifera, alcune ricerche hanno dimostrato una certa stabilità di queste popolazioni 58,
come aveva ad esempio sintetizzato Louveaux, affermando che Gli individui non adattati
per selezione naturale sono condannati a morire durante un periodo più o meno breve. Di
conseguenza, possiamo convenire che ovunque l'ape locale sia un ecotipo relativamente
stabilizzato 59. Uno studio recente che ha coinvolto molte popolazioni di Apis mellifera a
livello europeo ha mostrato che gli adattamenti delle api locali le rendono in grado di
sopravvivere più a lungo in situazioni di stress ambientale, che tendenzialmente producono
più miele e sono più docili 60, 61, 62. Purtroppo la scomparsa delle colonie presenti allo stato
naturale e la sempre maggiore movimentazione di api al di fuori dei relativi areali di origine,
nonché l’uso sempre più esteso tra gli apicoltori di ibridi commerciali, rende
improcrastinabile l’adozione di norme restrittive dal momento che questa stabilizzazione
oltre che essere rimandata potrebbe a breve non essere più recuperabile.
Un aspetto importante nelle azioni di tutela della biodiversità riguarda la sostenibilità
economica delle azioni che vengono proposte a supporto dell’obiettivo. In questo contesto,
la valorizzazione e la differenziazione delle produzioni derivate dalle diverse sottospecie di
A. mellifera potrebbe rappresentare un aspetto importante che porterebbe un tornaconto
economico all’apicoltore nella vendita di miele caratterizzato da una sua specifica origine
genetica 63.
Non si può in modo rassegnato abdicare alla conservazione delle sottospecie europee di
A. mellifera solo perché oggi queste sono fortemente in declino. Sarebbe una resa ed
una condanna all’estinzione non solo di queste api, ma anche delle flore che hanno
contribuito a plasmare. L’estinzione delle sottospecie europee, presto o tardi,
travolgerebbe con sé anche l’apicoltura di vaste aree del pianeta.

IL DECLINO DELLE API
Purtroppo, in Europa, lo stato di conservazione delle sottospecie autoctone di A.
mellifera e dei rispettivi ecotipi è seriamente compromesso.
Le cause di questa compromissione possono essere individuate in almeno sei gruppi di
fenomeni.
1) Il primo, noto anche se in modo ridotto fin dall’antichità, è la movimentazione da parte
degli apicoltori di sottospecie da una regione all’altra dell’Europa. Diverse sono le
sottospecie di A. mellifera coinvolte in questi spostamenti. Abbiamo notizie, almeno dal XIX
secolo, di come alcune colonie di sottospecie note per essere particolarmente docili o
produttive, o anche perché particolarmente “estetiche”, come ad esempio A. m. cypria,
siano state trasferite dalla loro area di origine verso diverse regioni d’Europa. I casi più
eclatanti però riguardano l’ape carnica, A. m. carnica e l’ape italiana, A. m. ligustica. L’ape
carnica, docile e produttiva, è stata introdotta negli ultimi secoli in gran parte dell’Europa
centrale, dove è stata preferita dagli apicoltori alla locale A. m. mellifera; anche in Italia
questa sottospecie ha avuto, negli ultimi decenni, una grande diffusione, inizialmente solo
lungo l’arco alpino meridionale ma poi anche in altre parti della penisola. L’ape italiana,
considerata da molti grandi specialisti nel campo dell’apicoltura la migliore ape a fini
produttivi, è stata diffusa in molte parti d’Europa e anche in Sicilia (dove ha quasi
completamente sostituito la locale A. m. siciliana) ma anche in molti paesi extraeuropei,
dove inizialmente era stata introdotta l’ape nera tedesca. Anche a Malta si registra
recentemente una certa preoccupazione per la conservazione della locale sottospecie
endemica, A. m. ruttneri, a causa dell’introduzione di A. m. ligustica e A. m. siciliana 64.
2) Il secondo fenomeno che ha contribuito alla compromissione della conservazione delle
sottospecie autoctone di A. mellifera è determinato dalle tecniche di allevamento di api
regine. Soprattutto con la tecnica del traslarvo è possibile allevare diverse migliaia di api
regine partendo dalle larvette di una sola genitrice, ritenuta avere caratteri molto positivi
per l’apicoltore. In tal senso risultano deleterie le spinte selettive a ridurre l’attitudine
sciamatoria oppure la produzione di fuchi, perché concorrono ulteriormente alla perdita di
diversità genetica.
