Sabato 21 luglio dalle pagine di La Repubblica D, ritroviamo la professoressa e senatrice a vita Elena Cattaneo intenta a denunciare le malefatte del biologico, un’attività nella quale sembra impegnarsi assiduamente. Secondo Cattaneo gli agricoltori bio sono dei furbastri che fanno bio solo per intascarsi i sussidi, il bio è pieno di pesticidi e contamina di rame il terreno, i prodotti bio non sono diversi dagli altri, il bio fa aumentare la domanda di terra e ci ridurrà alla fame, il bio significa tornare al medioevo, alle mondine.
Cattaneo ci sprona a liberarci di questo fardello, retaggio di una concezione antiquata e inefficiente dell’agricoltura, e di andare avanti verso il cammino tracciato dalla scienza, cioè dalle biotecnologie, cioè dagli ogm, sui quali lavorano, e sperano di lavorare coi cospicui finanziamenti delle multinazionali dell’agrochimica, i colleghi per i quali fa da portavoce (dato che dubito che Cattaneo si interessi o conosca qualcosa del settore agroalimentare, quello che scrive ne è la prova).
È da tempo che mi chiedo perché questo astio e disprezzo nei confronti degli agricoltori biologici. Ma che avranno fatto di male per meritarsi le invettive della professoressa Cattaneo? Perché Cattaneo non si accanisce anche contro le produzioni vitivinicole? In fondo i vigneti tolgono spazio alle colture alimentari, dato che il vino non si produce certo per sfamare la gente. Vi sono circa tre milioni di ettari di vigneto in Europa, 610.000 ettari in Italia; le superfici certificate biologico o in conversione sono circa dodici milioni di ettari in Europa, più di un milione di ettari in Italia.
Anche i produttori vitivinicoli attingono ai sussidi nell’ambito dei finanziamenti Pac (la politica agricola comune), i vigneti (con i frutteti) sono le colture a più alto impatto ambientale per l’alto uso di erbicidi, pesticidi e rame (ebbene sì, il rame si usa anche nell’agricoltura convenzionale), e per la distruzione del paesaggio che l’espansione della viticoltura intensiva sta attuando (vedasi area del prosecco).
Perché non si schiera contro l’allevamento di bovini, un settore altrettanto sussidiato, e in assoluto l’attività agricola a più alto impatto ambientale per l’appropriazione di suolo, consumi idrici ed emissioni di gas a effetto serra. È stato stimato che per produrre un chilo di carne di manzo si consumano ventisette volte più terra e undici volte più acqua che per produrre un chilo di carne di maiale o pollo. La produzione di carne produce il dieci per cento di tutte le emissioni di gas serra. È stato stimato che se le colture destinate agli animali allevati fossero usate per l’alimentazione umana si potrebbero nutrire quattro miliardi di persone.
Perché non denuncia lo spreco di denari pubblici (un miliardo di euro all’anno per l’Italia, e bolletta più cara per tutti) e di risorse agricole che vanno letteralmente bruciate per produrre agro-energia, un vettore energetico totalmente inefficiente per la nostra società, che concorre, tra l’altro, ad aumentare l’inquinamento dell’aria e dell’ambiente in generale.
Ovviamente i problemi sono più complessi di come descritti nelle righe precedenti, e dalla senatrice Cattaneo, non si può banalizzare, come tendono a fare invece i biotech. Sviluppare un’agricoltura più sostenibile richiedere un cambio a livello di organizzazione del sistema agroalimentare, di società e di cultura alimentare e non solo.
Ma Cattaneo ci dice che il problema è il biologico. Sono i produttori biologici il male del mondo (anche se quasi insignificanti in termini di numero, di superfici e pil, non me ne voglia il mondo del bio, lo dico solo per far presente che le colpe dei mali mondo non possono tecnicamente ricadere su di voi: anche volendo non potreste causare tutti questi danni). Il resto non esiste.
Il biologico non è ovviamente il male del mondo, ma certamente è un male per il mercato biotech. Un cattivo esempio, la cui esistenza fa pensare ai consumatori che si può fare agricoltura anche senza ogm, e addirittura senza agrochimica (certo costa un po’ di più, ma si può fare). In contraddizione con la strategia di marketing usata per promuovere gli ogm, il nostro unico futuro e salvezza.
Senza il biologico sarebbe certamente tutto più facile, non ci sarebbero alternative a cui guardare. Per cui si cerca di screditare il bio agli occhi dei consumatori, e in maniera più subdola di infiltrarlo per deviarlo verso fini precostituiti.
Per esempio, sia gli Usa sia l’Europa hanno recentemente dato il loro ok per la certificazione bio delle produzioni idroponiche (produzione senza terra, dove i nutrienti vengono forniti in soluzione con l’irrigazione). Questo gioca evidentemente a favore della grande industria e della grande distribuzione, ma contraddice la natura del biologico, che nasce dall’idea di una migliore gestione del suolo.
Un’agricoltura senza suolo forse è una cosa diversa. Ovviamente bene che si riconosca chi non usa prodotti tossici in serra, ma magari si poteva evitare di interferire con le certificazioni esistenti.
Negli USA, la Nature’s Path, un’importante azienda bio e associazioni di produttori del biologico, hanno denunciato collaborazioni dell’Organizzazione del commercio bio del Nord America (la Organic Trade Association, Ota), con multinazionali dell’agroalimentare, che attraverso marchi bio prestanome cercano di pilotare il movimento biologico nordamericano. Tra le accuse mosse alla Ota c’è anche quella di aver collaborato, nel 2016, con la Monsanto, aiutandola nell’intento di evitare l’etichettatura dei prodotti Gm, e di essere la vera responsabile del fallimento della proposta. Alcuni giorni fa la Ota è stata oggetto di aspre critiche per aver accettato tra i suoi soci il gigante dell’agrochimica Basf (produttrice anche di ogm), e una delle maggiori multinazionali dell’agroalimentare, la Cargill.
