Sabato 23 febbraio: giornata per la giustizia climatica

Manifestazione regionale a Venezia dalle ore 14.00 alle ore 18.00 con partenza da Campo Santa Margherita (a 12 minuti a piedi dalla stazione FS e a 8 minuti dal piazzale Roma).
 
Musica, banchetti, materiali, attività per bambini a cura dei comitati e dei movimenti veneti.
 
Tutto nasce dall'assemblea e marcia per il clima di Padova (che ha visto la partecipazione di 1.800 persone circa), una quarantina di comitati e associazioni hanno deciso di proseguire UNITI la lotta contro le devastazioni ambientali e climatiche in Veneto con riunioni in 7 tavoli tematici (grandi opere, trasporti, clima, pesticidi, inquinamento aria-acqua, sovranita' alimentare/biologico/ogm)riuniti a Padova e Vicenza e proseguiti via mail.
Da questo lavoro e' emerso un documento comune di rivendicazioni e proposte da portare:
1) alla giunta regionale con manifestazione a Venezia il 23 febbraio
2) al governo con manifestazione nazionale a Roma il 23 marzo.
 
Allegata la bozza allo stato di aggiornamento attuale, i tavoli sono ancora aperti fino a mercoledì sera....ma oramai siamo al 90% piu' o meno.
Se qualcuno viene alla manifestazione e vuole condividere tavolo/gazebo contatti Sandro sandrocampagnola@libero.it.

I cambiamenti climatici sono la più grande sfida che l'umanità abbia mai affrontato.
E' importante che noi cittadine/i facciamo sentire la nostra voce per dare una speranza di futuro alle generazioni dopo di noi.
Il mondo delle istituzioni è pressochè immobile mentre sta diventando sempre più urgente un cambiamento, sta a noi dare un segnale chiaro e forte alle istituzioni, è importante che partecipiamo numerose/i.
Se non ora quando?

bozza allo stato di aggiornamento attuale

PIATTAFORMA REGIONALE VENETA DEI COMITATI E MOVIMENTI PER LA GIUSTIZIA CLIMATICA

SIAMO ANCORA IN TEMPO

Il documento che proponiamo come comitati, associazioni, gruppi e singoli è indirizzato all’attenzione di tutti i cittadini e le cittadine, ma soprattutto alla Regione Veneto, e a tutti i Comuni.
La piattaforma è il risultato del lavoro di chi da anni si batte contro la devastazione territoriale, incarnata dal modello di sviluppo predatorio capitalista che la Regione Veneto a guida leghista ha pienamente sposato.
Il continuo dispendio inutile di risorse pubbliche, gli scandali, la corruzione, l’avvelenamento di falde acquifere, terreni, persone, i picchi di inquinamento da polveri sottili, l’eustatismo, sono solo alcuni dei punti che ci hanno spinto a vedere il filo unico che lega grandi opere al cambiamento climatico. Denunciamo come il sistema di sviluppo basato su sfruttamento di risorse e territori sia il nemico della salute – anche sociale ed economica – dei cittadini. 
La necessaria presa di parola che ci spetta passa attraverso lo studio e la scrittura comune di alcuni punti che sono per noi di denuncia e di proposta.
Crediamo di essere Ancora In Tempo per cambiare il sistema e non il clima, per far pesare tutte le responsabilità della Regione Veneto nel collasso del nostro territorio con vent’anni di politiche che hanno messo al centro il profitto di alcuni a scapito della vita di molti.
Di seguito sono proposte delle rivendicazioni, frutto del lavoro comune di studio e approfondimento, che toccano vari punti per noi fondamentali e urgenti.
Si procederà su otto temi portanti:

