tratto da:
http://espresso.repubblica.it/attualita/2018/05/30/news/pesticidi-assassini-in-argentina-la-morte-arriva-dai-campi-1.323091
DI VALERIA CIRILLO, FOTO DI PABLO ERNESTO PIOVANO
San Salvador, provincia di Entre Ríos, Repubblica Federale Argentina. Teresita è madre di due figli. Vive accanto a un impianto di trattamento di cereali. Camion impregnati di pesticidi e disseccanti si alternano durante il giorno. A Teresita è appena stato estratto un osteoide di un centimetro e mezzo, posizionato alla base del cranio.
Colonia Alicia, provincia di Misiones, Nord-est dell’Argentina. Lucas Techeira ha cinque anni. È nato con una rara malformazione genetica, ittiosi lamellare o “pelle di serpente”. Si manifesta squamando l’epidermide. I suoi genitori lavoravano in piantagioni della zona, in cui vengono applicati agrochimici: glifosato e acido-2,4-diclorofenossiacetico, usato durante la guerra in Vietnam.
Fracrán, provincia di Misiones. Fabián Piris, figlia di Cándida Rodriguez, è idrocefala. Alla nascita le diagnosticarono un anno di vita. Ora ha otto anni e un ritardo mentale irreversibile. Durante la gravidanza sua madre è entrata in contatto con agrochimici nelle piantagioni di tabacco. Nella stessa area circa 1.200 persone hanno il labbro leporino, problemi di idrocefalia e altre disabilità.
General Campos, provincia di Entre Ríos. Maribella Alexandra Duarte soffre di una malformazione congenita. Non riesce ad alzarsi. Lei e la sua famiglia vivono a 30 metri da un campo di soia transgenica fumigato con sostanze tossiche. Sua madre, Mariela Montes, si chiude a chiave in casa assieme ai suoi sette figli quando gli aerei delle fumigazioni sorvolano la zona.
Fabián Tomasi era uno di quelli che preparavano gli aerei. Ha lavorato per anni in un’azienda di fumigazione di agrochimici, la Molina & Cìa. I proprietari sono entrambi morti di cancro. Fabián era addetto al carico e all’irrorazione di diserbanti, dal Ddt al glifosato. Gli piacciono gli aerei. È un uomo magrissimo. Soffre di polineuropatia grave e atrofia muscolare generalizzata. Non riesce a sollevare un bicchier d’acqua; non può muovere le mani, né mangiare cibi solidi. Ma il suo sguardo è vivo. E lui è diventato portavoce di una lotta ormai mondiale. Quella contro gli agrotossici e il modello agroindustriale che vi è dietro. È in bilico fra la vita e la morte. Hermano mío… nunca te olvides de mí. Fratello mio, non ti dimenticare mai di me.
È con le parole di Fabián Tomasi che Pablo Ernesto Piovano, fotografo argentino, classe 1981, apre il suo “El costo humano de los agrotóxicos/The human cost of agrotoxins”, pubblicato da Kehrer Verlag Heidelberg (2017). Contiene gli scatti dell’omonimo reportage. Un viaggio di inchiesta fotografica che ha inizio nel 2014 a Basavilbaso, provincia di Entre Ríos. Poco più di 9 mila abitanti, 350 chilometri da Buenos Aires e poco meno di 200 dalla città di Rosario. Un reportage importante, in cui l’abilità fotografica di Piovano, primo premio al “Philip Jones Griffiths Foundation 2016 award” di Londra, documenta la sperimentazione a cielo aperto che si sta consumando in Argentina con gli agrotossici.
Piovano mostra terribili malformazioni, malattie della pelle, tumori e gravi problemi respiratori di uomini, donne e bambini esposti all’uso indiscriminato di pesticidi in alcune province del Nord-est dell’Argentina, quelle di Misiones, Entre Ríos e Chaco. Una relazione chiara - secondo la Red de médicos de pueblos fumigados - fra esposizione ad agrochimici e anomalie congenite, aborti spontanei, malformazioni. Una relazione resa evidente dagli studi realizzati nelle comunità esposte a fumigazione, fra le quali quella di Monte Maíz, nella provincia di Cordoba.
A Monte Maíz, l’esposizione a glifosato - principale principio attivo di molti erbicidi - è di circa 80 litri per persona all’anno. I casi di aborto spontaneo sono tre volte superiori alla media nazionale, mentre le malformazioni congenite la superano del 72 per cento. O quella di San Salvador, 12 mila abitanti, provincia di Entre Ríos. Una concentrazione di glifosato e Ampa nel 70 per cento delle rilevazioni superiore al massimo consentito dalla legge e il 39,7 per cento di morti per tumore maligno, ai polmoni, alla prostata, al colon e alla mammella negli ultimi 15 anni.
