SETE D'ARIA di Paola Tonelli - Novembre 2020

 articolo tratto da: https://comune-info.net/sete-daria/?utm_source=mailpoet&utm_medium=email&utm_campaign=Il+Covid+e+la+guerra+alle+parole

Quest’anno è esplosa la sete d’aria: questa necessità è affiorata nella consapevolezza di molti. Se ne è cominciato a parlare in modo sempre più forte dai primi mesi dell’anno. In primavera si sono moltiplicati i corsi online sull’argomento. Per tutti noi che da tanti anni abbiamo fatto molta attenzione allo spazio aperto delle scuole-nidi è stata una piacevole sorpresa veder affiorare queste riflessioni. In un momento così difficile le parole sull’outdoor hanno preso a rimbalzare da un webinar all’altro come raggi di luce.

Ho sempre curato la vita dei bambini nei giardini-cortili scolastici: prima quando insegnavo poi quando ho cominciato ad occuparmi della formazione degli adulti. Fin dagli anni Ottanta il momento dell’uscita, per me, non poteva coincidere con il momento dello sfogo, del “liberi tutti”, mentre l’insegnante si disinteressava e, se poteva, si riposava distrattamente.

Questo articolo fa parte di Usciamo. Il tempo dell’educazione all’aperto, e-book curato da Comune, qui scaricabile gratuitamente

Per me questo tipo di presenza dell’adulto fu subito scartata. Ripensandoci credo che, inizialmente la particolare attenzione al “fuori” fosse dovuta al fatto che pur essendo nata “cittadina” avevo avuto la fortuna, ogni anno, per tutta l’infanzia e l’adolescenza, di vivere l’estate in campagna e di poter scoprire (in libertà) la vita nei prati, tra l’erba, gli alberi, i sassi, l’acqua limpida del ruscello e del torrente, l’acqua dello stagno con il suo canneto, la morbidezza della terra arata. Ho avuto la fortuna di osservare da vicino e a lungo tutti i “colori” della campagna e dei monti, tutte le forme strane e infinite della natura. Ogni volta che ripenso a quei giorni mi convinco sempre di più di quale grande scuola di creatività siano state quelle buone vacanze in campagna.

Insegnare ai bambini di città mi ha spinto, naturalmente, a paragonare la qualità delle loro esperienze con le mie. Conoscere i loro problemi, le loro difficoltà mi ha portato a cercare soluzioni diverse per loro. Ho cercato, innanzitutto, una scuola dotata di giardino: con almeno la terra o un poco di erba. Non sempre ci sono riuscita: purtroppo ho anche lavorato in scuole dotate solo di un cortile di cemento o di un terrazzo. Senza scoraggiarmi troppo ho trovato anche qui delle soluzioni interessanti. Ho sempre lavorato, progettato per restituire veramente ai bambini, nel migliore dei modi, l’uso dello spazio aperto inseguendo il possibile in ogni situazione.

Mi sono molto impegnata a cercare cosa si potesse fare nelle realtà meno felici. Questo perché sono consapevole delle migliaia di bambini che, a scuola, non dispongono di spazi aperti ottimali o almeno sufficientemente buoni.

Ho deciso di utilizzare questo invito a scrivere per riflettere su come si può partire subito in tali condizioni. Il mio intento è quello di far capire che non si può perdere tempo, mesi, a volte anni in attesa che succeda qualcosa che trasformi uno spazio, da noi adulti considerato brutto, in uno spazio meraviglioso. Non si deve certo rinunciare a progettare la sua trasformazione ma, poiché questo generalmente richiede del tempo più o meno lungobisogna cominciare a capire che, nell’attesa, qualcosa di estremamente prezioso per i bambini si può fare da subito, domani mattina e in ogni situazione.

Cosa mi ha aiutato a partire subito, a introdurre azioni innovative nell’immediato? È stato fondamentale parlare con i bambini per capire come loro vedono-valutano gli spazi infelici della scuola. Nell’ascoltarli mi sono imbattuta nella prima sorpresa: loro non li vedono brutti. Al contrario per loro sono desiderabili. Possiamo dunque affermare che i bambini valutano il cortile molto diversamente da noi. Per questo è utile, per far partire i nostri progetti outdoor, trovare momenti per ascoltarli con attenzione.