1- CONSUMO DI SUOLO E GRANDI OPERE
Negli ultimi 40 anni, il consumo di suolo ha giocato un ruolo fondamentale nella devastazione del territorio veneto. La logica dello sviluppo, che ha trovato in questo campo una enorme fonte di profitto, ha prodotto innumerevoli scempi ambientali: le cave, nel numero di 1500 tra dimesse e attive al momento attuale; urbanizzazione selvaggia, con il 12,45% di suolo consumato da opere che sono, molto spesso, inutilizzate ( quali zone industriali dismesse, migliaia e migliaia di unità immobiliari sfitte, centinaia di centri commerciali); infrastrutture inutili come Valdastico Sud, la costruenda Pedemontana Veneta, basi militari Usa e depositi di stoccaggio militare nella provincia di Vicenza, Mose etc.
A fianco a queste devastazioni ambientali il potere politico e economico, all’interno di un piano schizofrenico della mobilità, da un lato, lavora alacremente alla costruzione di nuove infrastrutture futili e dannose come Tav Brescia/Padova, Valdastico Nord, terza corsia dell’A13 Padova Bologna; dall’altro ne ha in progettazione altrettante che sono oggi bloccate o dalla mobilitazione dei comitati o dalla mancanza di legittimità tecnica, giuridica e finanziaria.
La devastazione del territorio messa in luce è stata resa possibile anche grazie a un’informazione propagandistica che non ha permesso una reale conoscenza e consapevolezza dei rischi all’ambiente, dei costi ambientali e sociali, negando, di fatto, quello che è il ruolo del suolo in quanto bene comune. Questo gap informativo, chiaramente voluto, ha generato un vuoto democratico, nel momento in cui non ha fornito alle persone gli strumenti reali per intervenire sui processi decisionali. A peggiora la situazione, gli organi di controllo ambientali vengono aggirati o producono valutazioni di parte.
Uno dei maggiori fattori di impatto ambientale e climalterante delle grandi opere è la loro irreversibilità, in quanto consumando il suolo, distruggono un fattore fondamentale per tutti gli ecosistemi.
Il suolo, infatti, gioca un ruolo cruciale nell’equilibrio climatico perché rappresenta, assieme agli oceani, una delle più grandi riserve di stoccaggio e cattura di gas climalteranti come l’anidride carbonica. Di conseguenza - e qui giace il legame tra grandi opere e crisi climatica - il consumo di suolo influisce direttamente nella quantità di anidride carbonica presente nell’atmosfera e quindi al riscaldamento globale.
Gli effetti del consumo del suolo comunque non si limitano ad influire sulla quantità di anidride carbonica nell’atmosfera, ma sconvolge l’equilibrio di un territorio già fragile: inasprendo il dissesto idrogeologico, isolando gli ecosistemi, aumentando la desertificazione e l’impermeabilizzazione del territorio.
Tutti questi effetti, come le calamità naturali a cui assistiamo, non sono eventi straordinari, ma causa diretta di una gestione del territorio che vede nei beni comuni, una merce da depredare e da cui trarre il massimo profitto.
Questo genera dei costi ambientali, sanitari e sociali non quantificabili, come abbiamo visto nel caso della cava Cosmo a Paese o nella distruzione di aree naturali protette, come le sorgenti del torrente Poscola a Montecchio Maggiore.
Di fronte a un sistema che usa lo sviluppo sostenibile come mascheramento di una predazione del territorio e fa leva sul ricatto occupazionale per legittimarsi ulteriormente, crediamo che sia possibile mettere in campo le seguenti soluzioni:
* Recupero e riuso degli edifici già costruiti;
* Potenziamento della rete di trasporto pubblico regionale e locale accessibile a tutti utilizzando la estesa rete esistente previo ammodernamento tecnologico;
* Blocco delle opere inutili e dannose in progettazione e/o in costruzione
* Bonifica del suolo inquinato dei cantieri e delle grandi opere;
* Riconversione ove possibile delle opere esistenti per messa in sicurezza del territorio (bacino a tevignano);
* Ripristino al di la di qualsiasi condizione economica delle condizioni ambientali precedenti agli interventi di copertura del suolo;
* Opzione Zero sul consumo di suolo e sull’edilizia;
* Piano occupazionale la riconversione ecologica del Veneto e la messa in sicurezza del territorio, il cui costo andrebbe addebitato a decisori politici e gruppi di interesse che hanno lucrato sui crimini ambientali.