Attualmente in Argentina sono legali diverse varietà di soia, mais e cotone transgenici resistenti a pesticidi. Il loro consumo è aumentato negli ultimi venticinque anni da 38 mila tonnellate nel 1990 a 370 mila nel 2015 (Red universitaria de ambiente y salud). Avia Terai, La Leonesa, San Salvador, Barrio Ituzaingó, Monte Maíz sono solo alcuni dei villaggi esposti al modello agroindustriale argentino, in cui Ogm e agrochimici vanno di pari passo.
L’Argentina è uno dei Paesi con il maggior consumo di glifosato al mondo: 4,3 litri per abitante all’anno, 8 se si considera l’intera gamma di agrochimici. Un consumo in crescita di oltre il 47 per cento fra 2015 e 2016 (Investigaciones económicas sectoriales, 2017), a fronte di una domanda in aumento di circa il 10,5 per cento nello stesso anno. In Argentina quello degli agrochimici è un mercato florido, reso tale da un modello di agricoltura dipendente dall’uso di pesticidi. La superficie coltivata è passata da 20 milioni di ettari nel 1970 a 38 nel 2016. Oltre il 60 per cento del territorio nazionale risulta coltivato con uso di agrochimici e transgenici - 23,8 milioni di ettari al 2016 - dei quali 18,7 milioni per soia transgenica, 4,7 milioni per mais transgenico e 0,38 milioni di ettari per cotone transgenico.
Secondo Damián Marino, chimico e ricercatore del Consejo nacional de investigaciones científicas y técnicas, molte specie vegetali hanno sviluppato resistenza al glifosato. Dai 3 litri per ettaro all’anno del 1996 si è passati ad applicazioni attuali di oltre 15-18 litri per ettaro. È aumentata la concentrazione del principio attivo che si utilizza nell’elaborazione degli erbicidi (dal 48 al 74 per cento).
Un mercato, quello degli agrochimici, prettamente oligopolistico, dominato da poche grandi corporation in via di fusione: Bayer-Monsanto, Dow-Dupont e Syngenta-ChemChina. Nel 2016 controllano in Argentina il 54,3 per cento del mercato totale, con vendite per 1.348 milioni di dollari. Secondo Eduardo Trigo, consulente in biotecnologie presso il ministero di Agroindustria in Argentina, la commercializzazione delle sementi Ogm ha portato a un reddito cumulato dal 1996 al 2016 di 127 miliardi di dollari, dei quali 118 per la soia transgenica. Il 65,9 per cento degli introiti va a finire nelle tasche dei proprietari terrieri e il 27,4 al governo, attraverso pagamento di tasse sull’export.
Un business per pochi, basato su alcuni luoghi comuni. Fra questi, la tesi secondo cui il ricorso a pesticidi, combinato con il modello Ogm, è necessario per incrementare la produzione globale di cibo e riuscire così a sfamare la popolazione del pianeta. Una tesi che è stata però messa in discussione da più parti.
L’uso di pesticidi riguarda anche l’Europa, i cui Paesi hanno votato il rinnovo all’autorizzazione all’uso del glifosato per cinque anni, nonostante il parere dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, che nel 2015 aveva inserito il glifosato fra le sostanze «probabilmente cancerogene».
Un parere poi ribaltato dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare a novembre del 2015. Poi, a maggio 2016, dalla Fao. E ancora: nel marzo 2017 dall’Agenzia europea per le sostanze chimiche. La divergenza nei pareri è in parte da attribuirsi alle diverse valutazioni cui le agenzie hanno fatto riferimento. In alcuni casi si tratta di studi finanziati dalle industrie produttrici, che per legge hanno l’onere della prova della non cancerogenicità della sostanza da commercializzare. Secondo gli attivisti di Corporate Europe Observatory, si tratterebbe di un sistema che manca di trasparenza e che crea collusioni di interessi fra gli attori coinvolti nelle valutazioni, i quali si trovano a essere esposti a tutte le pressioni dell’industria agrochimica.