Ho cominciato così: di tanto in tanto ho trovato del tempo per fare loro una serie di domande che possono ricordare le modalità dell’intervista. I bambini amano moltissimo raccontare, rispondere a interrogativi, esporre il proprio parere. Per questo considero l’intervista uno strumento prezioso da utilizzare perché è molto semplice, non richiede un’organizzazione complessa, non si fa alla massa di bambini ma a piccoli gruppi (o a singoli o a coppie) in cui tutti possono esprimersi. Le interviste sono benefiche per loro che si aprono-raccontano-pensano e possono essere realizzate subito in ogni realtà. Possono dare ottimi frutti.

Trasformo in due brevi racconti due interviste che ho fatto. La prima ha coinvolto due bambini romani della primaria e la seconda ha coinvolto una ragazzina di una scuola media di Firenze.

L’intervista a Roma – scuola primaria

La scuola in cui si trovavano questi due alunni disponeva di un grande cortile completamente ricoperto da mattonelle di cemento. Chiesi loro come chiamassero questo spazio. Volutamente non lo definii io perché mi interessava far emergere le loro parole senza influenzarle. Pensai che quanto mi avrebbero detto mi sarebbe stato utile per comprendere meglio il modo con cui si approcciavano allo spazio esterno.

Dalla chiacchierata venne fuori che per uno di loro si trattava di un cortile, per l’altro di un giardino. Sollecitati dalle mie domande manifestarono immediatamente la gioia e il piacere di andarci indipendentemente dal nome con cui avevano chiamato quello spazio. Cercai anche di indagare perché piacesse così tanto. La risposta fu per me agghiacciante:Perché in classe non si può correre, in classe si fa la ricreazione seduti”Chiesi subito il perché di questa ricreazione seduti e mi fu risposto che questo accadeva quando si “menavano”. Aggiunsero anche che, a volte, usciva il sangue dal naso o dal labbro.

Pensai subito che tenere i bambini agitati chiusi in classe e seduti non poteva che complicare la situazione. Più i bambini sono compressi e costretti a stare fermi più avrebbero bisogno di almeno una buona boccata d’aria. Soprattutto i bambini di città che crescono chiusi tra muri facendo quello che gli adulti chiedono loro di fare. Dovremmo capire che hanno sete, sete d’aria. Quando si ha sete bisogna bere altrimenti si sta molto male. Una semplice uscita in cortile per respirare sarebbe rigenerante come un bicchiere d’acqua nel deserto. Potrebbero anche bastare dieci minuti di uscita. Nelle scuole del nord Europa dopo ogni ora di scuola i bambini, gli studenti escono per circa dieci o quindici minuti. Quando rientrano stanno meglio, sono più calmi e sono più capaci di concentrazione. Questa è una pratica che potremmo sperimentare subito anche noi, anche domani mattina.

Indagai ulteriormente cercando di capire quale punto-parte di questo cortile-giardino preferissero. Chiesi: “Dove vi piace più giocare?”. La risposta mi commosse perché indicarono un angolino di pochi metri quadrati: l’unico spazio con terra e due cespugli abbastanza robusti alti poco meno di due metri. C’era anche una specie di barriera formata da due grandi pietre legate tra loro con una catena. Riporto le parole che hanno usato perché spero che aiutino a riflettere:

“Chiacchieriamo anche dove ci sono due alberelli, uno tipo salice piangente che è bellissimo!. È uno spazietto per le chiacchiere. Per sedersi ci sono due palloni di pietra. Alcuni di noi si arrampicano sugli alberelli. Andiamo lì dietro i palloni di pietra quando le maestre non ci vedono, se ci vedono dicono di non andare perché ci sono le trappole per i topi … per sederci abbiamo anche l’angoletto con il prato finto …”.

