La convivenza tra vite europea e peronospora ormai è più che centenaria, anche se sembra che negli ultimi anni stia diventando sempre più faticosa e impegnativa (per noi e la vite). Quindici trattamenti fungicidi (spesso in sovrapposizione con quelli contro l’oidio) in una campagna viticola sono ormai abbastanza normali, ma non dovrebbero. Anche lavorando con principi attivi più leggeri dal punto di vista (eco)tossicologico, si deve comunque transitare spesso con carichi pesanti nel vigneto, e il rame, unica vera arma per chi lavora in biologico, ha il suo rovescio della medaglia (poca persistenza, che porta a trattamenti frequenti, accumulo nel terreno, con possibili riflessi negativi su microrganismi o lombrichi). Cosa fare, quindi? La ricerca e le ditte operanti nell’ambito dei prodotti fitosanitari stanno lavorando da anni per trovare alternative (o complementarietà) alla chimica di sintesi, in particolare per tornare a coinvolgere il metabolismo della vite stessa, cercando di svilupparne e rafforzarne i meccanismi di difesa. Estratti vegetali, microrganismi, polimeri naturali, sostanze minerali possono aiutare, pur in una certa confusione legislativa (e tecnologica), a diminuire l’uso di molecole di sintesi e finanche dimezzare il rame utilizzabile in biologico. All’interno della giornata organizzata da SIVE a San Floriano (VR) lo scorso 11 dicembre, dedicata alle varietà resistenti appunto a peronospora e oidio e alle malattie del legno della vite, i lavori di apertura sono stati quelli di due dottori di ricerca, che con le proprie pubblicazioni si sono meritati il premio SIVE – Dottorato di ricerca.
La dottoressa Roatti ha presentato i risultati di uno studio che ha indagato sia le diversità genotipiche di alcune popolazioni di Plasmopara viticola (agente causale della peronospora della vite) che una possibile via di induzione di resistenza nella pianta. La peronospora, oomicete parassita obbligato (fattore importante per la strategia di contenimento della malattia mediante la risposta di ipersensibilità da parte della pianta) e specializzato, può causare infezioni a partire da infezioni primarie (intense all’inizio della stagione, vanno via via scemando) oppure secondarie, ovvero dalle sporulazioni delle lesioni delle primarie maturate. Un numero esiguo, tuttavia, di primarie riescono a dar luogo a più cicli di secondarie. Sembra quindi esserci una certa dominanza da parte di alcuni genotipi, più virulenti di altri nel dar luogo alle secondarie. Sarà un aspetto da tenere in considerazione negli sviluppi futuri di conoscenza della genetica della P. viticola. La difesa può operare esternamente, contrastando la penetrazione all’interno dell’ospite da parte dell’oomicete (classica difesa con i sali di rame o con altri prodotti di copertura) oppure dall’interno della pianta, sfruttando la capacità di alcuni principi attivi di essere traslocati nella pianta (molte molecole moderne di sintesi vantano questa capacità, che però va sempre verificata con cura). Infine si possono sfruttare le difese della pianta, che sono di tipo costitutivo e inducibile: la pianta possiede una certa capacità di difendersi, ma è in genere talmente lenta da risultare insufficiente. Possiamo però “allenare” il sistema di difesa, o magari introdurre le resistenze cercandole in altri genotipi (americani spesso), come nel caso dei nuovi vitigni resistenti, che non necessitano più trattamenti (per le due patologie citate). Nel suo lavoro, la Roatti ha indagato l’induzione di resistenza con Trichoderma harzianumT39, e di come la risposta variasse in condizioni fisiologiche diverse. Il T. harzianum agisce su quella che è conosciuta come ISR, ha un effetto locale e (veramente!) sistemico, induce l’espressione dei geni di difesa, stimola la produzione di ROS e funziona come una sorta di priming. I limiti di questo approccio sono anche i punti di forza: la pianta (di vite) è partecipe, ha un ruolo attivo. Se non ce la fa, se non sta bene, la “difesa” potrebbe non avere successo. E infatti le piante sottoposte a stress (termico e idrico) esprimono i geni PR più lentamente. La fitness della pianta quindi è centrale non solo per la qualità della produzione, ma anche per il riflesso sulla difesa del “benessere” della pianta. Alla base di tutto ci sono sempre le buone pratiche agronomiche e la corretta coltivazione e agricoltura. Inoltre c’è una variabilità in relazione alla varietà, per quanto riguarda la capacità di rispondere al trattamento con il fungo (molto più attenuata la variabilità indotta dal trattamento con Acibenzolar-s-metile, che mostra risposte più simili tra i genotipi).