2- INQUINAMENTO E GESTIONE DELL’ACQUA
L’acqua è un bene comune.
non va privatizzato né esaurito come invece sta accadendo ora a livello globale.
1) tutte le fonti approvvigionamento dell’acqua devono essere salvaguardate
2) dichiarazione dello stato di emergenza in veneto
3) chiusura immediata delle fonti inquinanti
4) bonifica delle aree inquinate, controllo dei depuratori, censimento dei pozzi.
5) stop all’abuso nell’utilizzo dell’acqua per scopi industriali. stop allo sversamento nell’ambiente dei reflui
6) costituzione parti civili. Chiedere i danni al responsabili civili (mitsubishi, ICIG)
La responsabilità è anche e soprattutto delle amministrazioni che hanno sempre deliberato a favore del profitto a scapito della salute.
7) utilizzo dei risarcimenti per un fondo nazionale per la salvaguardia della filiera alimentare: agricoltura e allevamenti:
8) tematica della catena alimentare (irrigazioni – ciclo alimentare)
- etichette 0 pfas – principio di precauzione 
- diritto alla salute
9) carenze di screening: aggiornamento delle tecnologie (acque e sangue) – garanzia di screening e sanzioni al boicottaggio.
10) risanamento e riqualificazione della rete idrica nazionale e regionale con l’utilizzo dei finanziamenti ora destinati alle Grandi Opere.
Non solo le grandi opere generano danni ambientali ma tolgono anche capitale all’investimento per la salvaguardia dell’ambiente e di conseguenza della salute.


3- SOVRANITA’ ALIMENTARE, CICLO DELLA CARNE E RIFORESTAZIONE
Per contrastare il cambiamento climatico è urgente intervenire sia sul sistema produttivo e commerciale che sulle abitudini dei consumatori, agendo su più fronti: dall'intervento legislativo che tuteli e promuova l'agricoltura biologica e penalizzi quella inquinante, alla diffusione di campagne di educazione all'alimentazione e al consumo. 
A partire dall’individuazione dell’agroindustria e degli allevamenti come uno dei principali agenti di cambiamento climatico (secondo studi di ricerca le emissioni di gas serra derivanti possono oscillare tra il 18% - dato FAO 2006 - e il 51% - Goodland-Anhang 2009), di consumo di acqua, di suolo e di deforestazione, in nome della tutela della biodiversità e degli ecosistemi abbiamo sviluppato una critica al sistema alimentare dominante. Il tutto in mano alle più potenti e influenti corporation oggi esistenti al mondo quali i colossi agro-farmaceutici.  L’agricoltura convenzionale è indirizzata verso il collasso ambientale, ma viene alimentata da agevolazioni e sussidi pubblici (11 mld/anno con il Piano di Sviluppo Rurale), genera inoltre un costo sociale enorme dato dalle infrastrutture pubbliche di cui ha bisogno e alimenta il business della cura delle malattie, originate dal crescente utilizzo di agro tossici nelle coltivazioni e di medicinali nell’allevamento, dalla cattiva alimentazione indotta e dall’inquinamento subito. È emerso a pieno titolo, fra gli esempi esaminati di agricoltura convenzionale, diventata ’agricoltura tossica’, il caso delle ‘colline del prosecco’ nel trevigiano, un modello di monocoltura che distrugge l’ecosistema e la biodiversità e avvelena aria, suolo e falda acquifera, ma che è motivo di orgoglio per gli amministratori regionali che la finanziano generosamente.  Il mantenimento di questo tipo di sviluppo agricolo, inoltre, risulta incompatibile e ostacola su vari fronti l’attività di chi esercita un'agricoltura sostenibile e/o biologica, per la difficoltá di tutelarsi dall'inquinamento ambientale dovuto all'uso indiscriminato di pesticidi diffusi sul suolo e nell'aria e perché i prodotti biologici risultano non competitivi economicamente rispetto ai prodotti dell'agricoltura convenzionale il cui costo é drogato dai sussidi pubblici. Paradossalmente vengono finanziate maggiormente le attività che implicano un aumento dei costi sociali e sanitari piuttosto che quelle che a lungo termine li riducono.  Nell’individuare criticità e paradossi dal punto di vista ambientale, è emerso che lo spreco alimentare occupa uno dei primi posti, considerato che circa un terzo del cibo prodotto viene scartato, contribuendo alle emissioni nocive (circa il 7% del totale!) sia in fase di produzione che di smaltimento del rifiuto. 
Buone pratiche, proposte e obiettivi  
Da questo complesso dibattito, di cui abbiamo espresso qui solo una sintesi, è uscita l'indicazione di alcuni obiettivi da raggiungere, con proposte rivolte agli enti pubblici e buone pratiche da mettere in atto, anche a partire dai nostri stili di vita. Emerge improrogabile la necessità di una riduzione drastica (meglio sarebbe eliminazione) del consumo di carne, pesce e derivati animali. Per favorire questo cambiamento c'è necessità di percorsi di ‘ecoformazione’ tramite laboratori di alimentazione sostenibile priva di derivati animali, e iniziative formative rivolte alle scuole e alla società civile sui temi dell’agricoltura e del ciclo della carne in relazione al cambiamento climatico. 
Bisogna lottare contro lo spreco alimentare, con attività di recupero degli scarti e promozione di pratiche di autoproduzione, di autosufficienza e di ridotte produzioni collaborative quali ad esempio le CSA (Comunità che Supportano l'Agricoltura), dove si produce solo ciò di cui la comunità realmente necessità. 
Abolire i sussidi all'agroindustria, al ciclo della carne, del pesce e aumentare invece le sovvenzioni per lo sviluppo dell’agricoltura sostenibile, biologica ed ecologica nelle sue varie forme, a partire dai piccoli produttori. 
Promuovere referendum locali per cambiare i regolamenti di polizia rurale e inserire i processi di produzione del biologico. 
Deburocratizzare la produzione biologica a favore dei piccoli produttori. 
Internalizzare i costi ambientali, sociali ed economici a carico dei soggetti responsabili di contaminazione a tutti i livelli.
E' necessario provvedere subito, con investimenti dedicati, alla riforestazione policolturale e alla rinaturalizzazione, al fine di ripristinare l’ecosistema naturale, minacciato dall'antropizzazione crescente. 
Occorre inoltre creare ecodotti e corridoi ecologici, con alcune finalità principali: preservare le coltivazioni biologiche dall'inquinamento dell'agricoltura convenzionale; contrastare la frammentazione e l'isolamento delle aree naturaliformi e di Rete Natura 2000; favorire la sicurezza per tutti e gli spostamenti vitali della fauna selvatica, impediti dall'occlusione dovuta soprattutto alle grandi infrastrutture lineari. 

