L'Enciclopedia Treccani e una nuova definizione di suolo.

L’Istituto dell’Enciclopedia Treccani, lo scorso 5 dicembre a Roma, ha depositato nella propria banca dati una nuova definizione di suolo, più corretta e fedele alla documentazione della Commissione Europea. Un atto più che simbolico nella giornata in cui si celebrava in tutto il mondo quell’immensa ricchezza, non rinnovabile, rappresentata proprio dalla “Superficie del terreno, in particolare, lo strato più superficiale di esso”. Molto più che un appoggio per i piedi, ma vita che genera vita. Il suolo deve ancora veder riconosciuti e tutelati i propri diritti, per ora si dovrà accontentare di avere un nome con un significato corretto. Piano piano.

Lo scorso 5 dicembre a Roma, presso l’Istituto della Enciclopedia Italiana di Palazzo Mattei di Paganica, si è tenuta una tavola rotonda per celebrare la giornata mondiale del suolo. Occasione perfetta per presentare una nuova definizione di questo, adottata proprio dalla Treccani. Professori studiosi ed esperti con differenti competenze, tra cui lo storico dell’arte Tomaso Montanari e il ricercatore Ispra Michele Munafò, si sono incontrati per confrontarsi e proporre. “Il suolo non è solo la crosta terrestre”, dice Paolo Pileri professore di pianificazione territoriale ambientale del Politecnico di Milano e coordinatore dell’incontro, “ma un corpo vivo che produce cibo e non solo. Ma lo fa quando non è cementificato. È inaccettabile oggi non sapere cosa sia il suolo, per questo vogliamo che la sua definizione rimanga scolpita”.

L’Italia è un Paese che storicamente ha sempre trattato molto male il proprio territorio, dalle cementificazioni degli anni ’50 e ’60 alla tragedia di Sarno nel 1998, fino alle alluvioni in serie di quest’autunno. In un contesto di questo tipo non stupisce che, infatti, la definizione di suolo riconosciuta per legge sia quella contenuta all’interno del Testo unico ambientale (decreto legislativo 152/2006), documento secondo cui sarebbero suolo anche “il territorio, il sottosuolo, gli abitati e le opere infrastrutturali”. Definizione penosa che legittima il disastro. Tutela dei territori infatti, significa non solo preservazione del paesaggio e delle bellezze culturali italiane, ma anche sicurezza per i cittadini italiani, molti dei quali vivono in aree a forte rischio idrogeologico.
“Il suolo è una risorsa non rinnovabile”, interviene Michele Munafò ricercatore Ispra, “che assicura funzioni importantissime come la sussistenza alimentare e la regolamentazione dei processi ambientali. Se il suolo viene minacciato tali funzioni vengono meno”. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Il problema è chiaro e anche le possibili soluzioni lo sono. Tutti d’accordo nel proporre il divieto all’utilizzo degli oneri di urbanizzazione, ovvero quei contributi che i costruttori devono corrispondere al Comune a titolo di partecipazione alle spese che l’ente affronta per fornire servizi alla collettività, per finanziare la spesa corrente, ossia quella destinata all’attività di produzione e di redistribuzione dei redditi per fini non direttamente produttivi.
Tradotto in italiano, molti Enti locali, magari con i conti in rosso, tendono a concedere aree edificabili ai costruttori in cambio di denari che possono essere spesi per svariate finalità, non necessariamente connesse alla pubblica utilità. “Finché sarà conveniente vendere il suolo per fare cassa si perpetuerà questo meccanismo perverso”, aggiunge Nicola Casagli docente di Scienze della terra all’università di Firenze.

Iniziamo dal nome quindi, ma poi dobbiamo procedere con le norme. Lo stop alla cementificazione è l’unica salvezza per i territori, meta possibile da raggiungere solo sensibilizzando l’opinione pubblica sul tema con una corretta e puntuale informazione da parte dei media e contestualmente educando le giovani generazioni all’importanza della tutela ambientale. Saranno i cittadini allora a premere sulla politica affinché l’ambiente divenga una priorità.


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