Le origini della viticoltura nei territori collinari tra Verona e Vicenza - come ogni buona radice - sono molto profonde, nella storia. Sembra infatti che la zona sia stata un importante centro di accumulo e diffusione del flusso migratorio dei ceppi provenienti dal Medio Oriente, dopo l'ultima glaciazione.
Vinaccioli presso gli insediamenti palafitticoli e le impronte fossili di ampelidee hanno custodito questa testimonianza per molti (milioni di) anni. Forse in queste radici sta la spiegazione di tanta ricchezza ampelografica della provincia, e della Valpolicella in particolare: un centinaio almeno, i vitigni (al netto delle omonimie e comprese le contaminazioni trentine e lombarde) "storici" del territorio. Un patrimonio in larga parte perduto, ma forse ancora non del tutto. Tanto che ancora oggi è possibile incontrare in qualche sconosciuto vitigno. Come la Spigamonti. Di questo vitigno avevo sentito parlare la scorsa estate, poi è arrivata l'iscrizione a catalogo - il 10 luglio 2013: è autorizzata negli IGT Vallagarina (l'ultima Valdadige racchiusa fra le montagne) e Veneto. Inoltre con il decreto n. 3 del 21 gennaio 2014, è stato aggiornato l'elenco della varietà di viti idonee alla coltivazione, inserendo la varietà Spigamonti N tra le varietà ammesse nella provincia di Verona.
Ritrovo Claudio Oliboni, Tecnico viticolo alla Cantina di Negrar, qualche sera fa in occasione degli incontri organizzati da TerraViva, e non perdo l'occasione di scambiare due parole dal vivo con chi ha avuto il merito di ritrovare e questa varietà. Durante le mie visite dei Soci della Cantina - mi racconta lui stesso - mentre stavo attraversando un vigneto del nostro socio Angelo Annechini, ho notato alcune piante con le foglie di colore rossastro, molto diverse rispetto alle nostre varietà. Era l'anno 2000, inizio agosto, ed il vigneto si trovava in località Spigamonte, nell'alta collina (circa 450 m) del Comune di Negrar: una vecchia e tradizionale pergola in mezzo ai ciliegi e, rispetto ai moderni impianti di vite, visitarla era come fare un salto nel passato. Osservando più da vicino ho subito notato che i grappoli erano già completamente invaiati, mentre quelli delle altre varietà erano ancora in fase di pre-invaiatura. Inoltre, anche il rachide era stranamente di colore rosso anziché verde. Ho chiesto al viticoltore dove avesse preso queste piante e se conoscesse il nome della varietà, perché non ero in grado di riconoscerla. Mi ha così raccontato di averle innestate nel suo vigneto ancora quando era molto giovane, non ne conosceva la varietà e non ricordava dove aveva trovato la pianta originaria. In quegli anni non si acquistavano le barbatelle innestate ma l'innesto si faceva direttamente sul campo con gemme che si prendevano sul posto. Abbiamo concordato che alla maturazione avrebbe raccolto le uve di queste poche piante senza mescolarle alle altre, per conoscerla meglio. Così è stato fatto. Giunte a maturazione ho prelevato un campione di uve e fatte analizzare dal laboratorio della Cantina, a Negrar. Con i colleghi abbiamo subito visto la particolarità della Spigamonti: le bucce ed il mosto avevano un livello di antociani mai visti in altre varietà. Il colore macchiava le mani e non riuscivamo a toglierlo. Abbiamo quindi deciso di fare una microvinificazione per capire che vino ne sarebbe uscito. E così abbiamo raccolto una quantità sufficiente per la vinificazione. Il vino che dopo qualche mese ne è uscito era impressionante come struttura e colore. Con l'enologo della Cantina, l'ufficio viticolo della Provincia e successivamente con il Centro di Ricerca Agricola di Conegliano (CRA-Vit) abbiamo quindi progettato un attento studio sulle caratteristiche agronomiche di questa vite e del vino che se ne otteneva. Si è deciso di fare pure l'analisi del DNA, e la sorpresa è stata grande quando i risultati hanno confermato che quest'uva non era mai stata fino ad ora catalogata e identificata, e non sembra avere relazioni genetiche con nessun altro vitigno noto. Apparteneva probabilmente quindi ad una delle tante varietà descritte a fine ‘800 dal botanico Luigi Sormanni Moretti, presenti nella Provincia veronese ma andate col tempo perdute.Vinaccioli presso gli insediamenti palafitticoli e le impronte fossili di ampelidee hanno custodito questa testimonianza per molti (milioni di) anni. Forse in queste radici sta la spiegazione di tanta ricchezza ampelografica della provincia, e della Valpolicella in particolare: un centinaio almeno, i vitigni (al netto delle omonimie e comprese le contaminazioni trentine e lombarde) "storici" del territorio. Un patrimonio in larga parte perduto, ma forse ancora non del tutto. Tanto che ancora oggi è possibile incontrare in qualche sconosciuto vitigno. Come la Spigamonti. Di questo vitigno avevo sentito parlare la scorsa estate, poi è arrivata l'iscrizione a catalogo - il 10 luglio 2013: è autorizzata negli IGT Vallagarina (l'ultima Valdadige racchiusa fra le montagne) e Veneto. Inoltre con il decreto n. 3 del 21 gennaio 2014, è stato aggiornato l'elenco della varietà di viti idonee alla coltivazione, inserendo la varietà Spigamonti N tra le varietà ammesse nella provincia di Verona.
Nel corso di questi ultimi anni sono state fatte delle prove attitudinali anche sull'appassimento e successiva vinificazione, come tradizione in zona per la produzione del vino Amarone. I risultati sono sempre stati notevoli, sia in termini di costanza nella qualità, sia nella potenza strutturale sia nella capacità colorante". Inoltre, come molte vecchie varietà è abbastanza rustica nei confronti della malattie fungine, e anche capace di reagire molto prontamente a grandinate (purtroppo frequenti in zona).
Interessante sarebbe continuare una piccola sperimentazione per capire quanto possa essere il suo contributo nell'uvaggio, anche se per ora c'è quanto stabilisce il nuovo disciplinare, come spiega l'enologo e direttore della Cantina di Negrar, Daniele Accordini: «Nel disciplinare del 2010, prima annata Docg per l'Amarone, è stata introdotta la possibilità di inserire un 10% di vitigni classificati autoctoni e lo Spigamonti darà ai nostri vini una maggiore unicità e irripetibilità». In particolare per dare colore e struttura ad un'uva tipicamente povera come la Corvina (divenuta dominante nell'uvaggio valpolicellese) senza dover ricorrere ad aiuti "esterni".
Non c'è che dire, la Valpolicella si sta dimostrando fertile di idee, e le potenzialità per crescere e migliorare - come un buon Amarone - ci sono tutte.
Fonti:
Normativa - Registro Nazionale delle Varietà di vite e Portale Integrato per l'Agricoltura Veneta.
Immagini 1 e 3 - Valpolicella Impressions, su Facebook, ne custodisce molte, e tutte davvero belle.
tratto da: www.lavinium.com