4- INQUINAMENTO DELL’ARIA E MOBILITA’
La pianura padana rientra tra le 3 aree più inquinate d’Europa a livello atmosferico. La prossima generazione sarà la prima ad avere un’aspettativa di vita minore di quella dei propri nonni. Le malattie e le morti legate all’inquinamento dell’aria stanno aumentando in maniera considerevole. Inoltre la attuale legislazione nazionale e regionale in merito al sanzionamento delle emissioni non è adeguata, in quanto troppo spesso sacrifica al profitto e alle retoriche dell’occupazione le questioni ambientali. Riteniamo necessario uscire dall’idea di “emergenzialità” e mettere in campo, quotidianamente, pratiche di sensibilizzazione e informazione. Decostruire la narrazione del “limite” come unità di misura è parte fondamentale di questo. Un occhio di riguardo ai percorsi dei movimenti studenteschi e all’educazione già a partire dalla scuola primaria.  E’ essenziale dotarci di strumenti di monitoraggio dal basso, di pratiche e iniziative comuni e replicabili – tenendo sempre conto delle specificità territoriali e del nostro essere “di parte” nella battaglia per la giustizia climatica e non “meri” tecnici.
Si rende necessaria la valorizzazione della mobilità tramite mezzi non inquinanti, la ri-pubblicizzazione e il rifinanziamento del trasporto locale che vogliamo pubblico e gratuito in modo da ottenere una consistente diminuzione di quello privato, la valorizzazione del trasporto locale su rotaia il cui finanziamento è irrisorio rispetto alle risorse destinate alle grandi opere, la riforestazione urbana.
Riteniamo inoltre necessaria un’attenzione particolare all’inquinamento prodotto dal trasporto aereo e navale, spesso non considerato nemmeno dai grandi meeting internazionali sul clima.

