Se ne va un Po’ della nostra vita

Fa una gran paura, genera molta rabbia e una tremenda angoscia guardare le immagini di quel rigagnolo circondato da distese di sabbia. La più grave crisi idrica degli ultimi 70 anni, così ben rappresentata dal simulacro del più grande fiume del territorio italiano, non chiama solo in causa la fulminea progressione dell’avvicinamento degli effetti dei cambiamenti climatici, ignorati fino a ieri l’altro in questo piccolo pezzetto di mondo. Chiama in causa, soprattutto, la florida economia della pianura padana, consegnata mani e piedi al mercato. Oltre ad aver prodotto livelli di inquinamento capaci di rendere il serio problema sanitario prodotto dal Covid19 una tragedia di massa, quell’economia ha messo in campo un’idea di agricoltura, allevamento, industria e produzione energetica vocate al massimo rendimento nel minimo arco temporale. Una relazione predatoria nei confronti del suolo, dell’aria, dell’acqua, dell’energia e della salute delle persone che ha prodotto grandi risultati di fatturato per le industrie dell’agro-business e di utili in Borsa per le multiutility dell’acqua e dell’energia. È un po’ tardi, però, per cominciare ad accorgersi che c’è un conto da pagare.

Quando l’ultimo albero sarà abbattuto, l’ultimo pesce mangiato, e l’ultimo fiume avvelenato, vi renderete conto che non si può mangiare il denaro». C’è chi attribuisce questa affermazione a Toro Seduto, capo tribù dei nativi americani Sioux Hunkpapa, che l’avrebbe pronunciata qualche mese prima della leggendaria battaglia del Little Bighorn. 

Toro seduto non era uno scienziato dell’Ipcc dell’Onu, ma quella sintesi meriterebbe di essere scritta in tutti gli edifici pubblici del Paese, in questo inizio estate che ci costringerà a fare davvero i conti con la profondità della crisi eco-climatica.

Paradigmatica è la situazione del Po, il più grande fiume italiano, il cui bacino attraversa la pianura padana e l’intera Italia del Nord. Sono le regioni in cui si sono storicamente concentrate un’agricoltura e un allevamento intensivi, una massiccia industrializzazione, la grande industria energetica, nonché grandi concentrati di popolazione urbana e metropolitana.

Tutte figlie del medesimo paradigma, che è la cifra del modello capitalistico: l’idea della crescita economica come termometro del benessere della società, accompagnata dall’uso di beni comuni presenti in natura dei quali si presuppone l’illimitata disponibilità.

Una situazione accelerata dal modello liberista e dal preponderante ruolo assunto dalla finanza, che ha visto il progressivo ritiro delle istituzioni pubbliche tanto dall’intervento diretto in campo economico, quanto da qualunque idea di programmazione e pianificazione dello stesso, delegate alla ‘autoregolazione dei mercati’.

Peccato che esista una contraddizione strutturale fra come la vita delle persone si organizza nello spazio e nel tempo rispetto a come si declina l’economia di mercato.

La vita delle persone si svolge dentro uno spazio limitato, la comunità di riferimento, e si dipana dentro un tempo lungo che attraversa l’intera esistenza.

Al contrario del mercato che si organizza in uno spazio potenzialmente infinito, l’intero pianeta, ma declina le proprie scelte dentro un tempo estremamente ridotto, l’indice di Borsa del giorno successivo. È questa differenza a far sì che gli interessi di mercato siano quasi sempre in diretto contrasto con i bisogni della vita delle persone.

L’economia della pianura padana lasciata al mercato, oltre ad aver prodotto pesanti livelli di inquinamento complessivo che hanno trasformato il serio problema sanitario prodotto dalla pandemia da Covid19 in una tragedia di massa, ha messo in campo un’idea di agricoltura, allevamento, industria e produzione energetica vocate al massimo rendimento nel minimo arco temporale. 

Una relazione predatoria nei confronti del suolo, dell’aria, dell’acqua, dell’energia e della salute delle persone che ha prodotto grandi risultati di fatturato per le industrie dell’agro-business e di utili in Borsa per le multiutility dell’acqua e dell’energia.

Permettendo alle stesse di comportarsi come quell’uomo del film “L’odio” che, cadendo da un palazzo di 50 piani, man mano che passa da un piano all’altro continua ripetersi «fino a qui, tutto bene», misurando il ‘qui ed ora’ della caduta e non l’esito dell’atterraggio. ......

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