Due episodi di “falso bio” in pochi mesi. L’ultimo in ordine di tempo risale a pochi giorni fa quando i carabinieri del nucleo tutela agroalimentare di Parma e l’Ispettorato Centrale Repressione Frodi Nord Est hanno illustrato i dettagli dell’indagine “Top Bio” che ha portato alla luce un’associazione a delinquere che spacciava come biologici prodotti trattati con fitofarmaci e concimi convenzionali. Le realtà coinvolte, tutte certificate per il biologico a livello produttivo, avrebbero utilizzato erbicidi e fertilizzanti di sintesi non ammessi nella filiera del biologico, in prodotti come cereali e oleaginose, e non ortofrutta. Coinvolto il gruppo Top Agri di Roverchiara (Verona). Quattro gli arresti.
Lo scorso settembre, invece, erano stati rinviati a giudizio di dieci imputati accusati di aver organizzato un raggiro su false mele biologiche, in cui era stata coinvolta l’Op Cop.
Dopo questi ultimi allarmanti episodi, per fare il punto sul settore dell’ortofrutta bio, dei controlli e degli eventuali rischi che corre, abbiamo interpellato Tom Fusato (nella foto), direttore commerciale di Brio Spa, uno dei principali player nazionali del comparto, che opera sul mercato dal 1989, producendo ogni anno 38.500 tonnellate di ortofrutta biologica.
In merito ai casi di “falso bio” avvenuti negli ultimi mesi, secondo Fusato “la questione è che, in periodi di crisi come questi, i settori che “tirano” di più, come è il caso del biologico, sono più soggetti ad essere coinvolti in tentativi di truffe da parte di delinquenti. Il problema esiste e potenzialmente potrebbe diventare importante. In molti, forse troppi, si buttano sul biologico e purtroppo c’è chi lo fa solo pensando a realizzare facili guadagni, lasciando da parte l’etica. Fare biologico in maniera seria invece è un lavoro molto duro. Bisogna essere innanzitutto bravissimi agricoltori, ed è più difficile del convenzionale”.
“Tuttavia – aggiunge – il numero di queste operazioni truffaldine è ancora molto limitato, anche se il fenomeno va assolutamente monitorato e tenuto sotto controllo. Il vero problema” – sottolinea ancora Fusato – “è che ogni volta che accadono episodi del genere, a farne maggiormente le spese sono le imprese che operano seriamente da anni sul mercato. In realtà poi di scandali legati all’ortofrutta se ne contano sulle dita di una mano. La vera questione è che quando emergono fatti del genere è giusto, anzi doveroso e soprattutto necessario, espellere le mele marce dal settore. Ne va della reputazione dell’intero sistema, che si basa esclusivamente sulla fiducia del consumatore, disposto a spendere qualcosa di più per avere un prodotto con caratteristiche superiori rispetto al convenzionale. La fiducia va ripagata e rafforzata dedicando risorse adeguate”, aggiunge il manager veronese. “Il fatto che emergano certe truffe è comunque un bene. Significa che il sistema ha gli anticorpi ed è in grado di contrastare chi tenta di operare nel bio attraverso il raggiro e la truffa”.
“Come Brio, da quasi trent’anni (l’anno prossimo festeggeremo il trentennale) investiamo molto sui controlli, sulle garanzie che il consumatore giustamente ci chiede e che sono a tutela anche dei nostri soci che producono seriamente. Lo facciamo partendo dai controlli in campagna, sia presso le aziende agricole nostre socie che quelle esterne, (in tutto sono 443 le ditte che operano all’interno o a fianco di Brio, ndr). I controlli in campagna sono gli unici che permettono di escludere con certezza l’uso di sostanze non ammesse in bio, siano queste fitofarmaci, erbicidi, antiparassitari, ormoni o concimi chimici di sintesi. Le sole analisi del prodotto finito non sono assolutamente sufficienti a garantire il rispetto delle tecniche produttive biologiche”.
Secondo Fusato fondamentale è anche la comunicazione. “In questo senso è necessario investire ancora di più sull’informazione istituzionale rivolta al consumatore, magari con programmi finanziati dalla Comunità Europea che aiutino a comprendere fino in fondo che cosa è il biologico e quali garanzie offre”. “Come Brio ci affidiamo al marchio Alce Nero, di cui siamo soci, comunicando i valori e l’etica che sta dietro al nostro lavoro. L’attenzione che poniamo ai controlli è massima. Nella nostra attività trentennale in più di un’occasione abbiamo escluso aziende produttrici perché ritenevamo non fossero sufficientemente adeguate ai nostri standard di sicurezza e controllo”.
“Il sistema di controlli sul bio in Italia e in Europa è già di per sé molto buono. È uno dei settori più controllati dell’alimentare con una visita degli ispettori almeno una volta l’anno in ogni azienda agricola, ma credo sia necessario incrementare ulteriormente le verifiche per dare garanzie totali. Le aziende più strutturate e serie del comparto eseguono ulteriori verifiche rispetto a quelle ufficiali, come fa Brio, da sempre”, sottolinea Fusato.
“Credo inoltre che l’innovativo sistema di tracciabilità ideato e messo in pratica da Federbio, per adesso in funzione esclusivamente per cereali ed oleaginose, che garantisce al cento per cento la trasparenza degli interscambi nel settore, possa essere un buon esempio di come, volendo, le cose, dal punto di vista dei controlli, possano essere fatte molto seriamente”.
Alla fine uno degli aspetti fondamentali per il biologico, comunque, resta la fiducia del consumatore, che non deve essere intaccata. E su questo Fusato è ottimista. “Nonostante alcuni gravi episodi, il sistema è solido. Fondamentale è individuare i colpevoli, e fare in modo che questi non possano rientrare più nel settore, magari attraverso nuove società. Chi viene espulso deve esserlo in maniera definitiva. Per questo è necessario rinforzare ulteriormente i controlli e fare in modo che su questi aspetti le aziende serie e sane collaborino fra loro. È interesse di tutti difendersi da truffe e truffatori”.