Entrerà in vigore dal prossimo primo gennaio 2023, il decreto ministeriale 7264/2020 che ha introdotto nuovi limiti alle contaminazioni accidentali e tecnicamente inevitabili da fosfiti in frutticoltura e viticoltura biologica.
Il Decreto prevede, tra le altre disposizioni, la realizzazione di uno spaccato della situazione attuale; un compito che ha affidato al CREA, il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi di economia agraria con il progetto Biofosf Wine.
I risultati di questo studio saranno presentati per la prima volta l’8 settembre 2022 (ore 14-15.30) presso l’Arena SanatechLab a Sanatech, rassegna organizzata da BolognaFiere e curata da Avenue Media, nel corso della Tavola Rotonda ‘LMR fosfiti in viticoltura biologica’, a cura di Elisabetta Romeo-Vareille, Policy Officer di Unione Italiana Vini (UIV). L’evento sarà moderato da Giulio Somma, Direttore del Corriere Vinicolo.
Il tema dei limiti dei fosfiti in agricoltura biologica è tanto più importante perché impatta, fra le altre cose, sull’export del vino italiano biologico verso cui sono maggiormente orientate le cantine certificate del Belpaese. Uno dei principali mercati europei di sbocco, è quello tedesco.
Mancando dei limiti europei sulla disciplina dei fosfiti, la Germania, nel 2020, ha varato delle linee guida, dettate dal Bundesverband Naturkost Naturwaren, l’associazione federale tedesca dei trasformatori, grossisti e rivenditori al dettaglio di prodotti biologici.
Il vademecum fissa dei limiti di fosfiti ammessi per il vino biologico venduto in territorio tedesco. Limiti ai quali, il Decreto Ministeriale italiano 7264/2020 si è adeguato anche per incontrare al meglio le esigenze dei consumatori tedeschi e favorire l’export verso questa importante piazza europea per il prodotto certificato.
Tra gli aspetti critici che questo tema solleva, il fatto che, per quanto riguarda le colture arboree quali sono, appunto, quelle vitivinicole, queste sostanze si possono accumulare nel tempo ed è quindi possibile rilevare residui di acido fosfonico nelle uve e, di conseguenza nei vini, anche diversi anni dopo l’interruzione del loro utilizzo, come ad esempio, in vigneti ancora in conversione biologica o appena convertiti in bio.
“Per le arboree – ha affermato Alessandra Trinchera, ricercatrice del Crea, al Corriere Vinicolo – esiste un rischio di contaminazione a lungo termine che deve essere preso in considerazione ed è necessario verificare se il tempo di conversione sia sufficiente alla decontaminazione completa dei diversi organi della pianta, dal tronco, ai rami, alle foglie, ai frutti”. Anche di questo, la normativa che sta per entrare in vigore, dovrà tenere conto per non rivelarsi un boomerang contro le nostre produzioni vinicole di eccellenza.
La conoscenza da parte delle cantine bio dei contenuti di fosfiti nei loro prodotti biologici, attraverso la tracciabilità dei mezzi tecnici e dei materiali ausiliari utilizzati nel processo di vinificazione nonché un monitoraggio analitico periodico dei residui, è pertanto uno strumento fondamentale per potere attuare scelte aziendali oculate.
Fonte: Ufficio stampa Sanatech