L’allevamento su larga scala di api regine ha, da un lato, permesso la selezione di api molto
performanti per l’apicoltura professionale ma, dall’altro, ha facilitato il trasferimento di
determinati patrimoni genetici di A. mellifera al di fuori del proprio areale di origine,
aumentando a dismisura gli effetti del primo fenomeno 65. La moltiplicazione su larga scala
del patrimonio genetico di un numero limitato di individui, inoltre, oggi riveste un ruolo
negativo nella conservazione di un vasto pool genico in seno alle diverse sottospecie
autoctone. È infatti la stessa peculiare struttura eusociale delle api mellifiche che
reclama il rispetto e la tutela della sua stessa diversità. Il genere Apis è infatti
caratterizzato dal massimo livello di poliandria riscontrabile tra gli Imenotteri sociali 66.
L’elevata poliandria, ovvero l’accoppiamento della femmina fertile con numerosi maschi
(fenomeno che produce un’elevata diversità genotipica nella prole all’interno delle colonie
di api) secondo la maggioranza degli studiosi costituisce il percorso evolutivo che il genere
Apis ha perseguito 67, 68 e che è fondamentale per mitigare gli effetti dei parassiti e dei
patogeni sulle colonie stesse 69. Per effetto della poliandria, la colonia di api mellifiche è
composta da un gran numero di api operaie dette sorellastre (stessa madre ma padri diversi).
Tuttavia, all’interno delle colonie sono presenti anche un numero variabile di sottogruppi di
supersorelle (stessa madre e stesso padre), tanti quanti sono i fuchi con i quali la regina si
è accoppiata. Le api operaie supersorelle sono individui che, in virtù del fatto che il fuco è
aploide (gli spermatozoi prodotti da ogni fuco sono tra loro identici), hanno tra loro un
altissimo grado di parentela, che rappresenta in media il 75% di similarità genetica. La
presenza di gruppi supersorelle è alla base della struttura sociale delle api, ma una presenza
ridotta di tali gruppi può compromettere la sopravvivenza delle colonie stesse, riducendo la
capacità di risposta a variabili come il clima e le risorse alimentari 70. In un ambiente povero
di variabilità genetica, una regina vergine in volo di accoppiamento, troverà sulla propria
strada principalmente fuchi potenzialmente imparentati tra loro e con lei stessa. Le api
ricercano la poliandria ma se l'ape regina nel suo unico volo di fecondazione incontra solo
fuchi imparentati tra loro, in seguito alla riproduzione su larga scala di regine selezionate,
è come se si accoppiasse con un esiguo numero di maschi e la poliandria non raggiungerebbe
i risultati attesi 71.

3) Il terzo aspetto negativo per la conservazione delle sottospecie autoctone di A. mellifera
è dato dal nomadismo apistico su larga scala. La diffusione dei mezzi di trasporto a motore,
affermatasi in Europa ed in Italia nel XX secolo, ha reso semplice e veloce il trasporto di
interi apiari da una zona nettarifera all’altra, anche su tragitti di diverse centinaia di
chilometri. Molti apicoltori dell’Italia settentrionale hanno così portato le loro api a
bottinare le fioriture dell’Italia meridionale e viceversa, rimescolando popolazioni
geneticamente distanti (ecotipi) della stessa A. m. ligustica ma anche, in tempi più recenti,
trasferendo in Italia meridionale api carniche o portando sulle Alpi, in zone di ibridazione,
api ligustiche. Spostamenti ancor più tumultuosi avvengono anche nell’ambito dei cosiddetti
servizi di impollinazione. Poiché il nomadismo avviene, in genere, durante la stagione in cui
le colonie contano molti fuchi al loro interno e in cui avvengono i voli nuziali delle regine
vergini, l’effetto del nomadismo è tutt’altro che teorico o trascurabile.
4) Un colpo mortale alla conservazione delle sottospecie autoctone di A. mellifera deriva
però dal trasferimento sull’ape mellifica dell’acaro parassita V. destructor, legato in origine
alle sole specie asiatiche del genere Apis. Questo acaro, che come ogni parassita si era
coevoluto con le specie ospiti in maniera tale da non provocare danni irreparabili agli alveari,
trasferitosi su A. mellifera a causa dell’introduzione in Asia di questa ape a fini produttivi,
è divenuto un flagello letale per le colonie, a causa dei suoi effetti patogeni diretti e di
quelli indiretti legati alla trasmissione e attivazione di virus. La varroa è oggi uno dei
principali problemi dell’apicoltura in Europa e in molte altre parti del mondo, soprattutto
dove esiste un’apicoltura molto specializzata. Dagli anni ’60 del secolo scorso questo
parassita si è diffuso rapidamente in tutti gli alveari europei, sia in quelli gestiti
dall’apicoltore sia in quelli selvatici. Fino ad allora, oltre alle api degli apicoltori erano
presenti ovunque api mellifiche selvatiche, che pur incrociandosi inevitabilmente con quelle
allevate nelle arnie costruite dall’uomo, erano comunque soggette alla selezione naturale.