5-VENEZIA, PORTO MARGHERA E LAGUNA
Venezia e la sua laguna sono un bene comune del mondo intero e come tali vanno sottratte alla privatizzazione e alla speculazione.
Venezia e la sua laguna dovrebbero diventare il simbolo della lotta dei movimenti per la giustizia climatica.
Venezia e la sua laguna potrebbero essere il luogo adatto per sperimentare nuovi equilibri tra uomo e natura.
Invece oggi Venezia e la sua laguna sono terra di conquista, di speculazone finanziaria, immobiliare, di costruzione di grandi opere inutili e dannose.
Per questo vogliamo che:
- siano bloccati i lavori del MOSE e che siano riconvertite le opere marittime realizzate, che oltre ad essere uno spreco di denaro pubblico risultano obsolete vista la previsione dell’innalzamento del medio mare prevista per i prossimi anni.
- siano estromesse le grandi navi dalla laguna e che non vengano realizzati scavi di nuovi canali o allargamenti degli esistenit.
- che siano effettuale bonifiche a Porto Marghera, che siano fatti investimenti per completare i marginamenti e il Vallone Moranzani
- ci sia una riconversione del sistema produttivo di Porto Marghera iniziando dalla produzione energetica.
- ci sia una gestione dei flussi che sia capace di ripensare il modello turistico proposto, parallelamente servono politiche volte alla tutela del diritto all’abitare, della mobilità, della salute e della città.
- sia tutelata la biodiversità lagunare e la pesca compatibile dagli interessi speculativi.
- non ci sia il deposito di GPL a Chioggia.

6- BENI COMUNI
La gestione comune del territorio e delle sue risorse materiali e immateriali, è sempre più impellente nel tempo della crisi climatica e ambientale, sopratutto in una Regione come la nostra investita da uno sviluppo predatorio ed estrattivo. In tal senso ogni elemento del territorio del territorio va considerato patrimonio collettivo da tutelare e preservare nell’interesse della comunità degli abitanti e delle generazioni future.
Per questa ragione è necessario bloccare i devastanti processi di privatizzazione e mercificazione, porre fine alla subalternità delle politiche pubbliche alle logiche di mercato.
Ciò deve avvenire con il riconoscimento anche giuridico del principio del bene comune su tutto ciò che afferisce alla qualità della vita e dei diritti fondamentali. Il concetto di comune supera l’ordinamento giuridico attuale che vede la proprietà, sia essa pubblica o privata, come dominio esclusivo verso una gestione radicalmente democratica delle risorse.
All’interlocutore Regione Veneto e alla Giunta tutta, ci sentiamo di avanzare delle proposte concrete e soprattutto attuabili a legislazione vigente al fine di progredire sulla strada del riconoscimento giuridico pieno ed efficace del concetto di bene giuridico:
1. sul modello della Regione Toscana, introdurre all’interno dello Statuto Regionale la definizione di bene comune, così come emerge dalla Commissione Rodotà: “La Regione tutela e valorizza i beni comuni, intesi quali beni materiali e digitali che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali della persona, al benessere individuale e collettivo, alla cooperazione sociale e alla vita delle generazioni future e la promozione di
forme diffuse di pattecipazione nella gestione condivisa e nella fruizione dei medesimi beni e servizi” comuni”;
2. che la Regione sviluppi e manifesti il suo sostegno alla proposta avanzata dall’ Anci circa il riuso dei beni comuni urbani in abbandono o sottoutilizzati, garantendo opportune concessioni d’uso con finalità culturali e sociali, ivi compresa quella del comodato gratuito o a canoni fortemente agevolati. Da subito la Regione deve rinunciare alla svendita del proprio patrimonio in presenza di usi sociali alternativi, ad incominciare dall’immobile della antica scuola di anatomia a Venezia;
3. che venga riconosciuta ed attuata anticipando il recepimento nazionale, ad ora mancante, dela Convenzione di Faro sull’uso del patrimonio culturale, di cui l’Italia è firmataria dal 2005.


