È allarme rosso per l’agricoltura del Colognese, nella Bassa Veronese. La stagione pataticola del 2020 potrebbe essere ricordata come quella del disastro economico. Non bastavano il Coronavirus (che non ha fermato l’agricoltura ma ha impoverito le famiglie) e la siccità primaverile, ora il prodotto agricolo rischia seriamente di rimanere sul terreno, determinando perdite sanguinose per le aziende delle campagne del Colognese.
Costano troppo, infatti, agli agricoltori, lavorazione e raccolta dei celebri tuberi dei terreni rossi del Guà. La remunerazione è talmente bassa che non ripagare l’investimento e qualche produttore è arrivato a regalare il prodotto o, peggio ancora, ha rinunciato allo scavo.E pensare che il mercato sembrava partito bene. Molti imprenditori agricoli, memori dell’ottima annata 2019, avevano scelto di seminare patate anziché altre colture, nella speranza di guadagnare margini sufficienti a ripagare gli sforzi fatti negli ultimi tempi per migliorare la resa dei terreni e la qualità del prodotto. La primavera non è stata una stagione facile: ci sono state piogge sporadiche, se non assenti. I contadini hanno continuato ad irrigare per permettere alle piante di crescere e di sviluppare i tuberi. Arrivata l’estate, contrariamente al 2019, le temperature non si sono alzate di molto, perciò il clima fresco ha impedito alle piantine di patate di concludere il ciclo vitale. «Molti agricoltori, pur avendo prodotto buone quantità per ettaro (dai 400 ai 600 quintali, ndr), hanno dovuto fermarsi per aspettare che la pianta seccasse, oppure spargere il disseccante per accelerare la maturazione, altrimenti dalle patate si sarebbe tolta la buccia», raccontano i produttori.A giugno, dunque, le varietà precoci (Colomba e Primura soprattutto) sono state quotate tra i 38 e i 35 centesimi al chilo. Nello stesso tempo, arrivavano sul mercato le patate di Sardegna, Puglia e Sicilia, a 38 centesimi. Mentre la raccolta delle patate nella Bassa veronese proseguiva, i produttori hanno assistito inermi alla caduta libera delle quotazioni, settimana dopo settimana. Da 35 a 28 centesimi, da 20 a 18, fino ad arrivare agli attuali 15 centesimi al chilo. C’è perfino chi sta vendendo a 12 centesimi, prezzo mai visto prima, pur di non gettarle. Ma produrre un chilo di patate costa 22 centesimi, perciò la perdita è più del 40 per cento: una catastrofe. Se si pensa che i consumatori le acquistano a 1,20 euro al chilo al supermercato si capisce quale distorsione ci sia nella filiera. Ancora una volta, purtroppo, a falsare il comparto ci pensano pure i bilici di patate dalla Francia, spesso rimanenze dell’anno prima, che soddisfano i commercianti perché costano poco e sono disponibili a lungo.Oltre al danno economico, sotto gli occhi di tutti, i produttori quest’anno devono fare i conti anche con il ritorno degli elateridi, o «ferretti», coleotteri particolarmente fastidiosi nella fase larvale, vermetti che si cibano delle radici, fino ad entrare nella pianta, divorandola dal basso. Gli insetticidi per combattere gli elateridi sono stati banditi per tossicità, perciò i contadini non hanno mezzi efficaci di lotta contro di essi. L’unica lotta biologica possibile è l’alternanza di semina con una leguminosa che una volta cresciuta viene arata sottoterra per produrre gas ed eliminare elateridi e funghi, ma questo significa dover rinunciare ogni anno ad una parte di produzione. E non tutti sono disposti a farlo.
(fonte: L’Arena)