Agli occhi-orecchi attenti di noi insegnanti-educatori si manifesta nuovamente la grande sete di aria, terra e verde. Ascoltare queste voci bambine sul loro spazio aperto deve assolutamente attivarci e spingerci a fare qualcosa. Vi assicuro che si può fare moltissimo e, quando ancora non c’è nulla di nuovo, si possono almeno prevedere, organizzare e moltiplicare le uscite all’aperto che devono essere pensate con cura nonostante la loro evidente semplicità. È indispensabile evitare ogni forma di improvvisazione, di faciloneria.

L’intervista a Firenze – scuola media

La scuola che questa ragazzina ha frequentato per tre anni si trova in Firenze e, sollecitata a descrivere il loro spazio aperto, mi ha fatto questo racconto:

“Abbiamo un cortile enorme e asfaltato o di cemento. Da tre lati è circondato dalla scuola, da un altro lato c’è un muro abbastanza alto. Ci sono cinque alberi in croce. In croce perché sono veramente pochi. La terra è poca: c’è solo un angolino di terra per i peperoni ma non lo coltiviamo noi. I ragazzi a turno, forse, escono nell’ora di educazione fisica per fare ginnastica o sport ma non per giocare. Noi, invece, avevamo un professore che una o due volte al mese ci portava in cortile per parlare”.

C’erano delle panchine?

“No. Ci mettevamo seduti in terra e in cerchio. Dopo aver parlato giocavamo ad un gioco deciso insieme. Non facevamo uno sport ma un gioco, tipo palla avvelenata”.

Di cosa parlavate?

“… di come era andato il mese. Oppure se c’era un bambino che aveva bisogno di parlare con la classe, e lo aveva richiesto, lo ascoltavamo e poi parlavamo con lui. È importante parlare, è bello stare fuori, e bello per l’odore…”.

Mi incuriosì questo riferimento all’odore e chiesi di spiegarmi meglio.

“Il cortile non puzza come in classe. Stavo bene fuori”.

Torna la sete d’aria. Cosa mi colpisce di questo racconto?

  • Siamo nuovamente davanti a un cortile cittadino circondato da muri.
  • La maggior parte delle classi lo usa per fare ginnastica o sport. Non lo utilizza per il gioco. Alle medie i ragazzi sono troppo grandi per giocare?
  • Un professore lo utilizza per far parlare i ragazzi.
  • Non ci sono panchine o sedie ma… la soluzione è dietro l’angolo: ci si siede per terra. Naturalmente quando non è bagnato ma quando c’è il sole o, anche quando non c’è ma è tutto asciutto.
  • Se gli scambi verbali finiscono prima del tempo previsto non c’è alcun problema: si gioca insieme secondo quanto è stato deciso da tutti.
  • Molto interessanti i due filoni delle conversazioni e anche molto utili per curare la socialità del gruppo. Un’occasione per aprire un confronto su come si è vissuto insieme.

Concludo questa breve riflessione: è tempo di riconnettere i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze alla natura. Chi insegna in scuole dove la natura sembra lontana deve provare a portarli più spesso all’aria, importante elemento primario della natura, studiando-progettando questi primi piccoli urgenti passi e individuando nuove modalità di uscita.

Con il tempo si scoprirà che ogni spazio può trasformarsi in una meraviglia anche a costi contenuti. Pensate che nel Trecento, a Lucca, hanno costruito la torre Guinigi che in alto ospita un vero giardino pensile dove sono stati piantati sette lecci. La scoperta di questa torre bella e molto audace mi aiutò a pensare che è possibile portare la natura anche dove sembra impossibile. Una volta conosciuta questa torre diventa ancora più chiara la direzione che si può prendere per trasformare i terrazzi e i cortili. Ma qui inizia un altro discorso.


Paola Tonelli, formatrice, si è occupata su tutto il territorio nazionale della formazione delle insegnanti di scuola dell’infanzia. Presso il Cnr, ha collaborato al progetto “La Città dei bambini”. Tra i suoi ultimi libri Usciamo all’aperto. Portare i bambini di 0/6 anni a contatto con la natura e le sue meraviglie anche in città (Anicia).