Qual è il futuro del cibo?” Gli autori del rapporto “Il Futuro del cibo – Biodiversità e agroecologia per un’alimentazione sana e sostenibile”, curato da Navdanya International e scaricabile on line gratuitamente, analizzano l’andamento del sistema produttivo globale, illustrando i disastrosi effetti che gli investimenti delle grandi società agroindustriali hanno sulla terra, i suoli, la biodiversità, la salute umana e sui piccoli e medi produttori agricoli. Il cambiamento necessario è, però, già iniziato. Il rapporto analizza, attraverso casestudies globali, le alternative che nascono sul territorio, dal “basso all’alto”, e che attendono solo di essere valorizzate e promosse a livello sistemico.
Fra gli autori del rapporto Vandana Shiva, presidente di Navdanya International, che esamina i due percorsi che i sistemi agricoli si trovano di fronte: da un lato il percorso della vita che include il principio della diversità, la legge del ritorno alla terra e la condivisione dei frutti; dall’altro il percorso della morte, intrapreso dal Cartello dei Veleni e basato sull’uso estensivo di fertilizzanti e pesticidi chimici di sintesi, ogm, monocolture e grandi banche dati, che conduce alla creazione di cibo artificiale (Fake Food) e conoscenza artificiale non in grado di autosostenersi. L’autrice invoca la decolonizzazione delle culture alimentari e la fine dell’era dell’imperialismo alimentare: “Vogliamo lavorare – ha sottolineato l’ambientalista indiana – in armonia con le leggi della natura o continuare ancora con la violenza contro la terra per mangiare cibo prodotto in laboratorio e da un’agricoltura sempre più artificiale? Noi vogliamo un cibo proveniente da un’agricoltura che si prende cura della terra, che porta con sé la soluzione alla crisi ecologica, climatica e sanitaria”.Un’analisi suffragata dalla ricerca di Nadia El-Hage Scialabba, esperta di ecologia alimentare con 30 anni di esperienza alla Fao e membro della Commissione sul futuro del cibo e dell’agricoltura, che delinea le delusioni, le false promesse e gli attacchi dell’agricoltura industriale, dalla prima rivoluzione verde fino ai rinnovati tentativi di imporre il modello industriale in diverse forme. L’autrice fa riferimento al reale stato dell’agricoltura biologica, di come essa si collochi nel panorama socio-politico attuale, del sostegno di cui gode da parte di importanti istituzioni internazionali. Sull’altro versante, quello dell’agribusiness, troviamo invece le tattiche di cui si serve l’industria per togliere credibilità alla scienza indipendente e disincentivare il cambiamento verso un modello agro-alimentare ecologico e sostenibile. Un vero attacco nei confronti della piccola e media produzione sostenibile che vede la lobby industriale al lavoro anche in Italia come dimostrano i recenti attacchi alle iniziative del ministro Fioramonti, che intende disincentivare la presenza di cibo spazzatura nelle scuole e promuovere l’educazione ambientale. L’educazione e la promozione di un’alimentazione sana è, d’altra parte, essenziale sia per la nostra salute sia per ridurre le emissioni climalteranti di cui l’agricoltura industriale è fra i principali responsabili, come rileva il genetista Salvatore Ceccarelli che enfatizza il valore delle sementi tradizionali, le quali, attraverso l’incrocio naturale e una selezione oculata e partecipata da parte di agronomi e contadini, sono capaci di adattarsi ai cambiamenti climatici e geografici nel corso del tempo e di evolvere adattabilità e resilienza.
Il rapporto presenta vari case studies da cui si evincono le difficoltà dei piccoli produttori biologici nei territori dominati dalle monocolture intensive. E’ il caso delle aziende biologiche del Trentino Alto Adige, dove i coltivatori biologici sono quotidianamente minacciati dai fenomeni di deriva provocati dai trattamenti chimici a cui sono regolarmente sottoposte le adiacenti monocolture intensive di mele. Un focus particolare riguarda il caso di Malles, il primo comune ad avere indetto un referendum contro i pesticidi. La situazione è drammatica, ma non si può perdere la speranza per una trasformazione radicale, verso un futuro del cibo e dell’agricoltura sostenibili. Sono numerosi gli esempi virtuosi. Primo fra tutti lo Stato indiano del Sikkim, che è riuscito a convertire al biologico il 100% della propria produzione agricola, incontrando diverse resistenze da parte dell’opposizione e dagli stessi agricoltori, ma proseguendo con determinazione un progetto politico durato 25 anni.
