Intervista a Andrea Bertoldi, vicepresidente FederBio: per affrontare l’emergenza del settore agricolo servono subito soluzioni; bisogna fare in fretta
Secondo alcune stime in Italia nel settore agricolo mancano all’appello 370.000 lavoratori stagionali (sono 1 milione in Europa). A causa del coronavirus e delle misure adottate per rallentarne la diffusione, questo flusso di lavoratori si è interrotto determinando una situazione critica che sta mettendo a rischio la raccolta – quindi l’approvvigionamento – di molti prodotti principalmente ortofrutticoli – e la stessa sopravvivenza di molte aziende agricole.
Per fronteggiare questa emergenza le soluzioni allo studio sono tante: dopo la proroga al 15 giugno dei permessi dei lavoratori extra comunitari stagionali presenti in Italia decisa dal ministro dell’Agricoltura e la possibilità di far lavorare nelle aziende agricole i parenti fino al sesto grado, si sta discutendo del modello dei voucher e della definizione di accordi con Paesi Ue per riportare nel nostro Paese i lavoratori stagionali comunitari, 100.000 provenienti solo dalla Romania.
” Le proposte che si sentono sono tante, più o meno interessanti, ma quello che bisogna fare è trovare una soluzione presto”, sottolinea Andrea Bertoldi, vicepresidente di FederBio. “Ho letto di questa norma che consente di far lavorare i parenti fino al sesto grado nelle aziende agricole. E so di aziende che si sono già organizzate in tal senso. In questo momento nella provincia di Verona si parla della carenza di 3.000 persone necessarie principalmente per la raccolta della fragola. Credo che in questa grave emergenza bisogna saper sfruttare tutte le opportunità che ci sono. In Spagna il governo ha deciso che per sopperire alla mancanza di manodopera straniera fino al 30 giugno nei campi potranno lavorare i disoccupati spagnoli. Pertanto ritengo che anche in Italia la proposta dei voucher richiesta dal mondo agricolo possa essere una soluzione valida, quantomeno come misura una tantum per affrontare questa situazione e far lavorare persone che attualmente si trovano disoccupate a casa. Anche se non bisogna sottovalutare il lavoro agricolo. Non è un lavoro che si impara da un giorno all’altro: è spesso un lavoro duro che si fa al caldo, piegati per ore”.
Carenza di manodopera, ci sono alcune differenze…
Una situazione critica quella che sta vivendo il settore agricolo che evidentemente accomuna le aziende convenzionali e biologiche. “In questo momento le aziende agricole del biologico vivono le stesse problematiche delle aziende convenzionali per quanto riguarda la carenza di manodopera”, continua Bertoldi. “C’è però una precisazione da fare sull’organizzazione del lavoro: il problema della carenza di manodopera è particolarmente sentito nelle aziende strutturate sulla coltivazione di pochi prodotti e che si trovano così ad aver grandi picchi di lavoro concentrati in alcuni periodi dell’anno. Un esempio può essere quello delle aziende che producono fragole e che ad esempio in queste settimane hanno bisogno di tanta manodopera per la raccolta. E se è vero che nel biologico c’è un maggiore utilizzo di manodopera proprio perché certe lavorazioni sono fatte a mano, è anche vero che le aziende biologiche non sono specializzate su pochi prodotti ma sono organizzate su più prodotti nell’anno, sulla rotazione delle colture. C’è una maggiore e più costante continuità lavorativa, con meno picchi. Questa organizzazione fa soffrire un po’ meno le aziende bio”.
Alla difficoltà del reperimento della manodopera si aggiunge però un altro aspetto particolarmente penalizzante per le aziende biologiche: la chiusura dei mercatini del fresco all’aperto. Sul tema nei giorni scorsi FederBio ha lanciato un appello ai sindaci italiani chiedendo di riaprire i mercati agricoli locali, ovviamente nel massimo rispetto delle norme di sicurezza.
“Queste forme di vendita diretta sono particolarmente diffuse nel biologico, molto più rispetto al settore convenzionale. Non poter vendere direttamente il proprio prodotto nei mercati locali che sono uno sbocco di vendita privilegiato, a volte esclusivo, oltre a rappresentare per le aziende biologiche un problema di sopravvivenza, toglie alle comunità locali una possibilità di avere cibo sano. Per questo è importante che le aziende possano tornare a vendere direttamente in quella modalità, ovviamente rispettando la sicurezza e la salute degli agricoltori e dei clienti. E’ evidente che sarà necessario modificare l’organizzazione di questi mercatini ma invito i Comuni italiani a darsi da fare in tal senso, a trovare le soluzioni adatte per far riprendere questo canale di vendita”, conclude Bertoldi.