
La coltivazione è stata poi progressivamente abbandonata e nel 1979 la produzione italiana di canapa era scesa a zero, mentre nel mondo era ancora di circa 200.000 tonnellate all’anno. In questo inizio del XXI secolo la produzione mondiale di canapa è ancora di circa 70.000 tonnellate all’anno, soprattutto in Francia e Cina.
Una qualche coltivazione e lavorazione della canapa sta riprendendo anche in Italia, una operazione importante anche dal punto di vista culturale perché si riscopre la storia di tale coltivazione e vengono riscoperte tecnologie e pratiche che in passato avevano raggiunto un elevato grado di successo tecnico-scientifico e che è possibile ritrovare in vari musei della canapa. La rinascita della coltivazione e lavorazione della canapa consente l’utilizzazione di terre marginali con vantaggio per l’economia e per l’ambiente. Il ciclo produttivo della canapa tessile comincia con la fase agricola: la Cannabis sativa è una pianta erbacea annua con fusto sottile ed eretto, alto da 2 a 6 metri, coltivata nei climi temperati. In passato per ricavarne la fibra, dopo la raccolta
i fusti privati delle foglie erano stesi sul terreno e poi, riuniti in piccoli fasci, erano sottoposti alla macerazione, una operazione in cui adatti microrganismi decompongono le sostanze collanti che tengono unite le fibre periferiche alla parte interna legnosa della bacchetta, il canapulo. Si tratta di un delicato processo di biotecnologia in cui l’Italia aveva occupato una posizione di rilievo; uno dei microrganismi era stato identificato nei maceri emiliani e denominato Bacillus felsineus. Per il distacco delle fibre dal canapulo (stigliatura), erano state inventate speciali macchine che assicuravano l'integrità delle fibre, tanto più pregiate quanto più erano lunghe e omogenee. Adesso la raccolta, macerazione e stigliatura della canapa sono fatte tutte meccanicamente.
La fibra è soltanto una piccola parte, circa il 10 %, delle circa 10 tonnellate per ettaro di biomassa secca che si ottiene in un anno dalla coltivazione della canapa, un rendimento elevato rispetto all’energia solare impiegata per la fotosintesi della biomassa.
Le fibre, ricche di cellulosa, si presentano sotto forma di lunghi filamenti di diametro irregolare; relegata per anni a usi meno nobili, come la produzione di sacchi, spaghi e cordami, la canapa, adesso in Italia in gran parte di importazione, ricomincia a trovare utilizzazione per la produzione di tessuti per lenzuola, tende e indumenti, grazie anche a innovazioni tecniche nei processi di filatura e tessitura; le caratteristiche chimiche e fisiche delle fibre fanno sì che i tessuti di canapa diano una sensazione di freschezza perché assorbono e disperdono il calore e l’umidità del corpo. Attualmente le fibre di canapa vengono impiegate per la produzione di fibre tecniche, per esempio per le imbottiture, per cordami, per carta di qualità, eccetera. Vi sono poi fibre corte che trovano impiego per la produzione di pasta da carta, in edilizia per la produzione di pannelli isolanti termici ed acustici e di manufatti di fibro-cemento, utile alternativa al nocivo amianto.
I canapuli, ricchi di lignina e emicellulose, si prestano come combustibili, per la fabbricazione di cartoni e cellulosa, in edilizia come pannelli. I semi di canapa trovano impiego nell'alimentazione animale e il relativo olio viene usato in cosmesi e per vernici, ma ha anche potenziale importanza per la produzione di "biodiesel", il carburante per motori diesel ottenuto esterificando, cioè unendo chimicamente, gli acidi grassi dei grassi naturali con alcol etilico.
La resurrezione della canapa avrebbe importanza anche per il Mezzogiorno e sarebbe facilitata da una mobilitazione della ricerca nei vari aspetti agronomici, chimici e merceologici, con vantaggi anche ambientali.
*Gazzetta del Mezzogiorno, 26 gennaio 2016
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it