DECRESCITA. Quelli che «lo sviluppo non è la soluzione, ma il problema»

L'Arena
venerdì 24 febbraio 2012 – CULTURA – Pagina 56
PETER PAN
IN STILE
Crescere e produrre (per aumentare il Pil, per sostenere l´economia, per favorire l´occupazione, per uscire dalla crisi...) crescere e produrre: è il mantra occidentale che sentiamo ripetere all´infinito. Davvero bisogna crescere e produrre? La crescita infinita non esiste, è il sussurro di chi insinua il dubbio e propone opposta ricetta per evitare il collasso: non crescere più, o farlo in modo diverso. Senza contare che, e lo diceva già Bob Kennedy negli anni Sessanta del boom, «il Pil misura qualsiasi cosa, tranne quello che può renderci felici».

Lo slogan del movimento è: decrescita. La parola viaggia in coppia, di volta in volta, con felicità, produzioni a chilometri zero, riduzione dei costi, risparmio energetico, agricoltura biologica, turismo responsabile, banca etica, bioedilizia.
L´invito a rallentare arriva da economisti, filosofi, intellettuali e pure monaci. Riscoprire l´ozio, il val! ore della frugalità. Accontentarsi. Condurre un´esistenza sobria e dignitosa, ma intensa, guadagnandone in felicità. Decrescere, insomma, sarebbe un modo per trasformare la crisi in opportunità.
Il messaggio è chiaro nel «manifesto-appello su debiti pubblici, crisi economica e decrescita felice» compilato in italiano, inglese, tedesco, francese e spagnolo. Lo firmano guru dell´ecologismo, a partire dal teorico della decrescita, l´economista Serge Latouche, eppoi l´ideatore e presidente del Movimento per la decrescita felice Maurizio Pallante, il fondatore e primo presidente di Banca etica Fabio Salviato, il priore dell´eremo di Monte Giove Natale Brescianini, il presidente di Slow Food Italia Roberto Burdese e quello di Slow Food International Carlo Petrini, l´autore del libro Le choc de la décroissance (Seuil) Vincent Cheynet, il direttore dell´Institut d´études économiques et sociales pour la décroissance sout! enable Bruno Clementin, il vicepresidente della Comunità mont! ana Valle Susa Rino Marceca, la presidente dell´Istituto di bioarchitettura Wittfrida Mitterer, Alberto Perino del Movimento No Tav e l´editore Bruno Ricca. A sorpresa c´è anche il responsabile nazionale Fiom-settore automobilistico Giorgio Airaudo. Tutti uniti nel dire che la crescita non è la soluzione, ma il problema.
Lavorare come matti per comprare l´ultimo modello di cellulare? I teorici della decrescita ci invitano a rispondere «No, grazie». Lavorare come matti per comprare cibi già pronti, perché non rimane il tempo di cucinare? Lavoro meno, risponde il Peter Pan dell´economia che non cresce più, ma cucino io, così so cosa metto nel piatto. Arrabbiarsi per il rincaro del prezzo della benzina e essere succubi dell´automobile per ogni piccolo spostamento? Meglio spostarsi con la bicicletta o usare trasporti pubblici. I generi alimentari costano un occhio della testa? Coltivo l´orto e verdura e frutta li produco da! solo. Rincarano energia elettrica e gas? Scelgo i pannelli solari e la stufa per essere autonomo e amico dell´ambiente.
Sa un po´ da Isola che non c´è, in effetti. Il segreto, replicano i fautori della decrescita, sta nel trasformarsi da consumatori in produttori.
«Siamo al capolinea del modello capitalistico», annuncia Salviato, presidente della Federazione europea banche etiche e alternative. «I nodi sono arrivati al pettine ed è inutile che curiamo l´unghia se è la gamba intera che si è rotta».
In principio fu Latouche. Secondo l´economista francese, dobbiamo «toglierci dalla testa i miti della tecnica e della scienza, dello sviluppo illimitato e del benessere portato all´eccesso».
Ma il seme delle decrescita è stato seminato un po´ ovunque, in Europa, negli ultimi anni. Ora sta fiorendo e dando frutto, a partire dal web e dall´editoria, complice la crisi della finanza pubblica e dei consum! i che ha investito come un ciclone società e cultura. Siti, libri, man! uali, approfondimenti: la decrescita cresce.
«Ci siamo infilati in una strada senza uscita», spiega Pallante. «Stiamo esaurendo le risorse e inquinando il pianeta, facciamo confusione tra beni e merci, lavoro e occupazione, lavoriamo sempre e compriamo tutto perché non siamo più capaci di fare nulla. Questa crisi è globale, socioeconomica e ambientale, culturale e antropologica».
UN MONDO che finisce: che avessero ragione i Maya, con la loro profezia per il 21 dicembre 2012?
«Sì, è un´epoca storica che finisce, questa società industriale che considera la terra una pattumiera e non la madre della vita», profetizza Pallante. «Per uscire dalla crisi le ricette del passato non vanno più bene».
Qui entra in gioco la decrescita, «il nuovo Rinascimento», aggiunge Pallante, «che può portarci verso un´epoca nuova, che liberi le persone dal ruolo di strumenti della crescita economica e ricollochi l´economia nel suo ruolo di g! estione della casa comune, per viverci al meglio, tutti».
Ma come? Risponde Salviato: «Cominciamo a sviluppare le buone pratiche della finanza etica su scala più elevata. In Italia ci sono miniere occupazionali a cui non pensa nessuno». Per chi vuole decrescere si parte dall´agricoltura biologica. «Un milione di ettari sono già coltivati, ma a disposizione ce ne sarebbero altrettanti», continua il presidente di Banca Etica. «Siamo il primo produttore in Europa in questo campo, ma soprattutto per l´estero, esportiamo specialmente in Germania. Se cominciassero a mangiare biologico anche gli italiani, sosterrebbero il ritorno dei giovani alla campagna».
Seconda miniera: bioedilizia e ristrutturazioni. «In Italia ci sono 20 milioni di immobili da ristrutturare e convertire in ecologici: la spinta all´edilizia deve partire da qui e non dal continuo spreco del suolo per costruire case nuove, che poi rimangono sfitte o invendute. Inoltre, sol! arizziamo il territorio italiano a partire dai tetti delle nostre case! ».
Non sono soluzioni New Age, da sognatori, ma realtà possibili, tiene a sottolineare Salviato, settori in cui Banca Etica ha sostenuto e sostiene al momento 5.000 progetti.
«Dobbiamo favorire la riscoperta di tutto quello che non si compra e non fa crescere il Pil, ma ci fa stare bene», conclude kennedianamente Pallante. «Autoprodurre cibo ed energia per vivere più sani e felici, valorizzare le relazioni umane e tutto ciò che si fa per amore. La felicità è sostenibile, eccome».
Camilla Madinelli