Lettera del nostro presidente Giovanni Beghini sul glifosato e sui motivi per metterlo al bando

Una quarantina d’anni è il tempo medio che la scienza impiega a riconoscere i veri effetti di una nuova molecola immessa in ambiente dall’industria chimica. In barba al principio di precauzione è necessaria una trafila di avvenimenti che vanno da denunce, ricerche, morti e malattie, dibattiti, pressioni dell’opinione pubblica, cambiamenti culturali, presenza di persone giuste nel momento giusto. Spesso è anche necessario che l’industria abbia in progetto l’immissione sul mercato di una molecola sostitutiva, che rischia poi di percorrere lo stesso cammino. Citiamo solo l’amianto, il fumo di sigaretta, il piombo tetraetile nella benzina, ma non dimentichiamo gli ftalati, i perfluoroalchilati. In effetti questi tempi sono inversamente proporzionali alla forza economica e politica delle industrie e delle lobbies che producono le sostanze in questione. Ma se i tempi della scienza sono biblici i tempi della politica, e spesso della cultura, sono geologici. Credono gli “ambientalisti” di aver vinto qualche battaglia con la recente decisione della IARC di classificare il glifosate non più “possibile” cancerogeno (2b) bensì “probabile” cancerogeno a quarant’anni dal suo brevetto? Credono che questo basti a spostare gli equilibri, a fare cultura, a cambiare le cose ? Si illudono! Certo, gli agricoltori e le loro organizzazioni proveranno un po’ più di vergogna (ho già visto trattare con diserbante e poi arare per nascondere l’erba gialla)  ma questo non basta.  Ancora le ARPA mostrano articoli scientifici degli anni ’80, firmati dai laboratori Monsanto, per giustificare l’ assenza del glifosate fra le sostanze ricercate  ogni anno nelle acque superficiali e profonde e l’ISPRA non può pubblicare dati corretti. Inizia ora la battaglia, Monsanto ha già dichiarato “spazzatura” gli articoli che hanno portato la IARC allo storico passo e molte organizzazioni ambientaliste hanno chiesto il ritiro dal commercio in Italia (e in Europa) del famigerato diserbante. La FIAB, la AIAB, il WWF, Legambiente, ISDE e molte altre. Sono ancora troppo poche, dovrebbe iniziare una campagna di boicottaggio, una richiesta di etichettatura in cui si dichiari se il prodotto ne è esente o meno. Tanto per renderci conto della portata dell’avvelenamento collettivo cui siamo sottoposti ricordo che uno studio mostra che quasi la metà delle persone testate, residenti in varie città europee hanno tracce di glifosate nelle urine, che 14 su 20 prodotti da forno ne contengono tracce, che tutti i prodotti OGM, quindi in Europa tutti gli animali provenienti dalla zootecnia industriale, che sono cresciuti con mangimi OGM (probabilmente il 90% dei mangimi.
Da una decina di anni il mondo scientifico pubblica una quantità di lavori impressionante sul glifosate dai quali si desume che la sua tossicità è multisistemica. Non colpisce un solo organo o un solo apparato, agisce a livello enzimatico ed entra in molti metabolismi. Ma andiamo con ordine. C’è una evidenza di prevalenza di tumori della mammella (solo quelli ormono-dipendenti), dei tessuti linfopoietici (linfoma), mentre a carico dei tessuti germinativi provoca teratogenicità (malformazioni alla nascita), infertilità (a livello sperimentale anche a quantità parti ad una particella per milione), disbiosi intestinale, intolleranze alimentari  e celiachia per il suo comportamento da antibiotico sulla flora batterica intestinale  (infatti era stato brevettato anche come antibiotico). Un altro problema, rilevato proprio qualche giorno fa, è il contributo ancora misconosciuto che da all’aumento preoccupante dell’antiobito-resistenza cui assistiamo impotenti ogni anno. Si è notata anche una netta capacità aritmogena (la fibrillazione atriale per esempio) segnalata in un articolo del settembre 2014. Probabilmente ci saranno altre sorprese visto il raggio d’azione ubiquitario e multi sistemico. Autismo ,Alzheimer,  depressione, per quel che riguarda il sistema nervoso, insufficienza renale cronica, diabete, ipotiroidismo sono altre patologie su cui si indaga.
Intanto da 40 anni  è impunemente in commercio ed ora ben il 70% della terra arabile del pianeta ne è impregnata. Il 31 dicembre scade la sua licenza di commercio, rinnovata di dieci in dieci anni. Altri dieci anni, con un ritmo di crescita delle vendite impressionante (nel mondo da 30 a 80 mila tonnellate annue) è insostenibile per il pianeta, per la fertilità del suolo, per la biodiversità botanica, per le tutte le specie di animaletti della terra e per la stessa specie umana.

Giovanni Beghini