Nell’elicoidale discorso sul vino naturale si parla sempre poco, a torto, dell’incessante ricerca sviluppata da molti vignaioli sulla coltivazione della vigna e in particolare sulla fertilità del suolo. A mio avviso uno degli aspetti più trascurati e il ritorno alle lavorazioni con la trazione animale.
Se anche il vecchietto nel bar del mio paese ormai mastica la parola biodinamica senza scatarrare, il concetto di cavallo in vigna invece è quasi un tabù anche per chi, nella propria vita, ha visto più zoccoli che copertoni di macchine. Questa ritrosia verso il ritorno al cavallo da lavoro è quasi comprensibile per una generazione che è stata salvata dal trattore e che ha visto nella trazione meccanica dimezzare le proprie fatiche e celebrare il ritorno a una vita quasi dignitosa. Appartiene infatti a una nuova stirpe di agricoltori la scelta di provare la via della trazione animale per la cura del suolo agricolo o le lavorazioni nel bosco. Se in Francia si è già sviluppata una professionalità di settore con numerosi contoterzisti che lavorano vigne con il cavallo, celebre il caso dei preziosi suoli della Romanée, in Italia sta nascendo una certa curiosità a riguardo con diverse esperienze da tenere in considerazione. Si tratta di viticoltori e in generale agricoltori di ottima preparazione tecnica, consapevoli che la qualità di un vino è in rapporto diretto con la salubrità del suolo. Si tratta, anche, di viticoltori attenti al mercato e quindi non insensibili al fascino esercitato da tale lavorazione. Del cavallo e del suo utilizzo, ne abbiamo parlato a lungo a Castello di Tassarolo con Henry Finzi Costantine, uno dei più attivi promotori del lavoro con il cavallo. In Italia mi vengono in mente altre realtà viticole com Di Filippo in Umbria, Fattoria Kappa in Toscana e Marco Carpineti in Lazio. Henry ritiene che la trazione animale è l’unica via possibile per una corretta applicazione della disciplina biodinamica, adottata dalla sua azienda. Il suolo ha bisogno di aria e la gomma schiaccia qualsiasi attività microbiologica del suolo. È inconcepibile per lui prodigarsi per riportare vita nei terreni per poi opprimerla con i trattori. Il cavallo per Henry oltre al vantaggio di rispettare la vita del suolo, consente all’agricoltore di ascoltare il territorio e acuire la percezione della qualità dell’agricoltura svolta. Oltre a ciò l’animale vive e sente l’uomo stabilendo con lui quasi un rapporto di amicizia. Non è da trascurare poi la cultura del cavallo da tiro, entrare in contatto cioè con tutta una serie di mestieri (conoscenza della razza impiegata, utilizzo dei finimenti, meccanica dei mezzi da lavoro) e persone che restituiscono la complessità del lavoro agricolo e regalano soddisfazione e orgoglio al mestiere contadino. A Tassarolo si organizzano corsi e incontri sulla lavorazione con il cavallo, non solo riguardo la viticoltura, ma anche il bosco e l’orto. Potete trovare tutte le informazioni necessarie sul loro sito. Al momento Henry riesce a lavorare con la trazione animale solo un terzo della vigne di proprietà che contano su 17 ettari. Vi sono molte difficoltà, soprattutto per quanto riguarda la qualità dei mezzi di lavorazione e, soprattutto, la gestione dei trattamenti antiparassitari. Per questo è importante lo scambio di esperienze tra agricoltori al fine di aggiornare il metodo di lavoro. Un aspetto questo davvero interessante e inaspettato, ma evidente vedendo con quanta passione Henry mostra la sua officina con gli attrezzi per la lavorazione del suolo. Ho sentito al bar, un vecchio che porta la legna fuori dal bosco con il mulo, litigare sull’efficacia dell’animale contro chi sosteneva la performance inarrivabile della carriola a motore. “Intanto con il mulo ci posso parlare mentre lavoro -diceva orgoglioso il vecchio- è vero che tocca governarlo, ma almeno lui non ha la candela“.
da: www.slowfood.it