Che dire delle solite accuse della professoressa Cattaneo? Certamente si può e si deve fare meglio per evitare che i profittatori speculino sui denari pubblici. Cattaneo si attivi per inasprire le pene per chi truffa, e per chi mette a rischio la salute pubblica, bio o convenzionale che sia.
Certamente il biologico non è la via per l’autosufficienza alimentare, come non lo sono d’altronde gli ogm. L’Italia ha una densità di popolazione per terra agricola arabile tra le più alte del mondo, poco più di 0,1ha (1.000 mq) per capita, circa come il Bangladesh. Per confronto gli USA sono a 0,5ha per capita, l’Ucraina a 0,7ha pe capita, Argentina 0,9ha per capita, Canada 1,2 ha per capita.
Ovviamente l’Italia non può competere con questi paesi per la produzione di colture estensive, ma deve innanzitutto mirare a preservare la scarsissima risorsa suolo (in molte aree del paese a rischio desertificazione), la qualità delle risorse idriche e dell’aria (cioè fare prevenzione e ridurre i costi della sanità). Poi sarebbe più ragionevole puntare sul fattore qualità e su prodotti ad alto valore aggiunto, non certo sprecare le nostre scarse risorse (anche economiche) per la produzione intensiva di mais da mandare al macero nelle centrali agroenergetiche.
Il biologico attinge ai sussidi previsti per l’agricoltura in generale. Oltre a questi, il presente regolamento Pac indica che almeno il trenta per cento dei finanziamenti per lo sviluppo rurale devono essere allocati al supporto dell’agricoltura biologica o progetti di sviluppo agricolo miranti al ridurre l’impatto ambientale delle attività agricole. Quindi un trenta per cento che non è appannaggio solo del biologico, ma finanziamenti per i quali possono concorrere tutti gli agricoltori che presentino progetti che rispondano alle direttive del programma.
I prodotti bio, oltre che a non avere residui di pesticidi di sintesi, hanno in genere anche delle migliori qualità. Questo emerge, per esempio, dai risultati di un progetto europeo pubblicati nel 2014 (Quality Low Input Food EU FP6 Contract CT-2003-506358). Non facendo uso dei pesticidi di sintesi, si evita che tali prodotti per esempio finiscano nell’acqua e nell’aria (oramai la nostra acqua, come il nostro corpo, è contaminata da centinaia di prodotti chimici che bene non fanno da soli, e men che meno insieme).
Oltre al rame, anche alcuni dei pesticidi di sintesi rimangono nell’ambiente per decenni. Composti che sono molto tossici per gli organismi viventi e per l’uomo (mentre quelli usati nel biologico si degradano in pochi giorni). Il rame può essere tamponato dalla sostanza organica del suolo, e si possono sviluppare irroratori a recupero, in particolare per il settore vitivinicolo (credo che se si investisse nel settore credo si riuscirebbe a limitare di molto la dispersione del rame in ambiante, come anche dei pesticidi di sintesi)
L’allevamento biologico aiuta a ridurre l’uso degli antibiotici, un problema serissimo, che mettere a rischio le nostre vite ogni volta che siamo affetti da un’infezione. La meccanizzazione e la tecnologia (e i risultati della ricerca scientifica) sono ampiamente adottate anche nell’agricoltura biologica, non vi è alcun ritorno alle mondine! Mentre pare invece sia il convenzionale a fare largo uso di manodopera gestita in stato di semi schiavitù.
Cattaneo ci informa che “per produrre e nutrirci riducendo l’uso di agrofarmaci possiamo ricorrere alle biotecnologie agrarie”. E come pensa che colture resistenti agli erbicidi (la maggior parte delle colture gm coltivare oggi), che accumulano tali erbicidi nelle colture che poi finiscono nelle nostre tavole (oltre che nell’acqua che beviamo) possa nutrirci senza uso di agrofarmaci.
Forse il trucco della Cattaneo sta nel non considerare gli erbicidi agrofarmaci. Uno studio pubblicato recentemente dimostra che erbicidi a base di glifosato (quelli che si usano anche nelle colture gm, e che rimangono quindi negli alimenti che mangiamo), in test condotti in ratti di laboratorio, compromettono il sistema riproduttivo e la salute dei nuovi nati. Gli effetti di tali erbicidi si sono riscontrati nelle madri esposte al prodotto e anche nelle figlie, anche se queste non sono state esposte al prodotto. Questi erbicidi sono in grado di modificare il DNA nella generazione parentale (la madre), modificazione che quindi si trasmette alle generazioni successive. Tecnicamente un effetto mutageno intergenerazionale, già conosciuto da un decennio per altri pesticidi che si usano nel convenzionale, giustamente vietati nel biologico, che però, ci dice Cattaneo, non sarebbe differente dal convenzionale.
Cattaneo dovrebbe riuscire a capire che quello che dice non ha senso. Si batta per bandire le colture gm resistesti agli erbicidi per iniziare. Sarebbe un segnale di buona fede. Altrimenti non possiamo che ritenere le sue invettive verso il bio propaganda per la promozione di interessi di parte. Un comportamento che svilisce il suo ruolo di scienziata (di un’istituzione pubblica), nonché di figura istituzionale che dovrebbe essere super partes (e dalla parte dei cittadini).
da: Tiziano Gomiero, Ytali
da: Tiziano Gomiero, Ytali