7- ENERGIA
Il quadro è drammatico: il rapporto IPCC Global Warming of 1,5° (2018) ci ricorda che per limitare i futuri rischi legati al clima sulla biodiversità, sugli ecosistemi, compresa la perdita e l'estinzione delle specie, compresa quella umana, è indispensabile non superare il riscaldamento globale di 1,5 °C.  Significa che dobbiamo abbattere le emissioni antropogeniche nette globali di CO2 del 45% entro il 2030 e del 100% entro il 2050, rispetto ai livelli registrati nel 2010. Limitare il riscaldamento globale a 1,5 ° C, rispetto ai 2 ° C entro e non oltre il 2050 potrebbe ridurre il numero di persone esposte ai rischi di diverse centinaia di milioni.
In riferimento all’Italia i dati ISPRA (2018) confermano che siamo ben lontani da registrar una riduzione. Infatti i dati relativi al secondo trimestre del 2018 registrano che le emissioni di gas-serra sono salite dello 0,2% rispetto allo stesso periodo del 2017. L’aumento è dovuto prevalentemente al riscaldamento e ai trasporti. 
I dati complessivi relativi ai settori che maggiormente contribuiscono alla produzione di emissioni (in termini di CO2 eq) indicano chiaramente dove dovremmo implementare radicali trasformazioni delle attività (ISPRA 2016): 
Industria energetica 24.4%
Residenziali e servizi 17.45
Trasporti 24,42%
Agricoltura 9%
Rifiuti 4,28 %
A fronte di questa situazione la strategia energetica nazionale approvata nel 2017 (SEN) è completamente inadeguata in quanto ha l’obiettivo di diminuire le emissioni del 39% al 2030 e del 63% al 2050, facendo tra l’altro riferimento alle emissioni del 1990 ( e non del 2010 che sono più alte!).
Si pone l’obiettivo di gestire il cambiamento del sistema energetico attraverso deboli e limitate strategie: un aumento dell’apporto delle rinnovabili dal 17.5% attuale al 28% al 2030; tra le rinnovabili si punta molto sulle biomasse e biocarburanti, compresi i rifiuti; inoltre è si previsto l’abbandono del carbone, ma sostituendolo con il gas, facendo passare il messaggio, come d’altronde sostenuto a livello europeo, che il gas è un combustibile "pulito" e un partner nelle risorse rinnovabili. Occorre invece ribadire che il gas – nella sua forma convenzionale o quella ora più usata derivante da giacimenti non convenzionali in argille (fracked gas) - sebbene sia una fonte energetica più pulita del petrolio appartiene alla lista dei combustibili fossili e responsabile dell’incremento del cosiddetto effetto serra.
Facendo riferimento ai nostri territori, dobbiamo renderci conto che la situazione in Veneto è molto compromessa. A livello regionale i dati ufficiali più recenti risalgono al 2013 e sono contenuti nell’Inventario delle emissioni in atmosfera – INEMAR Veneto 2013 realizzato da ARPAV che stima le emissioni riferite a 11 macroinquinanti e 5 microinquinani. 
Le emissioni di CO2 eq derivano principalmente da:
- attività produttive (produzione di energia, combustione nell’industria e processi produttivi) 37%;
- trasporti su strada 24%
- combustione non industriale (terziario e residenziale) 21%
- agricoltura 9%
dalla produzione di energia (responsabile per circa il 23%), da combustioni non industriali (responsabile per circa il 27%), dai processi industriali (responsabile per circa il 18%), e con i trasporti su strada che contribuiscono per il 31%.
A fronte di ciò, le priorità di azione dei comitati, in termini sia di resistenza ambientale che di proposte e rivendicazioni devono necessariamente essere orientate ai settori del trasporto (delle persone e delle merci), e dei consumi energetici del terziario e del residenziale. 
Come necessità per un cambiamento radicale verso una transizione ecologica diventa essenziale il controllo popolare e democratico delle informazioni e delle scelte politiche ed economiche. Da questo punto di vista diventa strategico, come comitati e presidi territoriali, promuovere la creazione di comunità energetiche locali, sulla base di zone omogenee (non possiamo applicare le stesse ricette dappertutto, ma rispettare le diverse conformazioni dei territori) e di cominciare fin da subito a incentivare l’acquisto di energia da fonti veramente rinnovabili sostenendo concretamente le pratiche innovative. 
Il tema della pianificazione urbana e territoriale assume una valenza strategica proprio in funzione di una ri-organizzazione degli spazi, delle attività, della mobilità e delle relazioni volta a una conversione ecologica.
Le rivendicazioni che proponiamo come comitati del Veneto nei confronti della regione sono:
- che vengano messe a disposizione dati ufficiali, leggibili e aggiornati relativamente alle emissioni di gas clima alteranti e alla produzione e consumo di energia
- riconoscimento dei comitati come interlocutori protagonisti nei tavoli che andranno a discutere le scelte regionali così come d’altronde già previsto dal SEN 2017 e nell’ambito dei POR-FESR e PSR.
- l’istituzione di un fondo regionale da almeno 500 milioni di euro annui per finanziare la transizione ecologica ed energetica fuori dal fossile e in particolare per quanto riguarda gli aspetti di efficientamento energetico e diffusione delle rinnovabili nei settori del terziario, residenziale e per implementare e migliorare il trasporto pubblico. Questo fondo dovrà essere finanziato attingendo da tassazioni delle attività speculative ed inquinanti e clima alteranti (estrattive, metanodotti, smaltimento rifiuti, etc.) e anche riservando una percentuale dalla tassazione regolare (es.IRPEF sui redditi oltre i 33.000 euro, così come del resto fatto per finanziare la Pedemontana nel 2017);
- bloccare i lavori del MOSE e avviare uno studio di fattibilità per la sua riconversione ai fini della produzione di energia elettrica sfruttando le maree;
L’obiettivo generale è di utilizzare il risparmio così come l’autosufficienza energetica a livello di comunità anche come modo di redistribuzione della ricchezza.
Segnaliamo che il problema dell’inquinamento elettromagnetico, di cui al momento poco si discute, è invece un fronte molto importante e urgente.