Intanto, il reportage fotografico di Piovano è servito come prova testimoniale davanti al “Tribunale Internazionale Monsanto”, una fondazione di attivisti creata all’Aia con il sostegno di movimenti civici come Via Campesina, di Ong e di personalità come l’ecologista indiana Vandana Shiva. In quella sede (informale, non realmente giuridica) l’azienda statunitense è stata «condannata per ecocidio». Ma, soprattutto, il reportage ha acceso i riflettori su una questione internazionale e non soltanto argentina. Una questione che tocca anche i Paesi europei. E che riguarda la tutela della salute dell’umanità.
Colonia Alicia, provincia di Misiones, Nord-est dell’Argentina. Lucas Techeira ha cinque anni. È nato con una rara malformazione genetica, ittiosi lamellare o “pelle di serpente”. Si manifesta squamando l’epidermide. I suoi genitori lavoravano in piantagioni della zona, in cui vengono applicati agrochimici: glifosato e acido-2,4-diclorofenossiacetico, usato durante la guerra in Vietnam.
Fracrán, provincia di Misiones. Fabián Piris, figlia di Cándida Rodriguez, è idrocefala. Alla nascita le diagnosticarono un anno di vita. Ora ha otto anni e un ritardo mentale irreversibile. Durante la gravidanza sua madre è entrata in contatto con agrochimici nelle piantagioni di tabacco. Nella stessa area circa 1.200 persone hanno il labbro leporino, problemi di idrocefalia e altre disabilità.
General Campos, provincia di Entre Ríos. Maribella Alexandra Duarte soffre di una malformazione congenita. Non riesce ad alzarsi. Lei e la sua famiglia vivono a 30 metri da un campo di soia transgenica fumigato con sostanze tossiche. Sua madre, Mariela Montes, si chiude a chiave in casa assieme ai suoi sette figli quando gli aerei delle fumigazioni sorvolano la zona.
Fabián Tomasi era uno di quelli che preparavano gli aerei. Ha lavorato per anni in un’azienda di fumigazione di agrochimici, la Molina & Cìa. I proprietari sono entrambi morti di cancro. Fabián era addetto al carico e all’irrorazione di diserbanti, dal Ddt al glifosato. Gli piacciono gli aerei. È un uomo magrissimo. Soffre di polineuropatia grave e atrofia muscolare generalizzata. Non riesce a sollevare un bicchier d’acqua; non può muovere le mani, né mangiare cibi solidi. Ma il suo sguardo è vivo. E lui è diventato portavoce di una lotta ormai mondiale. Quella contro gli agrotossici e il modello agroindustriale che vi è dietro. È in bilico fra la vita e la morte. Hermano mío… nunca te olvides de mí. Fratello mio, non ti dimenticare mai di me.
È con le parole di Fabián Tomasi che Pablo Ernesto Piovano, fotografo argentino, classe 1981, apre il suo “El costo humano de los agrotóxicos/The human cost of agrotoxins”, pubblicato da Kehrer Verlag Heidelberg (2017). Contiene gli scatti dell’omonimo reportage. Un viaggio di inchiesta fotografica che ha inizio nel 2014 a Basavilbaso, provincia di Entre Ríos. Poco più di 9 mila abitanti, 350 chilometri da Buenos Aires e poco meno di 200 dalla città di Rosario. Un reportage importante, in cui l’abilità fotografica di Piovano, primo premio al “Philip Jones Griffiths Foundation 2016 award” di Londra, documenta la sperimentazione a cielo aperto che si sta consumando in Argentina con gli agrotossici.
Piovano mostra terribili malformazioni, malattie della pelle, tumori e gravi problemi respiratori di uomini, donne e bambini esposti all’uso indiscriminato di pesticidi in alcune province del Nord-est dell’Argentina, quelle di Misiones, Entre Ríos e Chaco. Una relazione chiara - secondo la Red de médicos de pueblos fumigados - fra esposizione ad agrochimici e anomalie congenite, aborti spontanei, malformazioni. Una relazione resa evidente dagli studi realizzati nelle comunità esposte a fumigazione, fra le quali quella di Monte Maíz, nella provincia di Cordoba.
A Monte Maíz, l’esposizione a glifosato - principale principio attivo di molti erbicidi - è di circa 80 litri per persona all’anno. I casi di aborto spontaneo sono tre volte superiori alla media nazionale, mentre le malformazioni congenite la superano del 72 per cento. O quella di San Salvador, 12 mila abitanti, provincia di Entre Ríos. Una concentrazione di glifosato e Ampa nel 70 per cento delle rilevazioni superiore al massimo consentito dalla legge e il 39,7 per cento di morti per tumore maligno, ai polmoni, alla prostata, al colon e alla mammella negli ultimi 15 anni.