La dottoressa Roatti ha presentato i risultati di uno studio che ha indagato sia le diversità genotipiche di alcune popolazioni di Plasmopara viticola (agente causale della peronospora della vite) che una possibile via di induzione di resistenza nella pianta. La peronospora, oomicete parassita obbligato (fattore importante per la strategia di contenimento della malattia mediante la risposta di ipersensibilità da parte della pianta) e specializzato, può causare infezioni a partire da infezioni primarie (intense all’inizio della stagione, vanno via via scemando) oppure secondarie, ovvero dalle sporulazioni delle lesioni delle primarie maturate. Un numero esiguo, tuttavia, di primarie riescono a dar luogo a più cicli di secondarie. Sembra quindi esserci una certa dominanza da parte di alcuni genotipi, più virulenti di altri nel dar luogo alle secondarie. Sarà un aspetto da tenere in considerazione negli sviluppi futuri di conoscenza della genetica della P. viticola. La difesa può operare esternamente, contrastando la penetrazione all’interno dell’ospite da parte dell’oomicete (classica difesa con i sali di rame o con altri prodotti di copertura) oppure dall’interno della pianta, sfruttando la capacità di alcuni principi attivi di essere traslocati nella pianta (molte molecole moderne di sintesi vantano questa capacità, che però va sempre verificata con cura). Infine si possono sfruttare le difese della pianta, che sono di tipo costitutivo e inducibile: la pianta possiede una certa capacità di difendersi, ma è in genere talmente lenta da risultare insufficiente. Possiamo però “allenare” il sistema di difesa, o magari introdurre le resistenze cercandole in altri genotipi (americani spesso), come nel caso dei nuovi vitigni resistenti, che non necessitano più trattamenti (per le due patologie citate). Nel suo lavoro, la Roatti ha indagato l’induzione di resistenza con Trichoderma harzianumT39, e di come la risposta variasse in condizioni fisiologiche diverse. Il T. harzianum agisce su quella che è conosciuta come ISR, ha un effetto locale e (veramente!) sistemico, induce l’espressione dei geni di difesa, stimola la produzione di ROS e funziona come una sorta di priming. I limiti di questo approccio sono anche i punti di forza: la pianta (di vite) è partecipe, ha un ruolo attivo. Se non ce la fa, se non sta bene, la “difesa” potrebbe non avere successo. E infatti le piante sottoposte a stress (termico e idrico) esprimono i geni PR più lentamente. La fitness della pianta quindi è centrale non solo per la qualità della produzione, ma anche per il riflesso sulla difesa del “benessere” della pianta. Alla base di tutto ci sono sempre le buone pratiche agronomiche e la corretta coltivazione e agricoltura. Inoltre c’è una variabilità in relazione alla varietà, per quanto riguarda la capacità di rispondere al trattamento con il fungo (molto più attenuata la variabilità indotta dal trattamento con Acibenzolar-s-metile, che mostra risposte più simili tra i genotipi).
Tra i tanti strumenti che abbiamo per fare un’agricoltura e una viticoltura sempre più sostenibile e attenta all’impatto della difesa, e dove non si possa e non si voglia abbandonare le nostre vecchie varietà per passare ai nuovi vitigni resistenti, in futuro probabilmente avremo anche dei formulati a base di T. harzianum, da inserire nei protocolli di difesa. Ricordando sempre la centralità di una buona agricoltura, prima di tutto. I premi SIVE sono andati a Benedetta Roatti con “Fattori che influenzano la resistenza indotta da T. harzianum contro la peronospora e studi di interazione competitiva tra diversi genotipi di peronospora” e a Ciro Sannino con “Influenza della microflora autoctona sulla produzione di vini Siciliani” (con alcuni spunti interessanti per le fermentazioni spontanee, e con la collaborazione dell’azienda Barraco).