La presenza e l’abbondanza di queste api mellifiche selvatiche era fondamentale per
limitare gli effetti deleteri dell’apicoltura sulla conservazione delle sottospecie autoctone e
degli ecotipi locali. Tuttavia, in seguito all’arrivo accidentale di V. destructor, si è assistito
in Europa alla quasi totale scomparsa delle colonie selvatiche di ape mellifica.
Questo fatto, attestato in tempi recenti da una ricerca sullo stato di conservazione degli
Apoidei europei 72 condotta dall’IUCN (International Union for Conservation of Nature), ha
dato un colpo fatale alle popolazioni locali di A. mellifera, tanto che oggi si assiste in un
certo senso al paradosso che una specie fondamentale per la conservazione degli
equilibri naturali, oltre che per l’alimentazione umana, sopravvive in Europa quasi solo
grazie alla sua gestione apistica.
La presenza in varie parti del mondo di sottospecie più o meno tolleranti nei confronti della
varroa e la scoperta anche in Europa di colonie che possono sopravvivere al parassita in
assenza di trattamenti di controllo 73, dimostra come, in linea di principio, la selezione
naturale possa condurre allo sviluppo di colonie tolleranti nei confronti del parassita a
partire da popolazioni locali adattate all’ambiente d’origine. Inoltre, studi recenti, che
hanno messo a confronto vari ceppi d’api in diverse località europee, hanno dimostrato in
modo convincente che, in generale, le colonie più tolleranti nei confronti del parassita
tendono ad essere quelle locali e che quando queste linee vengono spostate dal loro
ambiente di origine perdono questa caratteristica 74, 75. Questi dati indicano in modo chiaro
l’utilità di preservare le popolazioni locali ed anche la possibilità di ricavare a partire da
esse colonie tolleranti nei confronti della varroa, come d’altronde perseguito da recenti
progetti di ricerca a livello europeo.
5) Un altro fenomeno, abbastanza recente, che sta minacciando la sopravvivenza delle
sottospecie autoctone di A. mellifera è dato dalla diffusione in molte parti d’Europa e
d’Italia di api selezionate come ibridi commerciali. Questi ibridi derivano da incroci a molte
vie fra diverse sottospecie, anche non europee, di A. mellifera. Moltiplicate su larga scala e
diffuse tra gli apicoltori professionisti e non, queste api stanno ulteriormente intaccando il
patrimonio autoctono residuo e, non essendo riproducibili se non da pochissimi allevatori e
selezionatori, costituiscono sia una fonte di “inquinamento” genetico che di riduzione del
pool genico complessivo.
Questi ibridi non sono stabili e le supposte caratteristiche per cui sono commercializzati
derivano dal fenomeno dell’eterosi (o lussureggiamento degli ibridi); nelle generazioni
successive i caratteri segregano con la formazione di individui molto diversi l’uno dall’altro
e per la maggior parte con caratteristiche negative, i quali però possono incrociarsi con le
popolazioni locali impedendo che ogni apicoltore possa attuare una selezione a livello locale.
L’attuale mancata tutela delle sottospecie autoctone di A. mellifera in Europa deriva in
parte anche dal fatto che, a livello di Comunità Europea, tranne poche eccezioni, gli
organismi viventi sono tutelati solo al livello tassonomico di specie e quindi le sottospecie
sono praticamente ignorate. Questo permette che qualsiasi apicoltore europeo possa
richiedere, in modo del tutto legale, di introdurre nel suo Paese una qualsiasi sottospecie di
ape mellifica proveniente da altri paesi europei ed extraeuropei, col solo vincolo di
ottemperare agli obblighi di polizia veterinaria.
