I CENTRI COMMERCIALI E IL CENTRO STORICO DI VERONA.


Da Giorgio Massignan.
    
Verona, dopo la Variante Generale al P.R.G. del 1975 e le oltre duecento varianti parziali, che di fatto hanno quasi esaurito aree edificabili per 410.000 abitanti (attualmente i cittadini di Verona sono poco più di 250.000), nel 2007, l’Amministrazione Comunale ha prima adottato e poi approvato il P.A.T. decennale e nel 2011 il P.I. quinquennale. Mentre nei piani urbanistici precedenti si leggeva una programmazione, non sempre condivisibile, ma comunque chiara, sullo sviluppo del territorio e sulle sue potenzialità ed esigenze; dalle analisi del P.A.T. e del P.I. si desume come non esista un’obiettiva valutazione sulla vocazione del territorio sulle sue opportunità ed eccellenze e, di conseguenza, sulle relative scelte. In realtà la Pubblica Amministrazione ha voluto delegare la pianificazione della città agli operatori privati che, pagando gli oneri di urbanizzazione o finanziando opere compensative, risollevano le casse comunali. La pianificazione urbanistica è sempre stata il prodotto tra il fattore politico-amministrativo e quello privato-economico, ma non si era mai giunti, come in questo periodo, al quasi totale mandato ai privati sulle decisioni d’uso del territorio. L’urbanistica è così diventata una vera e propria piattaforma di scambio.
A Verona, le scelte che maggiormente appagano gli interessi degli operatori privati, sono i centri commerciali, che deturpano il paesaggio e congestionano il traffico delle zone dove sono localizzati.
Lasciare agli operatori privati la possibilità di decidere come utilizzare il territorio significa, non solo realizzare quasi esclusivamente scelte che favoriranno gli interessi degli speculatori e determineranno un prevedibile e pesante indebitamento alle generazioni future, che dovranno risolvere i problemi di mobilità, di sovradimensionamento di capannoni e di edifici non idonei e di conseguente riqualificazione di aree abbandonate e fatiscenti; ma anche imporre un modello che in altri paesi sta mostrando i suoi limiti e si sta esaurendo.

Negli USA, così come in gran parte dell’Europa, i centri commerciali stanno vivendo un periodo di profonda crisi che ne sta accorciando il ciclo di vita a causa della diminuzione di presenze e del relativo calo dei fatturati. Quelli che non chiudono si stanno trasformando in discount sul modello cash & carry (a bassa occupazione) o in centri per shopping di lusso.
In Italia, durante gli  anni ’80, i centri commerciali avevano avuto successo perché erano pochi e ben distribuiti, offrivano parcheggi ampi e comodi, buon rapporto qualità/prezzo e soprattutto si rivolgevano a tutte le classi sociali, in particolare a quella media. Ora non è più così; la classe media
si è ridotta e ha meno potere d’acquisto e i centri commerciali, anche da noi,  si stanno trasformando.
Nell’attuale periodo storico, che alcuni già indicato come quello del post capitalismo, lo shopping sarà sempre meno attrattivo e per permettere ai centri commerciali di sopravvivere, sarà necessario che offrano occasioni per le relazioni, il divertimento e il tempo libero. Soprattutto dovranno godere di un ampio settore territoriale di  esclusiva competenza. L’esatto contrario di quello che si sta programmando a Verona, dove  solo in ZAI, sono previsti circa 430.000 mq di centri commerciali, ai quali, molto probabilmente, si aggiungeranno i 100.000 mq dello store Ikea.   La saturazione del territorio e la sovrapposizione dei centri commerciale e del bacino di utenza sono le cause prime della loro crisi all’estero. Nella nostra città le condizioni che hanno determinato quelle cause sono addirittura pianificate. Si è calcolato che per permettere a tutti i centri commerciali previsti a Verona di sopravvivere, servirebbe una popolazione di oltre due milioni di abitanti; Verona con la sua provincia ne ha meno di un milione.
Le scelte sulla ZAI, oltre che creare un ambiente abitativo invivibile, penalizzeranno ulteriormente il centro storico. Il modello del centro commerciale come luogo artificiale che seduce i visitatori, offrendo loro, oltre che una estesa varietà di merci da acquistare, anche spazi di aggregazione e  di divertimento,  ha ormai soppiantato i luoghi di relazione tipici delle città storiche, come lo erano i negozi vicinali, le piazze, le vie cittadine e gli spazi di ritrovo. All’interno dei centri commerciali si cerca di  ricreare artificialmente gli spazi, i tempi e le funzioni delle vecchie città. 
Anche a causa di queste scelte, il nostro centro storico è stato ridotto a luogo per la vita notturna, a spazio commerciale per poche e specifiche merci e a zona dove scorrazzano folle di turisti frettolosi. Ma soprattutto non ha più gli abitanti. Senza abitanti una città è morta, ha perduto il motivo per cui è sorta. Se si vuole impedire che si riduca a un luogo morto, atto solo a ospitare turisti e goderecci clienti di bar,  è necessario attuare le giuste scelte di politica urbanistica per riportare le coppie giovani in centro, per realizzare un efficiente e non inquinante sistema di mobilità pubblica che serva il centro storico e per ricreare, anche con doverose politiche economiche, il vecchio e tradizionale modello dei negozi di vicinato.
Se al centro storico sarà data l’opportunità di tornare nuovamente abitato e quindi di  rivitalizzarsi, scegliere in quali luoghi fare acquisti, non significherà solo comperare della merce, ma decidere se essere soggetti che vivono da protagonisti la realtà dei propri e autentici luoghi, oppure essere fruitori di un ambiente finto e artificiale. Decidere dove e come andare per negozi, .rappresenta il modo di relazionare di una società ed è la fotografia del suo spirito di aggregazione e del suo vivere la quotidianità. Una città d’arte come Verona deve tornare ad essere il luogo che ospita le diverse funzioni che l’hanno caratterizzata nei secoli.

Giorgio Massignan  (responsabile di VeronaPolis)

Verona 25. 05. 2015
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