8- LAVORO, ECONOMIA CIRCOLARE E RIFIUTI
Il tavolo ha espresso con chiarezza la necessità che la transizione ecologica sia pagata dai ricchi e dai grandi centri d’inquinamento. Questo riprendendo anche uno slogan dei gilet gialli, che intrecciano nella loro lotta i temi della giustizia sociale e della giustizia climatica. L’onere di tale transizione deve necessariamente includere tanto la bonifica e riqualificazione dei territori quanto l’erogazione di un reddito garantito universalmente.
Per punti, quanto emerso dalla discussione è così sintetizzabile:
1. È necessario rendere sostenibili le condizioni di lavoro tutelando i diritti dei lavoratori e dotando le aziende/compagne di dispositivi a ridotto impatto ambientale. Da questo punto di cita la logistica offre un ottimo esempio di applicazione, sia per quanto riguarda le condizioni materiali di lavoro e del diritto alla salute, che per quanto concerne i mezzi di trasporto, che devono essere scelti per il loro basso impatto ambientale (si vedano i mezzi a metano). Per il raggiungimento di questi fini necessario un approccio da sindacalismo sociale, costituendo alleanze tra sindacati, comitati e movimenti.
2. È altresì necessaria la revisione delle concessioni regionali agli stabilimenti che sfruttano beni comuni nei processi produttivi in modo impattante e a dronte di prezzi irrisori, come ad esempio fa la CocaCola nello stabilimento di Nogara (VR).
3. Collegata a questa, c’è la necessità di trasparenza e tracciabilità delle filiere produttive per quanto riguarda i dati/costi ambientali e sociali di ogni azienda.
4. Su un piano più etico, si è parlato della costruzione di campagne che coinvolgano scuole superiori e università al fine di boicottare l’offerta di stage a studenti da parte di aziende che abbiano un comprovato impatto ambientale negativo.
5. Per quanto riguarda invece il tema dei rifiuti, occorre mutare prospettiva nella loro accezione di “scorie” da smaltire, eliminare, e aprire ad un approccio che ne favorisca la gestione come bene pubblico.
6. Anche per quanto riguarda il riciclo è necessario uno slittamento in termini di riuso, che favorisca cioè la produzione di beni riutilizzabili e che incentivi pratiche collettive destinate a conferire un valore d’uso ai beni, piuttosto che un valore di scambio.
7. Dal punto di vista pratico, occorre costruire strategie comuni legate all’uso di strumenti di democrazia diretta, come diffide o referendum comunali, o anche class action.
8. Infine, pur tenendo presente che per quanto riguarda i temi ecologici la responsabilizzazione individuale è importante, è necessario indicare chiaramente che le responsabilità del climate change sono legate al modo di produzione capitalistico. Pertanto occorre individuare strategie dal basso, azioni collettive finalizzate al superamento dell’attuale modello di sviluppo.



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