Poi ci sono le numerose piccole realtà e amministrazioni locali che, attraverso scelte sostenibili e azioni di resistenza, promuovono e attuano un sistema produttivo resiliente e salutare. In Italia 70 comuni hanno già implementato misure per limitare o bandire l’uso di pesticidi; in Francia 56 comuni hanno ispirato anche le aree metropolitane a bandire l’uso dei pesticidi contenenti glifosato; nelle Filippine 200 comuni hanno firmato accordi per preservare i suoli e vietare l’uso di prodotti agrochimici tossici e, dal 2017, la Lega dei comuni e delle città Biologiche nelle Filippine ha una decisiva influenza nei processi decisionali istituzionali. In Argentina i movimenti della società civile hanno messo in atto numerose proteste per osteggiare i brevetti della Monsanto sulle sementi, mentre, in Brasile, i produttori biologici che praticano l’agroecologia resistono quotidianamente alle minacce e violenze del settore agricolo industriale che fa uso estensivo di sementi transgeniche e pesticidi (solo nel 2017 sono stati usati più di 539,9 mila tonnellate di principi attivi di pesticidi). In Costa Rica, gli agricoltori biologici lavorano in armonia con la biodiversità tropicale che però è continuamente sottoposta a rischio di scomparsa a causa dell’estensione dei deserti verdi delle monocolture. In Nigeria, i movimenti della società civile denunciano le carenze delle istituzioni locali e nazionali nel contrastare l’espansione del modello agricolo industriale e l’approvazione degli Ogm.
Nel rapporto vengono descritti altri esempi di piccole realtà virtuose che lavorano con Navdanya International, come “Bread of Freedom” nelle Filippine volto a fornire educazione sulle pratiche ecologiche e sostenibili che hanno un impatto positivo sulla salute delle persone; “Yayasan Emas Hitam Indonesia”, un’organizzazione che pratica permacultura in Indonesia e che mira a promuovere, sostenere e sviluppare soluzioni rigenerative alla povertà e allo sviluppo in tutto il territorio; “GMO & Poison Free Zones” l’iniziativa avviata da attivisti e agricoltori preoccupati per l’alto livello di contaminazione da Ogm e agrochimici in Sudafrica per creare “zone libere da ogm e veleni” e fare pressioni perché le norme che regolano il Limite Massimo di Residuo (LMR) in Sudafrica diventino più rigorose; “Círculos de Sementes” in Portogallo che ha risposto nel 2012 al primo appello globale per la libertà dei semi lanciato da Navdanya e da lì ha creato una rete nazionale di “Circoli dei Semi”, oltre a un programma educativo di agroecologia; “Peliti”, un’organizzazione non governativa greca che si occupa della protezione e diffusione dei semi tradizionali che vanta una grande rete nazionale di banche dei semi e, dal 2011, ogni anno, insieme a Navdanya, organizza uno tra i più grandi e conosciuti Festival Internazionali dei semi.
Dal locale al globale, ci sono numerosissime declinazioni di soluzioni creative possibili, che però hanno anche bisogno di sostenersi a vicenda, di fare rete, oltre che di un supporto concreto da parte delle istituzioni, delle amministrazioni locali, dei cittadini/consumatori e delle aziende produttrici. Ne sono un esempio: la rete dei movimenti e agricoltori del nord est degli Stati Uniti radunata dallo Sterling College (USA) in occasione del tour di Navdanya International del maggio 2019, e gli studenti delle Università della California che hanno raggiunto l’obiettivo di far bandire l’uso degli erbicidi chimici in tutte le aree verdi dei campus dello Stato.