Attualmente in Argentina sono legali diverse varietà di soia, mais e cotone transgenici resistenti a pesticidi. Il loro consumo è aumentato negli ultimi venticinque anni da 38 mila tonnellate nel 1990 a 370 mila nel 2015 (Red universitaria de ambiente y salud). Avia Terai, La Leonesa, San Salvador, Barrio Ituzaingó, Monte Maíz sono solo alcuni dei villaggi esposti al modello agroindustriale argentino, in cui Ogm e agrochimici vanno di pari passo.
L’Argentina è uno dei Paesi con il maggior consumo di glifosato al mondo: 4,3 litri per abitante all’anno, 8 se si considera l’intera gamma di agrochimici. Un consumo in crescita di oltre il 47 per cento fra 2015 e 2016 (Investigaciones económicas sectoriales, 2017), a fronte di una domanda in aumento di circa il 10,5 per cento nello stesso anno. In Argentina quello degli agrochimici è un mercato florido, reso tale da un modello di agricoltura dipendente dall’uso di pesticidi. La superficie coltivata è passata da 20 milioni di ettari nel 1970 a 38 nel 2016. Oltre il 60 per cento del territorio nazionale risulta coltivato con uso di agrochimici e transgenici - 23,8 milioni di ettari al 2016 - dei quali 18,7 milioni per soia transgenica, 4,7 milioni per mais transgenico e 0,38 milioni di ettari per cotone transgenico.
Secondo Damián Marino, chimico e ricercatore del Consejo nacional de investigaciones científicas y técnicas, molte specie vegetali hanno sviluppato resistenza al glifosato. Dai 3 litri per ettaro all’anno del 1996 si è passati ad applicazioni attuali di oltre 15-18 litri per ettaro. È aumentata la concentrazione del principio attivo che si utilizza nell’elaborazione degli erbicidi (dal 48 al 74 per cento).
Un mercato, quello degli agrochimici, prettamente oligopolistico, dominato da poche grandi corporation in via di fusione: Bayer-Monsanto, Dow-Dupont e Syngenta-ChemChina. Nel 2016 controllano in Argentina il 54,3 per cento del mercato totale, con vendite per 1.348 milioni di dollari. Secondo Eduardo Trigo, consulente in biotecnologie presso il ministero di Agroindustria in Argentina, la commercializzazione delle sementi Ogm ha portato a un reddito cumulato dal 1996 al 2016 di 127 miliardi di dollari, dei quali 118 per la soia transgenica. Il 65,9 per cento degli introiti va a finire nelle tasche dei proprietari terrieri e il 27,4 al governo, attraverso pagamento di tasse sull’export.
Un business per pochi, basato su alcuni luoghi comuni. Fra questi, la tesi secondo cui il ricorso a pesticidi, combinato con il modello Ogm, è necessario per incrementare la produzione globale di cibo e riuscire così a sfamare la popolazione del pianeta. Una tesi che è stata però messa in discussione da più parti.
L’uso di pesticidi riguarda anche l’Europa, i cui Paesi hanno votato il rinnovo all’autorizzazione all’uso del glifosato per cinque anni, nonostante il parere dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, che nel 2015 aveva inserito il glifosato fra le sostanze «probabilmente cancerogene».
Un parere poi ribaltato dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare a novembre del 2015. Poi, a maggio 2016, dalla Fao. E ancora: nel marzo 2017 dall’Agenzia europea per le sostanze chimiche. La divergenza nei pareri è in parte da attribuirsi alle diverse valutazioni cui le agenzie hanno fatto riferimento. In alcuni casi si tratta di studi finanziati dalle industrie produttrici, che per legge hanno l’onere della prova della non cancerogenicità della sostanza da commercializzare. Secondo gli attivisti di Corporate Europe Observatory, si tratterebbe di un sistema che manca di trasparenza e che crea collusioni di interessi fra gli attori coinvolti nelle valutazioni, i quali si trovano a essere esposti a tutte le pressioni dell’industria agrochimica.
Intanto, il reportage fotografico di Piovano è servito come prova testimoniale davanti al “Tribunale Internazionale Monsanto”, una fondazione di attivisti creata all’Aia con il sostegno di movimenti civici come Via Campesina, di Ong e di personalità come l’ecologista indiana Vandana Shiva. In quella sede (informale, non realmente giuridica) l’azienda statunitense è stata «condannata per ecocidio». Ma, soprattutto, il reportage ha acceso i riflettori su una questione internazionale e non soltanto argentina. Una questione che tocca anche i Paesi europei. E che riguarda la tutela della salute dell’umanità.