6) Oltre ai precedenti gravi problemi che concorrono al declino delle sottospecie autoctone
di A. mellifera in Europa, almeno per quanto riguarda la loro consistenza biologica, cioè
come componenti fondamentali della fauna selvatica e quali organismi chiave per la
conservazione delle flore locali, e quindi della biodiversità nel suo complesso, le api
mellifiche, come tutti gli apoidei e gli altri insetti pronubi, sono seriamente minacciati da
altri gravissimi fattori di carattere ambientale di origine antropica. Questi sono
l’inquinamento chimico, specialmente a causa del massiccio e capillare uso di agrofarmaci76,
le modificazioni ambientali con conseguente riduzione della flora nettarifera e i mutamenti
climatici. Per quanto riguarda gli agrofarmaci, si osserva negli ultimi anni la diffusione di
composti attivi a dosi molto basse e quindi di più difficile gestione dal punto di vista
ambientale, i cui effetti più gravi sono spesso di natura subletale. Anche il massiccio uso di
sostanze ritenute fino ad oggi poco o per nulla tossiche per le api, come gli anticrittogamici,
si sta invece dimostrando una grave causa di declino delle api mellifiche e degli apoidei in
generale anche a causa dell’azione negativa sul microbiota delle api, ovvero il complesso di
microorganismi su cui le api mellifere basano in parte il loro metabolismo glucidico e,
soprattutto, la loro alimentazione proteica. Questi microrganismi sono fondamentali per la
formazione e la conservazione del cosiddetto pane delle api 77, 78, 79. Tutti questi fattori che,
unitamente al grave deterioramento genetico, stanno mettendo a rischio la sopravvivenza
delle popolazioni locali di A. mellifera e dei pronubi in generale, stanno determinando gravi
problemi alla conservazione della flora e quindi degli habitat. Il declino delle api e
l’impoverimento della flora mettono inoltre a rischio la sopravvivenza di un’attività,
l’apicoltura, che oltre a produrre alimenti e sostanze di grandissimo valore per
l’alimentazione e la salute dell’uomo, è anche storicamente e socialmente di altissima
rilevanza culturale.
Le problematiche in gioco sono dunque molto complesse, ma è oggi necessario agire, su
basi scientifiche e subito.

LA TUTELA DI APIS MELLIFERA
Molte organizzazioni ed enti si stanno impegnando per la salvaguardia delle api mellifiche,
e molte azioni concrete di sensibilizzazione delle amministrazioni politiche a tutti i livelli
sono state e sono portate avanti in Italia e in Europa. La maggior parte di queste azioni sono
però inquadrate principalmente in relazione all’apicoltura ed hanno dunque una
impostazione di tipo più zootecnico che naturalistico. Siamo consapevoli del valore di queste
operazioni di sensibilizzazione e tutela che condividiamo, ma vorremmo, con questo
documento, stimolare le amministrazioni pubbliche, a tutti i livelli, affinché mettano in atto
azioni volte a tutelare le api mellifiche e le relative sottospecie autoctone e in questo modo
garantire anche una concreta salvaguardia dell’ambiente e, come dimostrato da un’ampia
letteratura scientifica, dell’apicoltura stessa.
Le future strategie di tutela dovrebbero dare priorità a (1) definire un database nazionale
del patrimonio di A. mellifera, su base morfometrica e genetica, da collegare all’Anagrafe
Apistica, quale strumento fondamentale per regolamentare e gestire al meglio il patrimonio,
la movimentazione e il commercio di api; (2) rafforzare la ricerca apidologica per sostenere
adeguate strategie di conservazione, favorendo gli studi volti ad individuare e valorizzare
linee genetiche locali e determinare l'impatto di specie invasive (piante, animali, parassiti
e patogeni), integrando queste informazioni per comprendere il potenziale impatto dei
cambiamenti climatici sull'attuale diversità delle api.; (3) favorire le politiche volte a
minimizzare la perdita di habitat e rendere i paesaggi agricoli “bee-friendly”.
Vogliamo dunque richiedere con forza che tutte le amministrazioni e gli enti pubblici
che possono svolgere una azione amministrativa, normativa o legislativa in tal senso, si
adoperino al massimo livello e con la massima urgenza per predisporre nuovi interventi
concreti per la tutela delle sottospecie autoctone di A. mellifera.
Si tratta dunque di tutelare A. mellifera (nelle sue sottospecie autoctone e i relativi
ecotipi locali), come specie, non in contrapposizione al lavoro di selezione svolto dagli
apicoltori, ma in armonia con esso e con assodati principi di conservazione della
biodiversità apistica e dei servizi ecosistemici ad essa collegati.
Lo chiediamo nella convinzione che, per quanto riguarda le due sottospecie endemiche
italiane, la tutela di A. m. ligustica nella penisola e in Sardegna e di A. m. siciliana in
Sicilia, come patrimonio faunistico e naturalistico non sarebbe di ostacolo alle aziende
italiane che allevano api regine di queste sottospecie, ma renderebbe ancor più
fruttuoso il lavoro dei selezionatori, che operando in seno ad un territorio protetto,
potrebbero concentrarsi su linee di selezione mirate alla produttività ed alla salute delle
api usate dagli apicoltori.

San Michele all’Adige, 12 giugno 2018