Un sommelier si avvicina, mostra la bottiglia, toglie il tappo, lo osserva, lo annusa e poi versa il primo bicchiere, perché sia il cliente a valutare la conformità del vino. Un rituale che rappresenta un test per il controllo della qualità tutt’altro che superfluo: l’obiettivo è individuare l’eventuale presenza del difetto olfattivo descritto come “odore di tappo”.  L’incidenza di questa alterazione si aggira tra il 2 e il 5% (anche se si sta riducendo) e rappresenta una delle cause più frequenti di contestazione, danno e respingimento del vino, oltre che di controversie legali e contrattuali tra fornitori di tappi, produttori e distributori. L’individuazione del difetto, inoltre, è l’unico motivo per cui il sommelier sottopone al cliente il vino prima del servizio e per cui questo può chiedere di cambiare bottiglia, non perché non di suo gradimento (l’ha già scelta).

Responsabile principale del difetto, ma non l’unico, è il Tca – 2,4,6 tricloroanisolo – una molecola caratterizzata da odore di muffa, fungo o cartone bagnato, prodotta da microrganismi dei generi ArmillariaAspergillusPenicillum e Mucor presenti nel sughero. Questo non è in realtà l’unico materiale a ospitare il Tca e i suoi precursori, ma è quello che, con maggiore probabilità, lo cede al vino con il quale viene a contatto. Il Tca ha una soglia di percezione molto bassa, per cui ne bastano pochi nanogrammi perché il difetto sia riconoscibile nel vino. Inoltre, anche in concentrazioni bassissime, questo composto agisce con un’azione di mascheramento sul sistema olfattivo, inibendo la percezione degli aromi anche in prodotti apparentemente non difettosi.

Le prestazioni di un tappo, però, non si fermano all’assenza di cessioni di ‘odori’ sgradevoli: a quel cilindretto i produttori affidano gran parte della conservazione e durata della qualità dei vini. Per questo motivo, negli ultimi anni, la ricerca ha fatto passi avanti nel descrivere la vita del vino dopo l’imbottigliamento e l’influenza che hanno la permeabilità ai gas, l’elasticità e l’aderenza del tappo al collo della bottiglia. Spinti dalle richieste crescenti di maggiori garanzie da parte dei produttori e dall’ingresso di nuovi competitor e materiali, in pochi decenni i tappi per le bottiglie sono diventati un concentrato di innovazione e tecnologia. Oggi chi acquista una bottiglia sa che potrà trovarsi ad aprire un tappo in sughero, plastica o vetro, oppure a svitare una capsula, se non addirittura a dover rimuovere un tappo a corona.

Come sono migliorati i tappi, cos’è un tappo di qualità e come fanno i produttori a scegliere una chiusura piuttosto che un’altra? Anzitutto occorre precisare che il livello qualitativo è aumentato per tutte le tipologie, è migliorato il sughero, ma anche gli altri tappi hanno raggiunto livelli molto elevati. I produttori di sughero e le loro associazioni si sono date disciplinari di produzione, hanno stabilito metodi internazionali di controllo, standard e certificazioni di qualità. I gruppi più grandi, come Amorim Cork, hanno introdotto dei sistemi in linea che permettono di identificare e scartare i singoli tappi difettosi, analizzati con un sistema di gas-cromatografia. Oltre ai tappi monopezzo, l’industria del sughero ha sviluppato da alcuni decenni i cosiddetti “tappi tecnici”, prodotti con un micro-agglomerato trattato con COsupercritica per eliminare il Tca e successivamente riassemblati utilizzando polimeri che oggi, abbandonate le colle poliuretaniche, sono ottenuti da materie prime di origine vegetale.

Tra le chiusure alternative, le prime sono state quelle sintetiche: polimeri plastici con elevate prestazioni di elasticità, omogeneità e tenuta, disponibili con permeabilità all’ossigeno calibrata e adatta a vini destinati a invecchiamenti più o meno lunghi e con una diversa suscettibilità all’ossidazione. I produttori possono scegliere tra tappi con un minore accesso di ossigeno per un bianco o un rosato e con una maggiore permeabilità per i rossi, nei quali il passaggio graduale dell’ossigeno favorisce una corretta evoluzione. Questi tappi, autorizzati dal 2012 anche per i vini Doc e Docg, sono oggi ottenuti anche da bioplastiche ricavate dal mais o dalla canna da zucchero e da plastiche riciclate nelle percentuali autorizzate per i materiali a contatto con gli alimenti, come quelli della linea Blu Line di Nomacorc, leader mondiale nella produzione di tappi sintetici.

Concezio Marulli, produttore storico della provincia di Pescara, con tre milioni di bottiglie esportate in tutto il mondo, ha adottato queste chiusure da oltre dieci anni. “Da romantico legato alla tradizione – racconta Marulli – la prima volta che mi proposero i tappi sintetici non accettai subito. Mi resi però disponibile per una sperimentazione in collaborazione con il Centro di ricerca in viticoltura ed enologia del Crea di Asti”. Lo studio, i cui risultati sono stati poi pubblicati sul Journal of Food Science, comparava l’evoluzione nel tempo di un rosato Cerasuolo d’Abruzzo prodotto con uve Montepulciano, imbottigliato e chiuso con tappi diversi. “È stato l’esito di quella sperimentazione a convincermi che i tappi sintetici fossero la miglior soluzione per i miei vini”. I vantaggi sono diversi: “Posso modulare la vita del mio vino sulla base della permeabilità e avere bottiglie omogenee senza la variabilità legata al tappo naturale. Ho praticamente annullato le contestazioni per il gusto di tappo, mentre prima avevo un ufficio sinistri costantemente impegnato per rispondere ai clienti. Inoltre, i tappi in plastica ottenuti da materie prime di origine vegetale a basso impatto si integrano al sistema di certificazione ambientale dell’azienda”.

Per la versione a vite, l’affermazione del leader di mercato, il tappo Stelvin, ha portato praticamente all’identificazione della capsula di alluminio con questo nome. Nel caso di questo sistema di chiusura, amatissimo in Australia e Nuova Zelanda, all’assenza di cessioni e di rischio di odore di tappo si uniscono i vantaggi di essere richiudibile – con una riduzione dello spreco – e di garantire la migliore protezione dall’ossigeno, nel caso in cui questo sia l’obiettivo tecnologico come in alcuni vini bianchi (vedi articolo precedente). Negli anni, anche per la capsula a vite ci sono state delle evoluzioni, come l’introduzione dei liner, la membrana polimerica a contatto con il vino che fa da barriera tra questo e l’alluminio, con diversa permeabilità all’ossigeno, o addirittura l’introduzione di chip per il tracciamento delle condizioni di distribuzione.
..... il resto dell'articolo lo trovi su: https://ilfattoalimentare.it/abito-monaco-sughero-vino-buono-tappo.html